Paghi chi non ha mai pagato – Speciale Pensioni

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La manovra del governo Monti

La manovra del governo Monti realizza un intervento di dimensioni sostanzialmente costanti, tra i 20 e i 21 miliardi, in ciascuno degli anni del triennio 2012-2014 (20,185 nel 2012; 21,310 nel 2013; 21,423 nel 2014).

La manovra del governo Monti si aggiunge a quelle del governo Berlusconi. Il totale delle tre manovre approvate nel 2011 varrà quasi 50 miliardi nel 2012, 76 nel 2013, 81 nel 2014. Si tratta con tutta evidenza di cifre enormi, che non hanno confronto neppure con le manovre più pesanti approvate nella storia del paese (siamo quasi al doppio della manovra Amato del ’92).

Le cifre sono pensate per l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Ma con tutta evidenza interventi di questa natura avranno un pesante effetto recessivo sull’economia, accentuando ulteriormente la spirale austerità/ diminuzione del Pil e delle entrate fiscali/ aumento del deficit e del debito rispetto al PIL. Le stime sulla diminuzione del Pil nel 2012 ipotizzano una contrazione superiore all’1,5% nel 2012 (- 1,6 secondo Confindustria). 

Questo è tanto più grave in una situazione in cui il tasso di risparmio delle famiglie è diminuito dal 12% del Pil nel 2003 al 5% nel 2010. La recessione significherà nuova disoccupazione, in una situazione già gravissima con quasi un milione di posti di lavoro persi dall’inizio della crisi. Con la disoccupazione giovanile oltre il 30% e le possibilità di lavoro delle ragazze e dei ragazzi bloccate dall’intervento sulle pensioni.

La manovra si compone prevalentemente di nuovo entrate. Il rapporto tra maggiori entrate e tagli di spesa è pari all’88% nel 2012, al 79% nel 2013, al 75% nel 2014. 

I tagli alla spesa sono concentrati massicciamente nel capitolo delle pensioni. A regime varranno per 20 miliardi. Si realizza una vera e propria riforma strutturale profondamente regressiva. La peggiore controriforma nella storia del paese.

I taglia alla spesa. L’intervento sulle pensioni2
Rivalutazione dei trattamenti pensionistici.
Il passaggio parlamentare ha introdotto, anche a seguito della mobilitazione delle organizzazioni sindacali alcune modifiche rispetto al testo originariamente presentato dal governo. In particolare sono state modificate le previsioni iniziali del blocco 1 Questo vale se gli interventi sull’Iva saranno effettivamente considerati integralmente sostitutivi del taglio delle agevolazioni fiscali, previsto dalla cosiddetta delega fiscale approvata dal governo Berlusconi. Nel caso diventassero in corso d’opera aggiuntivi, come ipotizzano alcuni (tra cui l’analisi di Roberto Romano pubblicata sul sito di Sbilanciamoci) l’entità della manovrà salirebbe nel 2013 a 34,429 miliardi e nel 2014 a 37, 823 miliardi. 2 Per l’analisi di dettaglio dell’intervento sulle pensioni si rimanda al documento della Cgil a cura di Rita Cavaterra e Sandro Del Fattore del 29 dicembre 2011. Nel documento vengono riportate in dettaglio anche le deroghe previste, con le pesanti differenze che si registrano persino in relazione ai diversi mesi di nascita. dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita, che nell’ultima versione hanno risparmiato le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo. Si tratta delle pensioni lorde entro i 1405,05 euro, al netto intorno ai 1100 euro. Per tutte le altre non ci sarà alcuna rivalutazione. Si tratta con tutta evidenza di una perdita pesante che non colpisce certo redditi elevati, e che va letta anche in relazione alla perdita di potere d’acquisto che le pensioni hanno avuto in questi anni per la composizione del paniere su cui è calcolata la rivalutazione. Va ricordato inoltre che ormai da molti anni le pensioni non sono più agganciate all’aumento delle retribuzioni.

Passaggio per tutti al sistema contributivo.
Dal 1 gennaio 2012 viene esteso a tutti il sistema contributivo. Come è noto nel ’95 la “riforma Dini” aveva escluso dall’applicazione del contributivo quelle lavoratrici e quei lavoratori che al 31 dicembre di quell’anno avessero già versato almeno 18 anni di contributi. La pensione di questi lavoratori aveva continuato ad essere calcolata sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni. Ora a coloro tra questi che non sono già andati in pensione, la pensione maturata dopo il 31 dicembre 2011 sarà calcolata con il sistema contributivo, notoriamente meno vantaggioso. In aggiunta come osserva correttamente il Sole 24 ore del 23 dicembre, si innesca un meccanismo per allungare anche per questa via la vita lavorativa.

