VELTRONI-FINI – FRATELLI D’ITALIA

Gli intrecci economico finanziari che dimostrano che tra i dirigenti del PD e il centrodestra di Fini-Berlusconi esiste un legame indissolubile. Un legame che passa dalle famiglie di lungo lignaggio fascista.
Saluti comunisti
Andrea

La Voce delle Voci.jpg

di Andrea Cinquegrani

Due storie eccellenti, due fratelli di vip. Ecco in campo Valerio Veltroni, passato dai crac pisani da mille miliardi ai fasti mattonari romani col gruppo Parnasi. E Massimo Fini, ai vertici dell’impero Angelucci, la dinasty convenzionata tutta d’oro…

Grandi manovre nel mattone romano. Mega operazioni appena varate, oppure al nastro di partenza. O in attesa di accordi, ormai sempre più bypartizan. «La giunta
Alemanno è niente più niente meno che l’esecutore testamentario di quanto voluto dalla giunta Veltroni», dicono senza mezzi termini da una municipalità all’altra i pochi “arrabbiati” rimasti sul territorio. Perchè gli altri, a quanto pare, hanno deciso di tenere le bocche ben cucite.
Gruppo Caltagirone, come al solito, in prima linea, ma un po’ più defilato. Preferisce, in questo momento politico, le manovre tattiche, comunque sempre, rigorosamente di stampo trasversale. Mentre il cugino di famiglia, Franceso Bellavista Caltagirone, alias ‘o progressista, tra un party e l’altro per mega vip, fra una tartina al caviale con Fausto Bertinotti e un morso ai porti del Tirreno, è un po’ più esposto. Loro, i padroni del cemento, di mezza Roma (l’altra fa capo – ironia della sorte – proprio ai Mezzaroma, con un rampollo, Luca Mezzaroma, sposo promesso di Mara Carfagna, e ad altri gruppi sparsi, ma di crescente peso), di mezza stampa italiana, si riposizionano.
Sul vascello mediatico di famiglia – il Messaggero – approda infatti l’ex direttore del Tg2
Mario Orfeo (per occuparne la poltrona, in pole position Genny Sangiuliano, ex portaborse di Sua Sanità Franco De Lorenzo), che torna quindi alla carta stampata dopo la direzione del Mattino e gli anni a Repubblica (prima la redazione napoletana poi quella romana). Esordi, per Orfeo, al mensile Itinerario, promosso negli anni ‘80 da ‘O ministro, Paolo Cirino Pomicino: lui, Orfeo, era l’uomo-macchina, il “culo di pietra”, come lo definivano i colleghi; mentre a dirigere il patinato mensile omaggiato da miliardi di pubblicità degli enti parastatali (a quell’epoca Pomicino era ministro della Funzione pubblica, poi del Bilancio) era Antonio Galdo, per un anno al vertice dell’Indipendente edito da Italo Bocchino, l’attuale uomo forte di Fli. I giochi tornano, anche al tavolo dei media: perchè Orfeo è il nipote prediletto di Vincenzo Maria Greco, l’uomo ombra di Pomicino, oggi grande amico dello stesso Bocchino (vedi articolo a pagina 18). Manovre e operazioni per il sempre atteso Centro targato Casini, Rutelli, Montezemolo e Pomicino? La nuova balena bianca pronta a scendere in acqua? Staremo a vedere. Intanto, torniamo alle colate di cemento previste a Roma e dintorni.

