Il diacronico presente di Fiat e governo

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di Angelo Ruggeri

Per non dimenticare come si è arrivati alla deprecata e deprecabile attuale situazione Fiat e governativa

Il leader della FIOM e il 900

ECONOMICISMO PIU’ POLITICISMO UGUALE A REAZIONE

Dall’intervista di D’Alema al Corsera a quella del segretario Fiom Rinaldini a Liberazione

“Non chiedo la dittatura, però…”, stranamente non risulta sia stata detto dalle neo-fascista “Forza Nuova” o dalla Mussolini; è invece la sorprendente dichiarazione – di cui non si ha eco ma è la più importante del sua intervista – di M. D’Alema al Corsera (20/5/07), a cui è stata messa la sordina più completa anche dai giornali dell’area che – nel solco della cancellazione di tutto il 900 – è tornata all’ottocento e alla “sinistra” prefascista e “radical-laicista”, che non sa leggere tra le righe ma neanche sulle righe. La quale anche con appelli all’unità – il 9 giugno – contro Bush e non anche contro Prodi e D’Alema che crede emuli la politica estera di Craxi (sic), con dalemismo” intrinseco copre da “sinistra” l’operazione di destra di D’Alema. Che – “però” – ri-propone quella che la chiamano “la crostata” (dal patto “privato”, in casa Letta, tra D’Alema e Berlusconi) ma è il presidenzialismo del “premierato forte”, è il “cesarismo” che è stato sulla linea del craxismo la Bicamerale D’Alema ha ripreso e Berlusconi ha assunto, a propria immagine e somiglianza, nel disegno reazionario di revisione costituzionale che D’Alema rilancia.

Ma il popolo, avendo già intuito – intuizione di massa – la posta in gioco riguardante la stabilità non già dei “governi” ma della “democrazia” (e che D’Alema comprova), imponendo persino un quorum non richiesto dal referendum dello scorso giugno, ha già detto un No forte e chiaro a tale disegno reazionario di Berlusconi che sul Corsera D’Alema ha riproposto in toto. Si che dopo averlo “silenziato” invece di assumerlo, la”sinistra” irride al voto di quell’elettorato popolare e operaio, che così – come in Francia dopo il NO “dal basso” alla c.d. “costituzione UE” – e come è “naturale” col destra/sinistra che lo deruba di ogni protagonismo e rappresentanza, è tornato ad astenersi e – cancellando dal Nord operaio la sinistra – a votare a destra (anche tanti iscritti alla Cgil) e la Lega, che è la formazione che imita da destra e come sociale di destra, il rapporto sociale e di massa che aveva il PCI. Dimostrando che per superare la sfiducia della gente verso la politica serve non già la moltitudine generica di certi movimenti, ma rilanciare i partiti di massa che andavano “democratizzati”, non “cancellati” riducendo la democrazia col maggioritario e le riforme istituzionali,

Donde la pericolosità di una crisi in cui il popolo è fuori gioco istituzionalmente

, perché non ci sono i partiti “cerniera” tra società e istituzioni, sostiuiti con agganci ai poteri privati d’impresa, banche, finanziari, ecc.; e lobby anche occulte con cui il centrosinistra convive, e “security” privatizzate da Prodi e passata a Telecom da D’Alema. Vittima per altro di un altro singolare silenzio semrpe anche da parte della “radical-sinistra”: quello per le “telefonate” su Coop-Unipol-BNL pubblicate dal Giornale – che dimostra l’importanza del pluralismo sempre e in ogni campo -, e per le quali è chiamato a giorni a risponderne in Parlamento come Craxi e da “nuovo Craxi.

Nella frantumazione leaderistica e nel frazionismo in termini di leaderismo

, siamo ormai ad una crisi di potere, com’è quando la lotta è dentro le sue strutture, con presupposti pericolosi e imprevedibili, tanto più dopo l’”affaire” Visco. Con Prodi che dice inutile il dibattito al Senato come fossimo nel 1925, quando col “premierato”, era il re o il “capo del governo” che convocava le Camere. Con Napolitano che sul caso dice di non poter “andare fuori” dalla Costituzione ma non che è sempre “andato fuori” su tutto, ogni giorno.

Ci sono le premesse di un grave “spostamento” e arretramento democratico

, favorito e anche preparato da forze che da antifascista che sono tornate ad essere, come detto, una pre-fascista “sinistra”, “liberale” e “radical-laicista” di fatto e di nome caduti con la Resistenza: quando era o “socialdemocratica”, o “rivoluzionaria” e per la rivoluzione democratica, o “terza forza” laica aggregata alla DC come oggi quella “laica-radicale” si aggrega al “partito democratico” che Bertinotti – udite udite – incoraggia a fare “presto e bene” per “aiutare la sinistra radicale a darsi un nuovo progetto” e per “vincere sia sul lato del Pd che della sinistra alternativa”. Questo su Europa (31/5/07): lo stesso giorno che il più dotto e intelligente Guido Bodrato ha scritto, lapidario: “Sarkozy non fa per noi. La destra avanza anche dove ha perso, la sinistra retrocede anche dove ha vinto” .

Si che su quel giornale che “sembra di leggere libero e non Liberazione” (ha scritto un lettore), “sentono” che ci vuole una teoria, ma credono che si possa inventarla o cambiarla come fosse un “depliant”: come se si potesse inventare una teoria che non si inventa, tantomeno contro la storia.

Sicché, in modo palesemente più contraddittorio e altrettanto “governativo” degli altri, il segretario della Fiom Rinaldini – che fa formalismo giuridico perchè non parla di lotta ma di voto segreto “concesso” ai lavoratori -, arriva a dire “dobbiamo rompere con tutto il 900”,di fatto riducendo le normative costitizionali a semplici enunciati dichiarativi come fanno D’Alema e tutta la sinisgtra che come Bertinotti vuole che si faccia presto il PD prechè vogliono essere e prendere il posto dei DS – magari convertiti in SD. Cancellando “tutto” – ha detto per tema di non essere capito – quindi avvalorando la delegittimazione della Resistenza, della democrazia, della Costituzione, delle conquiste democratiche seguite alla caduta del fascismo, del tornante di lotte operaie 1960-75, e chi più ne più ne metta. Dobbiamo – dice – pensare cosa vuol dire “sinistra” ( i problemi teorici-storici conessi a questo termine li sèpiegheremo in altra occasione), e dice “chiudere col 900” opportunisticamente per non dire di “rifiutare marxismo”: oggi che al di fuori dell’Europa restauratrice, si comincia a proporre che Gramsci – che concepiva “il presente come storia” – venga applicato non solo allo stato-nazione ma alla “globalizzazione” già individuata da Marx come fondamento della sua analisi, nel Manifesto.

Senza il quale non si può capire neanche che le due “caste oligarchiche”, che il maggioritario storicamente e inevitabilmente produce, e le spinte, anche referendarie e d’alemiane, profilano e manifestano un “sovversivismo dall’alto”, delle classi dirigenti, nel senso gramsciano del fare come se non esistesse “un dominio della legge”, una Costituzione, ma solo una politica di arbitri e di cricca personale o di gruppo” (Q 3 § 46, pag. 327). E questo mentre risalta la profondità dell’abisso che separa l’elettorato dal luogo e dai modi in cui si confrontano i gruppi di potere: sia all’interno del “partito unico” di governo destra/sinistra – di cui fa parte sinistra alternativa o alternativa socialista che fa riferimento al PSI e a Lombardi – che si divide solo per la getione delle spoglie del potere, occupando tutta l’arena parlamentare da cui vengono escluse le forze che collidono col capitalismo (e se sei dentro vuol dire che non collidi) e viene tagliata fuori la classe operaia con il ritorno a forme politiche di una rappresentanza destra/sinistra-Pd-sinistra alternativa, non più anche sociale e di classe ma solo di “ceto politico”.

Così per l’opportunismo di non dire “rompiamo col marxismo” dicendo “rompiamo col 900″ diventa quell’”ismo” dato dall’insufficienza tiroidea, perché la storia è una continuità, tanto che non si può distinguere il medioevo dal moderno e Canfora e altri parlano dell’antichità come tempo presente e dell’oggi, tantomeno si può dire no al 900 che siamo noi.

Il punto è il tempo storico, che diventa una pregiudiziale per cui si può dire di no a una teoria ma non si può dire no alla storia, perché non si può cancellare niente della storia, Quindi è un inganno, per chi non ha attenzione, scrivere su Liberazione “torniamo alla teoria” – che certo è il problema – ma che si nega nel momento stesso che lo si dice ma si assumone la forme più contraddittoria con la teoria stessa che se non è della storia non è teoria. Quindi la forma più contradditoria sia con la teoria in sé e con la teoria che abbiamo come punto di partenza dalla storia: la teoria nell’unità della storia, e quindi il marxismo.

“Rompere, cancellare chiudere col 900, per tornare all’800 che, appunto. è già pratica politica e non teoria, com e pratica e non teoria dire non violenza, o pacifismo, ecc. Ma questo Rinaldini lo dice proprio mentre la dichiarazione di D’Alema di cui sopra, attualizza nella crisi politica di questo inizio secolo, una rilettura del nesso (di continuità) tra autoritarismo e totalitarismo che fu la base dell’alterazione dell’organizzazione del potere che dalla crisi d’inizio secolo scorso portarono alla dittatura. Mostrando che il peggio viene sempre da chi da sinistra si sposta a destra con casi massimi Mussolini e Hitler. Ma il fascismo non era solo violenza ma un forma del potere che aveva capito più della sinistra e CGIL di oggi la “questione sociale”, cioè il nesso tra rapporti di produzione e rapporti politici (anticipata fin dal 1848, nel Manifesto)

, tanto che con una cosa uguale e contraria al soviettismo fece il corporativismo e diceva ai lavoratori di collaborare con l’impresa imponendo la concertazione come oggi la CGIL e per 10 anni a Melfi anche la Fiom. Perché se non si sa cos’è il fascismo se non si sa cos’è l’antifascismo per cui si dice cancelliamo “tutto”: che vuol dire anche le lotte e le conquiste democratiche fatte dopo il fascismo e come voleva Berlusconi il giugno scorso, anche il sistema sociale e non solo politica nato con la Resistenza.

Invece occorre studiare e non cancellare il 900.

Almeno da quando la dialettica sociale e politica della fase che precede la crisi dello stato liberale è quella della parallelismo tra istituzioni e societa, tra economia e politica donde il politicismo da un lato e l’economicismo dall’altra, in una dialettica dall’alto in basso (che mutatis mutandis è quella di oggi e per cui Rifondazione è stata dimezzata e la sinistra cancellata dal Nord operaio), che come oggi escludeva preventivamente le classi gerarchizzate dallo “status civitatis” perché non proprietarie (come Montezemolo vorrebbe escludere per i meriti di chi è ricco e quindi bravo) con inclusione di vecchi e nuovi ceti (monarchici e borghesi liberali) oggi la nuova borghesia di sinistra.

Le escludeva con destra/sinistra che è la forma tipica di rappresentanza che corrisponde ad una forma di stato monoclasse, quindi inidonea a rappresentare quella complessità – sociale, plurale e pluralista – e che solo di recente è stata assunta come categoria concettuale per la dimensione dei problemi della società e della sua c.d. governabilità, cosa che fa cogliere un problema odierno che allora neanche si poneva: cioè del rapporto tra rappresentanza politica e pluralismo sociale e politico – allora negato con la personalizzazione della politica (guarda caso similmente ad oggi) – ma di cui già negli anni 20 e soprattutto 30 recavano con se molti dei suoi elementi.

Ragion per cui di quegli anni e del fascismo – e quindi ancor più oggi – non sono da prendere in considerazione solo le categorie concettuali limitantisi a valutare le coppie libertà-autorità, democrazia dittatura, ma quelle intese a inserire i valori dell’individuo e le forme di governo in un quadro che supera comunque i confini della cultura liberale (più gratta di quella dle fascismo), per incontrare quella del rapporto tra diritti individuali e interessi sociali che proprio nell’anno di concessione dello S. Albertino veniva anticipata sulla base della matrice teorica del materialismo storico come “la questione sociale”, del nesso tra rapporti di produzione e rapporti politici, onde interpretare con nuovi strumenti teorici i rapporti tra società e stato. Come saprà fare Gramsci e non sa ancora fare ne le forze riformiste ne quelle “rivoluzionarie” ispirantisi ad un marxismo agnostico – e tanto meno di “sinistra RADICAL-LAICISTA” che crede che il sociale sia separato dall’istituzionale: come se l’istituzionale fosse autonomo e non invece quel che altro non è: cioè la forma storico-istituzionale della questione sociale, oggi per altro sempre più sovranazionalizzata

Il FASCISMO

supera talmente tanto i confini della cultura e dello stato liberale (a cui vorrebbe e dice di richiamarsi l’ex sinistra di classe sia vecchia che nuova o sessantottina e avanguardista operaia entrata in un patto di classe, antiPCI e anticomunista, con la borghesia e le sue forze segrete e sovversive oltre che di quelle politico-giornalistico-industrial-finanziarie) – che è arrivato per incontrare e affrontare la questione sociale – in una versione che non si limita a negare o neutralizzare le sue ripercussioni istituzionali – è arrivato a riconoscere l’oggettivo peso della società di massa fino a rovesciarla con una risposta classista e reazionarie e non di semplice contenimento delle spinte popolari come volevano gli apprendisti stregoni di ieri e di oggi (dai Giolitti e liberal-cattolici di ieri a quelli di oggi che arrivano ad esaltare l’autoritarismo gollista del presidenzialismo plebiscitario francese tramite un Sarkosi che parla e si muove con parole e comportamenti prefascisti di quello che aveva quando era movimento quello che poi divenne partito e poi regime)

Ovviamente ci provano ma non possono far tornare indietro la storia e con tutto le stesse cose di ieri oggi assumono conformazioni diverse e non sono uguali ad ieri, ma l’inizio dei due secoli e delle loro crisi, corrispondono nel senso che la dialettica sociale e politica si svolge nei termini di una sua decisa unilateralità – dall’alto verso il basso – come tendenzialmente anche se non ancora organicamente – a causa della storia e del sopravvivere della Costituzione e dei suoi valori nonostante l’affermarsi a destra e dentro tutta la sinistra di valori contrastanti con quelli della Resistenza posti a fondamento della democrazia –( mancano le modifiche elettorali e costituzionali di cui parla D’Alema che riportino ad una camera bassa e alta e a poteri presidenziali); e nel senso di una concorrenza al governo tra forze omogenee che sul terreno politico si dividono i compiti della stabilizzazione e della governabilità in una dialettica sociale e politica che rimane tutta interna al ristretto circuito di vertice che funziona con logica duale in cui il capo di stato o di governo è il perno di un equilibrio sempre ricercato e sempre instabile.

14-6-2007 Angelo Ruggeri

 

Il diacronico presente di Fiat e governoultima modifica: 2011-01-28T01:00:00+01:00da iskra2010
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