Abolizione delle quote e delle pensioni di anzianità. Introduzione della pensione anticipata.
Dal 1° gennaio 2012 l i canali per andare in pensione sono due: la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata.

Vengono abolite le pensioni di anzianità e le quote (cioè la somma tra età anagrafica ed anzianità contributiva per l’accesso alla pensione, che per il 2012 era 96). Per andare in pensione prima dell’età fissata per la pensione di vecchiaia non basteranno più i 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età. Ce ne vorranno 42 e 1 mese per gli uomini e 41 e 1 mese per le donne.

Questi requisiti cresceranno di 1 mese nel 2013 e un altro mese nel 2014. Ad essi inoltre dal 2013 si applicherà il meccanismo di incremento legato alla crescita dell’aspettativa di vita. Per questo le simulazioni sulla base degli ultimi scenari demografici, portano i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata ad esempio nel 2019 a 43 anni e 2 mesi per gli uomini e 42 anni e 2 mesi per le donne, al 2027 saranno di 44 anni e 2 mesi per gli uomini e 43 anni e 2 mesi per le donne, con un continuo incremento dell’età di pensionamento.

Vengono inoltre previsti disincentivi per chi pur raggiungendo questi requisiti, dovesse chiedere la pensione anticipata prima dei limiti anagrafici previsti per la vecchiaia. Le penalizzazioni saranno dell’1% per ogni anno di anticipo rispetto a 62 anni e del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 60 anni. Così se un lavoratore raggiunge il diritto alla pensione anticipata a 57 anni, subisce una penalizzazione dell’8% della pensione maturata.

I nuovi requisiti per la pensione di vecchiaia.
Il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue dal 1 gennaio 2012 in base a questi
requisiti:
1. raggiungimento dell’età minima prevista. 
2. 20 anni di contribuzione
3. per coloro che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1 gennaio 1996, il raggiungimento di un importo di pensione pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale.

Prima di passare all’analisi delle modifiche introdotte sull’età è utile analizzare i requisiti dei punti 2 e 3 tutti pesantemente peggiorativi rispetto alla situazione preesistente.

Infatti le norme fino ad oggi prevedevano 5 anni di lavoro effettivo per il diritto alla pensione e un importo della pensione pari a 1,2 volte l’assegno sociale. La nuova norma penalizza pesantemente i percorsi di lavoro discontinui, e cioè le donne e i precari. Il diritto alla pensione con 5 anni di contribuzione effettiva e senza riferimento all’importo della pensione valgono solo a partire da 70 anni.

Per quel che riguarda l’età, come è noto, la pensione di vecchiaia a partire dal 1 gennaio sarà di 66 anni per gli uomini del settore pubblico e privato.

Per le donne si accelera fortemente il percorso di cosiddetta equiparazione dell’età pensionabile agli uomini. Per le lavoratrici del settore pubblico sarà di 66 anni, come per gli uomini, dal 2012. Per le lavoratrici dipendenti dal settore privato sarà di 62 anni nel 2012, per arrivare nel 2018 a 66 anni e 7 mesi. Nel 2018 si realizzerà cioè la piena “equiparazione” tra lavoratori e lavoratrici e tra pubblici, privati, autonomi. L’età per la pensione di vecchiaia continuerà poi a crescere, in relazione all’aspettativa di vita, fino a 70 anni e oltre, dovendo comunque essere non inferiore ai 67 anni nel 2021.

L’aliquota contributiva del lavoro autonomo.
Sulla questione complessiva del costo del sistema previdenziale si tornerà più avanti.

Qui si anticipa solo il fatto che come è noto nel bilancio dell’Inps, l’attivo del fondo dei lavoratori dipendenti copre i passivi di una serie di altri fondi e sicuramente il passivo più rilevante è quello dei lavoratori autonomi. Il testo originario della manovra prevedeva un incremento irrisorio delle aliquote contributive per i lavoratori autonomi, poi corretto in modo assai parziale, con la previsione di un aumento percentuale dell1,3% dell’aliquota nel 2012 per poi arrivare nel 2018 all’aliquota complessiva del 24%. Se questo incremento fosse stato immediato si sarebbe avuto un gettito aggiuntivo di 3,2 miliardi. Se l’aliquota fosse stata equiparata a quella dei parasubordinati (27%) il gettito aggiuntivo sarebbe stato di oltre 5 miliardi.