DIVINO MATTONE
Una delle aree più appetibili ci porta dritti in uno dei paradisi naturali ancora non massacrati da ruspe e cemento. Siamo in una zona tra le più rinomate, di inestimabile valore storico, archeologico e paesaggistico, a ridosso dell’Appia antica e dei celebri Castelli romani. Si chiama “Divino Amore” (vedi pezzo che segue), supervincolata da sovrintendenze, codici e leggine, ma a quanto pare pronta per passare sotto il controllo dei nuovi palazzinari. «Anni fa qui all’inizio dell’Appia – raccontano in zona – c’era la famosa villa che aveva fittato Paolo Cirino Pomicino, luogo ideale per summit e cene politiche, patti della crostata o comunque ottimi per cementare amicizie, legami, intese».
Oggi sul piatto ci sono ben 70 ettari davvero divini, il cuore di quello che avrebbe potuto essere (e sulla carta potrebbe ancora essere) il “Parco dell’Appia antica”. L’infarto, invece, può arrivare da una colata da quasi un milione di metri cubi di cemento. Racconta uno dei pochi ambientalisti rimasti sul territorio, che proprio per questo preferisce l’anonimato: «Una sentenza del Consiglio di stato ha bloccato ogni iniziativa edificatoria, confermando cioé i vincoli e le priorità che spettano al Parco da creare. E invece cosa è successo? I proprietari hanno cominciato col recintare man mano ettari dopo ettari, sono iniziate strane manovre fra carotaggi e movimenti terra, poi la ciliegina sulla torta: il comune di Marino, dove ricade l’area, sta per dar disco verde a una sfilza di progetti per abitazioni, centri commerciali, capannoni industriali, attività di tempo libero e chi più ne ha più ne metta. Alla faccia di vincoli, promesse di verde, di tutela, come doveva essere ad esempio per la vicina area super archeologica detta “Valle del Mugello” che rischia di essere anch’essa abbandonata al suo destino nonostante le enormi vocazioni e potenzialità».
Ma andiamo a vedere, più in concreto, cosa succede. E quali sono (e saranno) i protagonisti in campo. La ricerca è complessa, fatta di mappe catastali, sigle societarie, intrecci, compromessi (notarili e non solo). Partiamo dalla “torta” divina, 70 ettari. A quanto pare il nucleo forte è composto da tre unità, ciascuna pari al 28 per cento del totale. La prima fetta è appannaggio del gruppo
Pacifici, molto attivo nell’area, impegnato non solo nella fase finale, quella delle edificazioni, ma anche in quella – strategica – iniziale, ossia fognature e movimento terra. Scendiamo un momento più in dettaglio, perchè questo primo 28 per cento è a sua volta suddiviso in tre quote: una fa capo al patròn del gruppo, Ezio Pacifici, pari al 13 per cento; l’altra alla Tat di famiglia col 9 per cento, per finire con un 6 per cento intestato ad un’altra sigla della galassia made in Pacifici, ovvero GP Costruzioni.

CEMENTO E DELFINI
Più frammentarie le notizie sulle altre fette della torta. Il secondo 28 per cento, infatti, a quanto pare è riconducibile al gruppo
Pratesi, a bordo del suo Delfino Bianco. Mentre la terza quota, sempre pari al 28 per cento, è appannaggio dell’ennesimo gruppo della story, Schiaffini, che avrebbe intestato le sue proprietà ad una società britannica. Non si hanno notizie circa il restante 16 per cento, con ogni probabilità suddiviso tra diversi proprietari.
Ma qual è lo scenario a breve, anzi brevissimo termine, visto che gli accordi finali dovrebbero essere siglati a fine aprile? Sentiamo cosa racconta un ben informato all’urbanistica regionale: «È da qualche settimana che circola con insistenza una voce: il tandem
Parnasi-Veltroni ha stipulato un compromesso con Pacifici, Pratesi e Schiaffini per la cessione delle loro quote. E comunque l’assetto finale sarà questo: Parnasi-Veltroni 90 per cento, Pacifici 10 per cento, presenza considerata importante perchè già ben introdotto nella zona e attrezzato per compiere una serie di lavori da non poco».
Vediamo subito di chi stiamo parlando. Perchè siamo in presenza di un tandem a prima vista inedito, ossia un uomo d’affari,
Valerio Veltroni, fratello del più noto Walter, ex segretario Pd, e un gruppo mattonaro che ora va per la maggiore a Roma e non solo, il gruppo Parnasi, storicamente bypartizan.

