Proporzionale e lotta di sociale

 

100_2563+logoMOWA.jpgfoto MOWA


da Angelo Ruggeri 

Dall’abbattimento del proporzionale alla prevaricazione dell’esecutivo al presidenzialismo.

PERCHE’ BLOCCARE LA REAZIONE

L’Unità, dopo essere passata dagli articoli di fondo di Gramsci a quelli di Paolo Villagio, pubblica ormai, in prima pagina, gli articoli del presidente dei giovani industriali, passando così dagli articoli di Di Vittorio a Fumagalli; il Manifesto censura gli articoli che non si appiattiscono dietro la linea del “polo progressista” neoconservatore di Occhetto e Liberazione traccheggia in nome dell’unità a sinistra. Complessivamente, sembra mancare alla stampa di sinistra, o a quella cosiddetta tale, la capacità di porsi come strumento di vero e libero confronto e analisi senza filtri e precondizionamenti politici.

Tutto questo non fa che rimarcare ed esaltare la necessità e la funzione positiva, per molti aspetti insostituibile, di giornali come “il lavoratore/oltre” che, come altri giornali di libera stampa comunista e di sinistra, hanno invece sempre privilegiato e favorito il libero confronto e l’analisi critica dei fatti, di cui è un esempio l’articolo che qui di seguito pubblichiamo. Analisi critica e funzione di giornali come “il lavoratore/oltre”, ci sembrano oggi ancor più necessarie per saper capire e riflettere “oltre” le semplificazioni e le personalizzazioni della politica, esaltate da un sistema elettorale che, dopo essere stato contrastato da una parte della sinistra, sembra essere supinamente accettato da tutti.

 

di Angelo Ruggeri e Salvatore D’Albergo *

Mussolini che prima di andare al governo, nel 1921, denunciava lo Stato come “ipertrofico” e ogni azienda statale come un “disastro economico”, proclamando che il fascismo “è antimonopolista” e che – come dicono oggi i gruppi del “polo progressista” – lo Stato deve esercitare “tutti i controlli possibili immaginabili, ma deve rinunciare ad ogni forma di gestione economica”. Aggiungeva poi che “anche i servizi cosiddetti pubblici devono essere sottratti al monopolio statale”. Il Popolo d’Italia 7/1/1921. (Cosa quest’ultima che in realtà si è realizzata con la riforma del Titolo V della Costituzione operata dal Centrosinistra).

Per quanto possa sembrare ovvio, che solo dopo il 5 dicembre si possa ragionare, fuori dalla psicosi elettorale, sulla qualità e sulla consistenza di un “polo progressista” esaltato anche dal Manifesto, sembra, però, necessario collegare la vicenda della tattica elettorale con la strategia futura. Ciò si può fare assumendo, come guida, le conclusioni di Marco Revelli che, su “Il cerchio quadrato”(domenica 28) ha sostenuto – dopo un’analisi, mai prima compiuta, sulla cultura della nuova destra” italiana – che “difficilmente si resta nella storia” se, anche vincendo un turno elettorale, “sfumano sullo sfondo gli operai”, e la sinistra “pensasse di ridurre il tutto a questioni di alleanze”, illudendosi “di poter aggirare il problema di un progetto sulla società”.

Se infatti, oggi, il centro si dissolve in due destre contrapposte, sta a noi – soprattutto quando si va a parlare, come si è fatto, ai giovani dei “centri sociali” e a quanti dubitavano della sinistra “storica” e “istituzionale” persino quando non era meramente “progressista”, ma veniva discriminata perché “anticapitalista” – chiarire, dopo il voto, un discorso che non presenti la situazione solo nel segno dello stato di “necessità” e di “emergenza”, eludendo così la critica che riguarda l’abbandono, da parte della sinistra, del terreno della lotta sociale e quindi della valorizzazione del pluralismo sociale anche ed anzitutto tramite l’abbandono del sistema elettorale proporzionale “puro”.

Una scelta questa che, fatta in favore di una politica puramente “istituzionale” ed elettorale, ha legittimato la controffensiva politica e culturale delle forze moderate e reazionarie che, alcune con le proposte sull’uninominale, altre con l’invocazione del “presidenzialismo”, sono protese a rimuovere la legittimità del conflitto sociale nei termini previsti dalla stessa Costituzione repubblicana e antifascista.

La durezza e l’incertezza dello scontro elettorale, particolarmente a Roma e a Napoli, sono state determinate, anche dal fatto che sono entrati a far parte del “senso comune”, con gravi rischi di egemonia della destra estrema, idee-forza come quelle che affermano la preferibilità del “mercato” anziché dello “Stato”, delle “Carte dei diritti” anziché delle forme di “potere” sociale e politicodi cui i diritti sono la conseguente e concreta espressione, delle garanzie per l'”individuo” e non per l’aggregazione sociale e politica collettivamente intesa. 