La decontribuzione. Ovvero come affondare il sistema previdenziale pubblico.
Va sottolineato come nella manovra sia prevista l’istituzione di una Commissione che dovrà valutare entro il 31 dicembre 2012 eventuali decontribuzioni dell’aliquota obbligatoria da indirizzare verso la previdenza integrativa. Emerge con tutta evidenza la volontà di destrutturare il sistema pubblico a favore dei fondi pensione.

Fare cassa sulle pensioni
Come abbiamo sottolineato fortemente questo intervento ha come sola giustificazione la scelta di fare cassa sulle pensioni.

E’ falso infatti che l’Italia spenda per le pensioni più del resto d’Europa: se si usano dati omogenei, togliendo dai conti le tasse altrove bassissime o inesistenti (che valgono 2,5 punti di Pil )e il TFR (che vale 1,5 punti di Pil e che non è spesa pensionistica, ma le restituzione di un prestito forzoso dei lavoratori alle aziende), l’Italia è pienamente nella media europea. Nel 2009 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni pensionistiche al netto delle tasse, cioè quello che effettivamente esce dalle casse dello stato e va nelle tasche dei pensionati, è stato attivo per 27,6 miliardi.3 Ed il bilancio dell’Inps è in attivo ormai da anni, nonostante la pesante iniquità del sistema data dal fatto che il fondo dei lavoratori dipendenti, dei parasubordinati e quello per le prestazioni temporanee, coprono i passivi degli altri fondi (autonomi, dirigenti, clero).

Ed è falso anche che l’età di pensionamento effettivo del nostro paese fosse inferiore a quella degli altri paesi europei. All’opposto sono le nuove norme ad introdurre ora nuove pesanti differenze in negativo.

In conclusione
L’insieme degli interventi della manovra realizzano una controriforma strutturale delle previdenza. Si può dire che il suo segno di fondo sia l’ulteriore sganciamento delle pensioni dal salario. I contributi, che sono salario differito delle lavoratrici e dei lavoratori, vengono utilizzati per scopi diversi da quelli per cui sono versati. Mentre come emerge chiaramente dalla previsione della Commissione per la decontribuzione, istituita con l’intento evidente di ridurre i contributi previdenziali pagati dalle aziende e magari di obbligare i lavoratori ad iscriversi ad un fondo pensione, si continua a lavorare al definitivo smantellamento del sistema previdenziale pubblico.

Le immediate ricadute sociali sono:
-l’allungamento dell’età di lavoro fino ad oltre 6 anni rispetto alla normativa preesistente, con un impatto pesantissimo sulla vita delle persone tanto più a fronte di una crisi che espelle i lavoratori e le lavoratrici più anziane dai posti di lavoro 
-la penalizzazione ulteriore dei giovani rispetto alle possibilità di accesso nel mercato del lavoro
-la penalizzazione ulteriore delle donne su cui si scarica un peso micidiale
-l’introduzione di pesanti discriminazioni tra mese e mese di nascita rendendo il raggiungimento della pensione una sorta di terno al lotto
-la penalizzazione ulteriore dei redditi medio bassi

Per questo è inaccettabile l’idea che la controriforma Monti si possa considerare la chiusura della partita sulla previdenza.

E’ dunque necessario che la nostra iniziativa di denuncia non si fermi e che su questo terreno si articoli una piattaforma organica che:
3 I dati sono tratti da F.R. Pizzuti “Tutto quello che non ci dicono sulle pensioni ma che è utile sapere” Liberazione 13 novembre 2011. Su questi stessi temi F.R. Pizzuti che è uno dei massimi esperti di welfare ed in particolare di sistemi previdenziali, autore dell’annuale Rapporto sullo Stato Sociale, ha scritto numerosi altri articoli.
-oltre alla necessità di rimuovere la controriforma varata, affronti il tema assolutamente prioritario, del diritto alla pensione per le giovani generazioni e i lavoratori precari;
-affronti organicamente le iniquità del sistema, dalle pensioni d’oro al nodo dei diversi fondi;
-sottolinei l’intollerabilità di un’evasione contributiva che sfiora i 30 miliardi annui, e del fatto che l’Inps vanta crediti “definiti” di 28 miliardi dalle aziende e non riscossi.
-rilanci la proposta di un fondo pubblico per le pensioni integrative opposto alla logica di nuova incentivazione della previdenza privata della Commissione per la decontribuzione.
Una proposta su cui caratterizzare il profilo del nostro partito in maniera non episodica.
Paghi chi non ha mai pagato – Speciale Pensioniultima modifica: 2012-01-26T12:55:00+01:00da iskra2010
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