COMPAGNO FRATELLO
Un uomo baciato dalla dea bendata, Valerio, non solo fratello, ma anche marito e padre fortunato.
La consorte, infatti, è un nome non da poco, Guendalina Ponti, figlia di Carlo e Sofia Loren. Un legame di parentela, dunque, lega la ducessa Alessandra Mussolini all’antifascista di una vita Walter. «Il passato comunque non può essere dimenticato – ricordano a Cinecittà – perchè il padre di Walter e Valerio, Vittorio Veltroni, fu il mitico radiocronista dell’incontro fra Hitler e Mussolini a Roma».
Acque passate, tempi che furono. Il presente è oggi, e il dinamico Valerio ha la fortuna di un rampollo che di strada ne sta facendo: si chiama Vittorio Veltroni – stesso nome del nonno – il neo vertice della divisione
“Digital” della Mondadori, l’editrice di casa Berlusconi. La nomina è della scorsa estate, opportunamente oscurata da tutti i media. Ecco qualche scarno brandello trapelato a fatica su Prima Comunicazione di luglio-agosto 2010: «Con un bel colpo d’acceleratore la Mondadori ha deciso di recuperare il tempo perduto e ha istituito la nuova divisione Digital che sarà operativa da settembre con la direzione generale di Vittorio Veltroni. Il compito di questo manager quarantenne dal cognome blasonato è di far crescere il business digitale valorizzando il patrimonio di brand di periodici, di contenuti e di autori della Mondadori su tutte le piattaforme digitali, con un’integrazione che la casa editrice vuole sempre più coerente con le attività tradizionali. Veltroni – conclude il breve articolo – è infatti un manager esperto sia di internet che del mobile, settore a cui gli editori guardano con grande attenzione perchè più adatto alla diffusione di contenuti a pagamento rispetto al web dove domina invece il modello free». Un Veltroni nel motore, allora, per i berluscones di Mondadori: l’avranno mai detto a Roberto Saviano per evitare il doloroso divorzio? Lo diranno a zio Walter e a Massimo D’Alema, storiche firme della casa guidata con piglio da Marina Berlusconi?


GRAZIE, SILVIO
Una gran bella soddisfazione, per padre Valerio, la carriera del figliolo sotto le protettive ali del Cavaliere. E perciò ormai sepolti sotto la cenere i guai giudiziari (senza peraltro alcuna effettiva consueguenza) di una dozzina d’anni fa, in quel di Pisa, e, più recenti, proprio in campo mattonaro, nel Lazio. Per districarsi in quelle vecchie (vecchie?) ragnatele, comunque, è il caso di dare una sbirciatina alle società made in Veltroni-Ponti. Il sessantunenne Valerio figura oggi amministratore delegato della srl cagliaritana
San Giovanni Enervitabio società agricola; presidente del cda, a partire dal dicembre 2008, di Tunda Investimenti Italia spa nonchè delle collegate Tunda Orange Immobiliare spa e Tundafin spa, tutte acquartierate a Roma, in via Giulio Caccini. Non è finita: sempre allo stesso indirizzo capitolino si trova San Crispino Holding srl, dove ricopre la carica di amministrare unico. Fa poi capolino come liquidatore in Itafin srl, sede sempre romana, in via Tommaso Salvini. È azionista, invece, in due sigle “bollenti”, Compagnia Finanziaria Pisana e Nani (dove è presente anche Guendalina, dal canto suo azionista di Tara e Immagini Interattive, altre due srl della serie). Ennesima sigla in comune Gestival, finita sotto i riflettori della magistratura: ma i due coniugi, ufficialmente, non compaiono.
Partiamo da Pisa, e da una mega operazione immobiliar-finanziaria poi finita male: male per i cittadini-risparmiatori, visto che il rosso nei conti della
Cassa di risparmio di Pisa, dopo lo tsunami made in Veltroni, è da circa mille miliardi delle vecchie lire. Comunque non noccioline, not nuts, come declinano i veltrones di tutto il mondo. Persa nelle nebbie la storia pisana, un crac del quale ormai da quelle parti si danno i numeri, quando a metà-fine anni ‘90 alcune sigle del tandem Veltroni-Ponti facevano affari da mille e una notte, come Icm, Gestival, Cosmopolitan e Nani. Si parla di conti all’estero, tra i paradisi fiscali di Lugano, Lussemburgo e Rotterdam. S’intrecciano inchieste della magistratura e sulla magistratura (un caso per tutti, il giudice Napolitano alle prese con una inchiesta sulle coop rosse e regali a base di Rolex). Insomma, un gran casino. Con un nulla giudiziario di fatto e un buco comunque arcimiliardario che pesa sulle spalle dei contribuenti, come al solito. Così tira le somme il sito Fai notizia-giornalismo partecipativo: «Riassumendo a Pisa la Cosmopolitan, la Cassa di risparmio di Pisa più altre banche segnalano un buco di 60 miliardi di vecchie lire, che sommate ai mille miliardi di Grossetto, fa 1000 e 60 miliardi di vecchie lire di buco».


SUONA CAMPANELLA
Bufere giudiziarie placate sul nascere anche in Sicilia, dove i fratelli Veltroni sono stati tirati in ballo, alcuni anni fa, per la realizzazione di un maxi centro commerciale a Villabate, nel palermitano, promosso dalll’imprenditore
Paolo Marussig. Walter, nel 2008, venne sentito come testimone, perchè il collaboratore di giustizia Francesco Campanella (lo ricordate?, quello con un Totò Cuffaro e Clemente Mastella come testimoni di nozze!) lo aveva tirato in ballo. La storia è semplice. Un consigliere Ds si oppone al progetto, che fra l’altro avrebbe dovuto ospitare anche un “Warner Center” da 20 sale cinematografiche. Secondo il teste Campanella, Veltroni avrebbe fatto pressioni sul compagno di partito per ammorbidirne l’opposizione, proprio per via degli interessi (presunti) del fratello Valerio nella realizzazione del centro firmato Warner. Acqua ormai passata, acqua sotto i Ponti. Anche quelli del Tevere. E vediamo come.
Dopo le disavventure pisane, la coppia d’oro Veltroni-Ponti torna alle avventure romane. E si tuffa, come al solito, tra i mattoni. Stavolta edilizia popolare. Forse per dare una speranza ai tanti senza tetto e senza casa della capitale. Ecco allora scendere in campo
Goallars srl, procuratore speciale Valerio Veltroni. Che si trova coinvolta in un pasticciaccio brutto di malaburocrazie e procedure d’urgenza: nel pentolone di contenziosi, accuse e carte bollate, alla fine Goallars se la cava per il rotto della cuffia, ossia un fortunato, anzi fortunatissimo condono che ha graziato una manciata di piccoli palazzinari. Lui, Valerio, tra i baciati dalla dea bendata.
E visto che la dea mi bacia, perchè non può fare il bis? Ed ecco, allora, spuntare il feeling con la famiglia
Parnasi. Per un grande affare immobiliare – e non solo – nella strategica e super archeologica area dei Castelli romani.

PARNASI CHI?
Ricordate il patrimonio
Sogene? Per essere più precisi, l’eredità immobiliare targata Michele Sindona? Lo scrigno del banchiere di Patti, il grande vecchio di mafia, massoneria e finanza di Casa nostra, dopo qualche anno di peregrinazione finisce a Napoli. Via camorra? Non si saprà mai. Forse via Magliana, visto che la strada conduce subito a Roma, per entrare nell’asset strategico di uno dei big del mattone capitolino, Arcangelo Belli, «massone, cavaliere del lavoro e titolare della Eurofin», come descrivono alcune biografie non autorizzate degli anni ‘80. Dopo un decennio, ecco che quello scrigno passa di mano: per finire in quello targato Parsitalia srl, immobiliare romana in rampa di lancio, capitale da 150 miliardi di vecchie lire (una bazzecola rispetto ai vip capitolini del mattone, comunque). E così, a metà 1991, Parsitalia acquista dalla sezione fallimentare del tribunale di Roma Sogene casa, ramo immobiliare e strategico del gruppo Sgi-Sogene in fase di liquidazione. Il prezzo? Non da poco, oltre 200 miliardi di vecchie lire. «Ma necessario per mettere una pietra tombale sui segreti di Sgi Sogene», commentano ancora oggi non pochi alla fallimentare di Roma.
Ma torniamo al core. Di Roma, e dintorni. Targato Parnasi, ossia il padre padrone
Sandro, e la dinasty, capeggiata dal rampante Luca Parnasi, fresco sposo dell’attrice Christiane Filangieri. Tra i business più gettonati del gruppo Parnasi, negli ultimi anni, la tenuta Tor Marancia, un parco pubblico che fa riferimento alla municipalità numero 11 di Roma: la generosa famiglia cede 190 ettari al comune e, in cambio, incassa il disco verde per la realizzazione di un mega centro commerciale. Dalla undici alla dodici il passo è breve, ed eccoci ai mattoni veloci tra il comprensorio Torrino nord e Mostacciano. Altre manovre da grosse cubatura nell’area del “Pineto”, “per mettere in piedi 750 mila metri cubi di cemento in località Pescaccio”, come sottilineano alcuni cittadini. Poi, affari cominciati nell’area di Montesacro: le prime manovre risalgono al 2003, con una sfilza di terreni edificabili in varie zone ottenuti da Parsitalia in cambio di qualche area verde concessa proprio a Montesacro. Altro ghiotto boccone all’Eur 2 e a provvedervi l’ennesima sigla di famiglia, Europarco: un quartiere da 800 mila metri quadri, nuovi alberghi, uffici e servizi su 63 ettari. «Uno svincolo per un quartiere di 800 mila metri cubi – sottolinea un altro sito anti mattone selvaggio – lo stesso impatto di otto nuovi alberghi Hilton, e si tratterà in gran parte di nuovi alberghi, multisala, uffici, centri commerciali, ma poche case. Nello stesso pacchetto, anche 70 mila metri cubi più verso Spinaceto, ma per case private».
Altro giro, altri appalti. Ed eccoci alla
Collina Fleming, che rischia di passare dal verde pubblico al cemento privato. Così racconta un blog contro: «L’area è stata resa edificabile solo a favore di interessi privati: nessun vantaggio ne deriva per la collettività e i cittadini, che sono gravemente danneggiati dallo scippo del verde pubblico e dall’aumento di inquinamento e traffico per un quartiere già gravemente congestionato, tanto che la centralina di corso Francia è la prima a Roma per rilevamento di polveri sottili». Tanto baccano per cosa? I progetti targati Parnasi per «cementificare l’area verde di via Città di Castello, nonostante numerosi e gravi sospetti di illegittimità della delibera comunale del 2003, della nuova destinazione definita nel prg e della Conferenza dei servizi». Insomma, un pacco ben confenzionato dalla giunta Alemanno a favore degli interessi made in Parnasi, in perfetta continuità con i desiderata del precedente esecutivo Veltroni. Ma, a quanto pare, «i cittadini non si arrendono, hanno promosso un ricorso al Tar e invitato il sindaco Gianni Alemanno e la presidente della giunta regionale Renata Polverini a verificare fino in fondo le ragioni e i diritti dei cittadini». Non è finita, altri lavori nell’area di Casalpalocco, insieme alla Cep (Costruzioni edilizie polifunzionali), per un grosso progetto di viabilità (non solo strade, ma anche fognature e servizi).

MULTISALE CHE PASSIONE
La ciliegina sulla torta nel pedigree di casa Parnasi? Una multisala che neanche la fantasia di Spielberg avrebbe mai sognato, d’ispirazione tutta francese (ormai lo shopping procede a ritmo di fanfara, viste anche le fresche mani transalpine su Parmalat post crac Tanzi): si tratta di una struttura colossal da 14 sale nel ventre del centro commerciale
“Porta di Roma”, già dotato di 300 negozi su una superficie da ben 130 mila metri quadrati, in zona Vigne Nuove, a ridosso del grande raccordo anulare. L’idea è stata partorita da UGC Cinè Citè e per realizzarla si è rimboccata le maniche una sigla ad hoc, Porta di Roma srl, cui hanno dato vita i gruppi Parsitalia e Lamaro Appalti, ben lieti di completare il circuito commerciale della catena made in Porta, a base di “cultura e tempo libero”.
Commentano alcuni operatori del settore multimediale:
«I Parnasi hanno l’hobby delle multisale. Infatti il caso di Vigne Nuove non è il solo, ma a quanto pare anche nella zona dei Castelli romani dovrebbero avere una grossa location, degna per ospitare le più affermate Major del firmamento internazionale. E ciò grazie sia all’intervento di Veltroni che all’interessamento di Berlusconi».  Confermano altri boatos che arrivano direttamente da piazza Monte Citorio: «La famiglia Parnasi, come la gran parte dei palazzinari romani, ha imparato il copione a memoria: amici di tutti, a destra e a sinistra, con Veltroni e con Alemanno, con Fini e Berlusconi. Sempre a fianco dei manovratori». E sarà per questo, allora, che i Parnasi, ottimi amici della famiglia Veltroni, sono (in pole position proprio Luca Parnasi) tra gli sponsor più generosi della fondazione Fare Futuro ispirata da Gianfranco Fini e destinata a favorire la nascita di Futuro e Libertà. «E questo, ben prima della rottura tra il presidente della Camera e il Cavaliere – fanno notare ancora in Transatlantico – cosa che del resto non disturba più di tanto. Amici di tutti, perchè i grandi affari vadano in porto».
Last but not least, la sanità, un trait d’union per non poche dinasty che contano in Italia, da nord a sud. E anche a Roma. Fiore all’occhiello dei Parnasi è infatti il fresco
Valmontone Hospital, «primo esempio nel Lazio di collaborazione pubblico-privato», come ha voluto sottolineare in occasione del battesimo il vicepresidente della regione Lazio, Esterino Montino (poi subentrato a Piero Marrazzo dopo lo scandalo trans). Una collocazione strategica, lungo l’asse della A1 Napoli-Milano, a un tiro di schioppo dal gigantesco outlet, meta di tanti romani nei week end a base di shopping e cazzeggi.

SANITÀ, ECCO IL MASSIMO
La passione per case di cure, clinic centers, camici bianchi e business ci porta ad un altro protagonista della storia
, Massimo Fini, fratello del presidente della Camera. Ma per arrivarci dobbiamo passare attraverso uno snodo base, lo svincolo di tutte le sanità capitoline e non solo: la famiglia Angelucci, passata dalle barelle di don Tonino – oggi sugli scranni di palazzo Madama con la casacca del Pdl – alla creazione di un vero e proprio impero sanitario, capace di allungare i suoi tentacoli sul mondo dei media, attraverso strategiche quote di partecipazione nei quotidiani Libero e il Riformista. E prima nell’Unità, «salvata dai barellieri, come era già successo con Marialina Marcucci ricordano ancora i cronisti del giornale fondato da Antonio Gramsci – figlia di Guelfo Marcucci, il re del sangue ancor oggi alla sbarra a Napoli nell’ambito del processo per la morte di migliaia di emofiliaci».
Proprio nell’area dei Castelli, in prossimità dell’Appia antica, si trova la mitica ex magione di Sofia Loren. Poi passata alla figliastra Guendalina e al suo compagno Valerio. Quindi venduta a Tonino Angelucci. Tanto per restare in tema di abitazioni che contano, nella zona segnalano quella dell’uomo ovunque della finanza italiana, Cesare Geronzi, re di Capitalia e di Generali, il quale ufficialmente risiede nel comune di Marino.
Ma torniamo agli Angelucci e alla corazzata di famiglia,
Tosinvest (che detiene le quote nei giornali). Ai cui vertici siede Carlo Trivelli, figlio di un grosso calibro dell’ex Pci, Renzo Trivelli, per anni leader della Fgic. “Dipendente” eccellente di Tosinvest dal 1986 è Massimo Fini, negli ultimi anni sempre più in carriera, soprattutto grazie a una poltrona da novanta, quella di direttore sanitario dell’istituto San Raffaele, tanto caro a Silvio Berlusconi e all’amico di una vita, don Luigi Verzè. Gli incroci non finiscono mai, ed eccoci ad un “passaggio” che conta: quello di una creatura made in San Raffale, il centro Panigea, che improvvisamente passa dai conti di don Verzè a quelli di Patrizia Pescatori, la consorte di Massimo Fini.
La provvidenza aiuta camici e camerati, l’istituto si trasforma magicamente in clinica, che verrà lautamente convenzionata, via (il poi odiato) Francesco Storace, a quel tempo presidente della Regione Lazio. La storia si fa man mano più intricata, e a lady Fini-Pescatori si affianca, nel business, un’altra dark woman, Daniela Di Sotto, ovvero la prima moglie di Gianfranco Fini, poi sloggiata da Elisabetta Tulliani, già ex di Luciano Gaucci, il vulcanico patròn del Perugia calcio per anni “rifugiato” a Santo Domingo.

PANIGEA TUTTA D’ORO
Delle convenzioni d’oro pro Panigea si trovano ampi riscontri nelle inchieste su sanità e affari condotte dalle procure di Bari e Potenza. Molte le intercettazioni telefoniche (soprattutto quelle ordinate dall’ex pm potentino oggi in servizio a Napoli, John Woodcock) che vedono protagonista
Daniela Di Sotto, interlocutore privilegiato Luigi Proietti Cosimi, all’epoca segretario particolare del marito Gianfranco, detto “Checchino”. Daniela spesso e volentieri la fa pesare, rivendicando con orgoglio un suo ruolo primario nell’ottenimento delle faticose – ma lucrose – convenzioni: «Io sono andata a sbattermi il culo con Storace», sbotta più volte con aplomb anglosassone. E tanto sbattimento, infatti, produce sonante pecunia, tradotta in laute convenzioni – a favore di Panigea – per i più costosi esami clinici, come Tac e risonanza magnetica.
In ambienti sanitari capitolini ricordano ancora l’incredibile exploit della creatura di casa Fini, capace di superare ataviche barriere burocratiche:
«la richiesta di convenzione presentata da Panigea era dell’11 febbraio 2005. La sempre lenta Asl quella volta si sveglia dal letargo e in tre giorni dà il suo parere favorevole. Passano neanche quattro giorni e viene approvata la delibera di giunta: tutto in una magica settimana, da vero guinness dei primati». Due mesi dopo, travolta dagli scandali, la giunta Storace molla; ma la delibera, a quanto pare, non ha subito contraccolpi. Per la felicità di Panigea, che ha visto lievitare i già non esigui proventi, che un anno prima, nel 2004, sfioravano i 2 milioni e mezzo di euro.
Niente male, del resto, le performance di un’altra creatura di casa Fini, sempre dedita alla salute e con un occhio ben attento ai suoi conti correnti: si tratta di una società a responsabilità limitata
, Emmerre 3000, che nasce sulle ceneri di una sigla fallita. Ma ecco che la dinamica Daniela, con la collaborazione di Luigi Proietti (Cosimi), riesce in un altro miracolo (anzi due): far sì che la convenzione passi dalla vecchia alla nuova società, sempre grazie ai buoni uffici di Storace; ottenendo poi subito l’ok da parte della Asl di riferiemento, Roma C. Meglio non dar nell’occhio e partire in sordina. E perciò è esiguo il fatturato iniziale, solo 30 mila euro, nel 2002, per prestazioni in campo fisioterapico. Ma dopo appena due anni il boom, che consente di superare abbondantemente il tetto di mezzo milione di euro.
Le inchieste giudiziarie, comunque, partoriscono il classico topolino, e neanche quello. Nessuna tresca tra i Fini e Storace, tutto ok, trasparente come l’acqua più cristallina. E così le due società macinano utili, anche se la coppia Fini-Di Sotto nel frattempo scoppia e le due cognate (
Pescatore-Di Sotto) cominciano a litigare. Il fratello Massimo, dal canto suo, è sempre più una fulgida stella dell’impero di don Tonino Angelucci e sons.

 

VELTRONI-FINI – FRATELLI D’ITALIAultima modifica: 2011-04-15T00:29:00+02:00da iskra2010
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