In conseguenza di questo e in nome – non più della trasformazione del sistema – del “cambiamento” e della “modernizzazione”, si sono così riesumati strumenti elettorali precedenti il suffragio universale maschile, che sono facilmente manipolabili a favore dei partiti di destra che organizzano le masse contro gli interessi reali della masse, sia di quelle più garantite che di quelle più emarginate.

Non è quindi un caso che subito, fin dalle prime elezioni con i nuovi sistemi elettorali, sono risultati avvantaggiati i partiti di destra.

E’, del resto, dal 1964 che Miglio si batte contro il Parlamento e a favore dei vertici dello stato; è dalla metà degli anni settanta che la “P2” spinge verso la destrutturazione della democrazia e del sistema politico ed elettorale, trovando sullo stesso versante ancora il progetto di Miglio – divenuto nel frattempo “leghista” -, la conferma della linea “presidenzialista” del MSI, che risale alla proposta della Repubblica Sociale Italiana del 1943. Tutto questo mentre è sempre più insistita la rivendicazione da parte di Pannella, dell’uninominale “secca” di stampo britannico, per realizzare proprio quel bipolarismo che, conseguentemente e non improvvismente, ha rischiato di dare la palma a Fini, e in genere alla destra ovunque e comunque denominata.

Ma è solo dal 1985 che le spinte alla “grande riforma” craxiana – già precedentemente appoggiata dai “miglioristi” del Pci-, hanno trovato un imprevedibile avvallo, prima nella proposta ingraiana di un “governo costituente” per introdurre il metodo dell’alternanza, al posto dell’alternativa propugnata dall’ultimo Berlinguer, riesaminando il sistema elettorale proporzionale “per accrescere il potere di scelta e di decisione dei cittadini”, e poi nella proposta occhettiana, trasferita dal Pci al Pds, di operare una “discontinuità”, ponendo in primo piano non più la lotta di classe, ma la “questione del governo”: prendendo cioè, nelle proprie mani, la ragioni della “stabilità, della capacità di governo, dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione pubblica”.

Se, giustamente, ci si preoccupa dell’avanzata della destra politica, occorre non dimenticare – nel momento in cui si vuole rimediare ai guasti del dogmatismo posto a base del “socialismo reale” – che la situazione di tipo “prefascista”, dal punto di vista del regime che poi si fissò per un ventennio con il suo “statalismo”, maturò per gli “slogans” di Mussolini che prima di andare al governo, nel 1921, denunciava lo Stato come “ipertrofico” e ogni azienda statale come un “disastro economico”, proclamando che il fascismo “è antimonopolista” e che – come dicono oggi i gruppi del “polo progressista” – lo Stato deve esercitare “tutti i controlli possibili immaginabili, ma deve rinunciare ad ogni forma di gestione economica”. Aggiungeva poi che “anche i servizi cosiddetti pubblici devono essere sottratti al monopolio statale” ( Il Popolo d’Italia 7/1/1921).

Si tratta di atteggiamenti “ideologici”, che sono facilmente modificabili, anche da parte di chi, oggi, sostiene le stesse cose, nel passaggio dalla fase tattica di conquista del governo, a quella strategica di conquista e gestione del potere.

Atteggiamenti ideologici che impongono però, alla sinistra, la ricerca dell’antidoto “ideologico”, reso necessario all’elaborazione di un blocco sociale e di un progetto di società e di governo, che sia all’altezza con i problemi odierni. Problemi odierni che sono quelli sollevati dal dilagare del capitale finanziario, anchenelle forme istituzionali di un imperialismo, che non si può combattere con la semplice rivendicazione di “Carte sociali”, di uno “stato sociale”, di una semplice difesa dell'”occupazione”, quando il potere del capitalismoprivato”, viene legittimato in nome della “managerialità”, della produttività dell’impresa che produce “profitti” e che, in linea di principio, non sono ormai più messi in discussione da nessuna forza di polo “progressista”.

Il tormento di chi doveva scegliere come votare domenica 5 dicembre, stava nel fatto che questi nodi stringono come un cappio, quanti si domandano se e come combattere “il pre-fascismo”, anche per evitare un nuovo fascismo, deve non già essere dimenticato, ma costituire la base di una ragionamento, tutto da sviluppare, soprattutto dopo i risultati del 5 dicembre.

* Centro Il Lavoratore e Movimento Nazionale Antifascista per il Rilancio della Costituzione

 

Proporzionale e lotta di socialeultima modifica: 2012-02-29T08:40:00+01:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo