ovvero L’IPOCRITA SCARICABARILE DEL PD, DELLA PSEUDO SINISTRA “FEDERATA” (Pdci, RC, ecc.) E DI QUELLA VENDOLIANA o VENDOLISTA

 

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di Angelo Ruggeri

 

Per opporci, tra i pochi, al “referendum per la responsabilità civile dei giudici” promosso dai radicali, avevamo costituito un apposito “Comitato” ed in particolare la Bonfanti, L’Espresso e la Repubblica mi telefonavano in CGIL regionale lombardia e riportavano su di noi articoli (che ancora abbiamo) positivamente sorpresi della nostra iniziativa.  Circa 10 anni dopo, Marco Boato ( di Lotta continuista antiparlamentare ed anticomunista) per conto della Bicamerale D’Alema (la madre di tutte le revisioni costituzionali autoritarie del centro destra e del centrosinistra) elaborava un progetto sovversivo dell’ordinamente costituzionale in materia di giustizia che in modo persino peggiorativo comprendeva praticamente quanto oggi Berlusconi e Alfano presentano come la “Grande riforma” della giustizia della Costituzione.

E negli stessi giorni in cui questa viene presentata avvalendosi non solo dei progetti del centrosinistra (di cui si avvalse anche per presntare la revisione costituzionale respinta dal popolo nel referendum del giugno 2006) ma del fatto che tutta ma proprio tutta la “sinistra” non puo dire “LA COSTITUZIONE NON SI TOCCA” – essendo stata per prima la “sinistra” sia a teorizzare il revisionismo costituzionale che ad attuarlo in Parlamento con la revisione leghista/federalista del Titolo V, con lo slogan “TUTTI IN PIAZZA A DIFENDERE LA COSTITUZIONE”, nel momento stesso in cui si denuncia il revisionismo costituzionale del centro destra, si mira artatamente a nascondere ad un elettorato sempre più irretito nell’irresponsabilità della logica “bipolare”, sospinta dal PD e da una pseudo sinistra sull’onda della c.d.  modernizzazione, quanto aberrante sia stato e continui ad essere l’impulso verso la deriva costituzionale, imputabile in modo irrefutabile proprio a quel centrosinistra e pseudo-sinistra che da ben più di un decennio ha puntato e punta a SPEZZARE QUELLA ORGANICA CONTINUITA’/INTERDIPENDENZA tra la PRIMA PARTE e la SECONDA PARTE DELLA COSTITUZIONE. Con essa i partiti democratici e antifascisti (Dc, Pci, Psi, Psdi, Pri) sancirono la strategia sociale e politica dell’antifascismo vittorioso con la Resistenza e la Liberazione, rompendo con l’autoritarismo liberale pre-fascista e con il modello monarchico/liberale dello Statuto Albertino su cui aveva potuto innestarsi il regime fascista, per aprire una nuova fase storica, politica, sociale e istituzionale, mediante un inedito modello di “democrazia politica, economica e socialerepubblicana e autonomista, contro cui hanno complottato e complottano le forze conservatrici della borghesia di destra e di sinistra, che hanno delegittimato e mirano ad affossare definitivamente – nonostante il NO popolare che ha superato il quorum per altro no richiesto nel referendum dl 2006 – un modello che si è posto all’avanguardia delle costituzioni post-fasciste, in quanto legittimante quel processo di trasformazione della società e dello stato capitalistico perseguibile con il concorso pluralistico di forze di sinistra, sociali e politiche, di ascendenza non solo marxista, ma anche cattolico-sociale.

Quel che, infatti, è stato alla base della convergenza – alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 – tra le forze del defunto “pentapartito” (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) e le formazioni politiche sopravissute a quella che si è convenuto di definire come “crisi tangentopoli” per la revisione della Seconda Parte della Costituzione, ha avuto come motivazione (risultata ambiguamente pericolosa) l’esigenza del c.d. “adeguamento” dell’ordinamento della Repubblica ai c.d. “mutamenti” della realtà sociale o meglio della c.d. globalizzazione finanziaria fallita finita con l’ esplosione della crisi economica mondiale, fingendosi di non vedere che tale convergenza concretava l’adesione di forze eredi del costituzionalismo democratico-sociale e antifascista alla strategia perseguita, esplicitamente e insistentemente, almeno a partire dal 1964, da gruppi di potere occulti e/o collegati con correnti di alcuni partiti dell’arco costituzionale (Pri, Psdi, Psi, Pli): nella consapevolezza che le forze anticomuniste avevano in ordine allo stretto nesso che i partiti di massa (Dc, Pci, Psiup) avevano saputo istituire tra la Prima Parte sui “rapporti” civili, etico/sociali, economici e politici, e la Seconda Parte sull’”ordinamento della Repubblica”, per garantire una convergenza coerente tra forma di stato e forma di governo nella strategia di trasformazione della società e dello stato che ha segnato di sé specialmente gli anni ’60 e ’70, ad onta della “conventio ad excludendum” dei comunisti dalla maggioranza governativa e quindi dal potere esecutivo.

Se si vuol dare un senso obiettivo, allora, all’affermazione mistificante di “cambiare” (sic) “ma non stravolgere la Costituzione”, lanciata dal comitato di pseuod-difesa della Costituzione e da Napolitano ancora una volta in linea con l’ipocrita scaricabarile di tutti coloro che usano fingere di voler “difendere la costituzione” da altri ma non anche da sé medesimi, occorre che tali cosidetti fautori della difesa della Costituzione e specialmente i Ds-Ppi-PD, pervengano a quella maturazione autocritica che sono emersi in alcuni componenti dei “comitati per la difesa della Costituzione” nel corso della campagna per il “no” al referendum del 2006, solo per respingere il progetto di revisione che il centrodestra aveva innervato sulle posizioni già affiorate in seno ai partiti del centrosinistra, prima ancora dell’avvento del berlusconismo: quando cioè si è aperto un vulnus nei rapporti tra la Prima e la Seconda parte della Costituzione del 1948, tramite non già – come ci si è adagiati a dire – il c.d. “superamento” dei partiti, bensì per effetto del loro snaturamento “ideologico”. Uno snaturamento intrinseco all’abbandono dell’anticapitalismo in funzione della visione dell’impresa privata come “istituzione” nella quale le forze “produttive” collaborano, sì che il primato del lucro sul salario è venuto a sancire la delegittimazione del ruolo del lavoro, quale ambito di autonomia sociale e politica che peculiarmente i Principi Fondamentali della Costituzione hanno assunto a criterio di qualificazione del nesso tra Prima e Seconda Parte della Carta del 1948.

Orbene, per ottenere che il popolo ritorni sovrano dopo aver respinto nel segno della “Repubblica fondata sul lavoro” un progetto di revisione della Seconda Parte che era inaccettabile (non tanto perché, come dicono con un neologismo mistificatorio i “giuristi democratici” corrivi alla strategia dell’”Ulivo”, contrastante con la c.d. “democrazia costituzionale”, ma ben più provocatoriamente perché in antitesi con l’ideologia stessa della Costituzione e quindi anzitutto con i suoi Principi Fondamentali), è indispensabile che si avvii un tipo di discussione che è stato rimosso sin da quando una parte – la destra napolitaniana – dello stesso Pci negli anni ’80 (soprattutto dopo la morte di Enrico Berlinguer) ha convenuto sulla necessità – in cui le stesse forze della destra sociale e politica (“golpiste”, e sinanco annidate nei partiti, specialmente socialisti) si sono trovate – di aprirsi un varco per il rivolgimento antidemocratico già squadernato dalla maggioranza “berlusconiana” che oggi, con capo in testa oggi il il neo-proto fascista Fini, si avvale della c.d. bozza Violante – volta ad interrompere capziosamente il nesso tra Prima e Seconda Parte della Costituzione -, nella chiara consapevolezza che, in carenza di uno scontro frontale, una forma di governo di tipo “autoritario” è la condizione operativa di una strategia di consolidamento del capitalismo e della classe dominante. Trattasi, ATTENZIONE!!! di una strategia idonea a portare alle estreme conseguenze antidemocratiche quella concezione di “modernizzazione” che a suo tempo ha concorso all’instaurazione dello stesso regime fascista come regime del “capo del governo” e del carattere nazionale dell’iniziativa economica privata.

Tale rimozione ha avuto come precondizione di un disorientamento di massa, difficilmente recuperabile e tuttavia assolutamente indispensabile – per evitare che i partiti dell’”Ulivo”, tornando maggioranza, riprendano quel discorso avviato con la Commissione De Mita-Jotti (1993) e con la Commissione D’Alema (1997) ora estremizzato dalla “casa delle libertà” – l’abbandono dei due pilastri della “democrazia politica, economica e sociale” assunta nel modello del 1948: sul terreno sociale, il dispiegarsi pieno dell’autonomia sociale dei lavoratori, con un sindacato di classe rivendicativo di un nuovo assetto dell’organizzazione della produzione e delle istituzioni centrali e decentrate (regioni, province, comuni); sul terreno politico, un’autonomia del parlamento dal governo, come portato di un pluralismo imperniato sul sistema elettorale proporzionale (che nel 1993 risultava applicato a tutti i tipi di elezione, escluse quelle riguardanti i piccoli comuni), dato che la estensione dell’uso del proporzionale come principio generale dell’ordinamento si innestava sull’ordine del giorno votato all’Assemblea Costituente, per ovviare al fatto che il sistema proporzionale è stato formalmente assunto solo nell’art. 39 concernente il pluralismo sindacale.

Assunta la concertazione come metodo compartecipativo delle forze rappresentative di capitale e lavoro nei rapporti di classe, e il “primato dell’esecutivo” come principio antitetico alla forma di governo fondata sulla “centralità del Parlamento”, si è così pervenuti ad uno snaturamento costituzionale. Uno snaturamento consistente nell’allineamento dell’esperienza italiana (dagli anni ’90 ad oggi) alle esperienze britannica e nordamericana che – mediante le due distinte “tecniche” di “ingegneria istituzionale” del “bipartitismo”, quella del premier e quella del presidente, rispettivamente a monarchia accentrata e a repubblica federale accentrata – attuano, nelle mentite spoglie di una c.d. “democrazia classica”, un tradizionalismo autoritario consacrato dalla “stabilità di legislatura” di un esecutivo a dominanza “monocratica”.

In questo quadro l’opposizione è istituzionalmente esclusa dal potere di indirizzo politico, rimanendo solo titolare di un controllo-verifica, utile eventualmente a predisporre l’applicazione del principio di “alternanza” al governo, nel contesto di una situazione socio-politica di “passività organizzata” di un elettorato consapevole dell’adesione delle contrapposte forze politiche ad una medesima ideologia di “stabilità economico-sociale”.

Il “kanzlerprinzi erede del “fuhrerprinzip”. L’anticostituzionale verticismo statale e regionale, federal-centrale o federal-decentrato

In tale contesto, la gravità delle elaborazioni istituzionali dell’Ulivo (ex e post), coonestate dalla prevalente dottrina costituzionalistica, consiste nella assunzione sempre più mirata del paradigma teorico-politico con cui la cultura liberal-democratica aveva bollato come “anomalo” il caso italiano, con ciò occultando dietro il diffuso anticomunismo (via via affermatosi in Germania e nella stessa Francia grazie al gollismo) una “rilettura” del modello costituzionale italiano del 1948, come se la revisione della forma di governo implicasse, già prima di entrare in vigore, l’abbandono dei principi più qualificanti della Prima Parte, e cioè quella sui “rapporti economico-sociali”, per una concezione di “stato sociale” che la stessa costituzione tedesca di Bonn presenta ben più arretrata di quella, perciò tanto più famosa, di Weimer, e che in quanto tale era destinata ad essere facilmente aggredita dalle concezioni neo-liberiste. Concezioni che – auspice il progressivo consolidarsi del potere del “mercato” ai danni dei valori “sociali”, in virtù dei Trattati europei sfociati nel conato della c.d. “costituzione europea” – sono divenute il terreno di incontro “bipolare”, quando non “bipartitico”, delle forze di governo dell’Europa continentale.

L’abbandono della posizione ideologica – che è intrinseca alla dissolvenza per cause distinte di Dc, Pci e Psi è stato canonizzato non a caso nel 1992 (alle soglie dei lavori delle Commissioni “bicamerali” De Mita-Jotti e D’Alema della riforma federalista imposta dal centrosinistra, e del progetto di revisione contrastato dal centrosinistra solo per i suoi “eccessi”, e non per le sue matrici neo-verticistiche e autoritarie) da un costituzionalista di ascendenza socialista con una prospettazione del diritto “mite”, e come tale contrastante con il pluralismo dialettico dei Principi Fondamentali della Costituzione del 1948, mediante un’operazione ideologica di sovrapposizione formalmente arbitraria dei principi propri del processo di europeizzazione, fondato sul primato del mercato, sui principi di una costituzione democratica nazionale, nella quale l’uso degli istituti di “controllo sociale” dovrebbe artatamente svilirsi in una logica di mera “coesistenza e compromesso”, con la tradizionale immunità dei poteri economici: e ciò in nome di una anodina “convivenza mite” contrastante nei fatti con la atavica pretesa, come tale “dura”, della formazione sociale del capitalismo a imporsi, avvalendosi di istituzioni politiche “strumentali” alle sue aspirazioni al dominio permanente e incontrollabile (vedasi l’omonimo saggio di Gustavo Zagrebelsky).

Ecco perché ci troviamo già dislocati fuori dall’orbita dei Principi Fondamentali come asse portante dell’intera Prima Parte della Costituzione, nel combinato ordito di un federalismo emerso come forma di “neo-centralismo“, espressivo di “solidarietà” tra gruppi di classe dirigente “statale” e “regionale” (o federal-centrale o federal-decentrato), e di un “premierato” di cui (oltre al presidenzialismo nordamericano) sono alternative del tutto fungibili sia il semi presidenzialismo alla francese, sia il cancellierato germanico: quest’ultimo accarezzato anche da correnti di sinistra c.d. “alternativa”, sotto le mentite spoglie di una concezione c.d. “neo-parlamentare” che comporta la subordinazione dell’elezione del cancelliere all’iniziativa di vertice del presidente della repubblica, in un contesto che perciò viene riassunto in nome di un dominante “kanzlerprinzip”, succeduto al “fuhrerprinzip”.

Per dire “Difendiamo la Costituzione” a testa alta, si deve allora fare atto di sottomissione autocritica, rinunciare al Francisco “PRONUNCIAMENTO” delle c.d. “bozze” da quella “Amato” a quella “Violante” con cui si rimarrebbe bensì fedeli all’allineamento ideologico con le forma di governo britannica e statunitense, ma si affosserebbe il modello di democrazia fondato sull’onda della Resistenza (salvo che nel campo dei rapporti civili, con residuali e verbose invocazioni dei rapporti “etico-sociali”).

Un modello di democrazia che del resto è già stato attaccato dal centrosinistra con la legge di revisione del 2001

che attribuisce potestà di efficacia pubblica a soggetti privati, e che una volta coniugato il federalismo anti-autonomistico e neo-centralista con il premierato (sia pure c.d. “relativo”, per distinguerlo da quello c.d. “assoluto” proposto dal centrodestra), troverebbe spalancata la strada ad una più smaccata omologazione ai modelli neo-conservatori imperanti in Europa, per l’ulteriore legittimazione che il dominio degli esecutivi va ricevendo da una cultura univoca nel privilegiare il mercato, facendo del “solidarismo” l’espediente necessario ad un minimo di consenso della parte debole della società, alla faccia di chi anche in questi giorni ha affermato che dalla crisi si dovrebbe uscire con più regole e più giustizia sociale, nel mentre stesso che la crisi che in Italia ha base ancor più nell’economia reale che in quella della finanza gonfiata” del resto d’Europa, viene usata da Confindustria, Governo e sindacati in combutta come occasione per un massacro sociale senza precedenti, per concentrarsi sul lavoro ma al fine di massacrarlo disarticolando e frantumando come negli USA la contrattazione sindacale sinanche a livello individuale in parallelo e in simbiosi col federalismo americanista. 

ovvero L’IPOCRITA SCARICABARILE DEL PD, DELLA PSEUDO SINISTRA “FEDERATA” (Pdci, RC, ecc.) E DI QUELLA VENDOLIANA o VENDOLISTAultima modifica: 2011-03-28T00:12:00+02:00da iskra2010
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