COMMENTI su “IL VERO SIGNIFICATO DELL’ARTICOLO 18-APPELLO”

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da Angelo Ruggeri

APPELLO.

Nell’intento e con la volontà di dare un contributo su una questione vitale che riguarda la democrazia sociale e il ruolo e i poteri del sindacato ma anche dei lavoratori e dello Stato rispetto alle imprese, quindi rispetto l’economia, il lavoro e l’occupazione, proponiamo queste considerazioni e riflessioni, sul significato dell’articolo 18, all’attenzione di tutti, ovviamente, e alle Riviste, ai gruppi e movimenti ed in special modo agli amici e compagni dei sindacati e a tutti i soggetti individuali e collettivi direttamente interessati e impegnati a contrastare quello che, non a caso,la Confindustria vorrebbe cancellare, perché diversamente da quanto crede o pensa certa “sinistra”, l’articolo 18 COGLIE LA PARTE D’IMPRESA CHE COMUNQUE STA IN ITALIA (e non solo nel mondo): altrimenti la Confindustria se ne fregherebbe di insistere e pretendere l’abolizione dell’articolo 18. Anche per ciò occorre che come la Confindustria già fà, anche il sindacato ponga la massima attenzione ai problemi della revisione della forma di governo e delle legge elettorale a favore del proporzionale integrale.

Per questo ci permettiamo di chiedere contributi e anche di chiedere ai sindacalisti e a quanti impegnati nelle forze politiche e a tutti quanti ne abbiano la possibilità, di far pervenire queste considerazioni a quanti (e anche alla segreteria generale della CGIL, anche alla Camusso e a Landini) sono interessati e impegnati nel sindacato e nei partiti più o meno direttamente, in questa battaglia, e non da ultimo ai lavoratori e agli organismi di base e di organizzazione della democrazia dal basso sindacale, sociale e politica comunque intesi.

 

Centro “Il Lavoratore”

 

IL VERO SIGNIFICATO DELL’ARTICOLO 18 (dello Statuto chiamato, non a caso, dei “lavoratori e non “dei sindacati”)

A prescindere dalla posizione della destra sociale sull’art.18 è indispensabile e urgente togliere il nebbiogeno che su tale decisiva norma la segretaria della CGIL, Susanna Camusso, ha diffuso dicendo enfaticamente che tale norma è espressione di “civiltà”.

Tale espressione impedisce ai lavoratori (oltre che ai cittadini) di riprendere coscienza strettamente di classe che l’articolo 18 (non a caso datato al 1970) è stato introdotto per esprimere la convergenza dei principi sociali, su cui si fonda l’autonomia sindacale, con il ruolo politico democratico di intervento del legislatore, rivolto a coniugare i principi sociali e politici che caratterizzano la Costituzione italiana con i suoi Principi Fondamentali.

Infatti, in questa fase dominata dall’equivoco concetto di “globalizzazione” dell’economia (equivoco e anche infondato rispetto al modo in cui è stato inteso dalla cosiddetta “sinistra”), si vuol far perdere di vista alla classe operaia che l’impresa rimane comunque un istituto di potere a livello innanzitutto nazionale. Come dimostra (anche) la preoccupazione della stessa Confindustria e dei suoi alleati di abolire l’articolo 18.

E ciò proprio perché con tale articolo, il potere ordinatorio della magistratura di rimuovere i licenziamenti illegittimi, è lo strumento di prolungamento del potere sindacale al livello politico, mediante la connessione tra due poteri statali, come il potere legislativo (Legge 300 del ’70, Statuto dei Lavoratori) e il potere giurisdizionale di ordinare all’impresa il reintegro del lavoratore e di condannarla al risarcimento del danno illegittimamente subito dal lavoratore.

Come si vede, quindi, l’articolo 18 interferisce, in una prospettiva democratica oggi arrestatasi, sia con il diritto dell’impresa sia con il diritto del lavoro e sia con il diritto sindacale: cosa che sfugge anche alla stessa FIOM impegnata in una difesa dei “diritti” dei lavoratori che è resa vana nel (e dal) misconoscere che l’articolo 18 coinvolge i poteri dello stato, del sindacato e dell’impresa, per piegare il mercato – a favore dei lavoratori come corpo sociale e nei diritti che ne derivano – mediante il riconoscimento istituzionale della forza di pressione dei poteri democratici sia dello Stato sia del sindacato.

Occorre quindi che non solo i partiti ma anche il sindacato – e qui il pensiero va a quella parte di sindacato che mostra una maggiore criticità e volontà di lotta – ponga la massima attenzione ai problemi della revisione della forma di governo e della legge elettorale a favore del proporzionale integrale, se si vuole che la rappresentanza sindacale possa ancora e come all’epoca dell’emanazione dello Statuto dei lavoratori, svolgere il ruolo assegnatogli dall’articolo 39 della Costituzione.

Milano, 26 Gennaio 2012 Il centro culturale di iniziativa politica e socialeIl Lavoratore

 

da:Domenico Chirico

IL VERO SIGNIFICATO DELL’ARTICOLO 18-APPELLO

Nelle correnti analisi difficilmente il tema dei “diritti” è collegato alla questione dei “poteri” senza riferimento ai quali nessun diritto può essere esercitato e soprattutto non è possibile capire perchè un potere come confindustria insisterebbe per l’abolizione dell’art 18 in quanto pone un “diritto” destinato ad incidere sul “proprio” potere. Quel “diritto al reintegro” in caso di licenziamento illegittimo – sostanzialmente, il più delle volte, dovuto ad attività sindacale -, si pone esattamente all’incrocio tra democrazia economica, politica e sociale,la cui connessione serve a rompere il recinto dell’impresa per immettervi tutta la democrazia possibile, in contrasto diretto col potere gerarchico interno, controllato dall’imprenditore. Il passaggio analitico successivo è proprio quello di evidenziare come questo diritto sarebbe tuttavia privo di efficacia se non si collegasse con gli strumenti di programmazione, indirizzo e controllo del processo economico complessivamente inteso, che fa perno almeno su due cose: sul potere democratico delle assemblee elettive, in primis il parlamento, che è un potere di tipo “nuovo” in senso soggettivo solo a condizione che sia eletto proporzionalmente, altrimenti altro non è che un parlamento protoliberale; e sul controllo pubblico del sistema bancario, come condizione per un controllo effettivo del processo di accumulazione sul versante monetario e finanziario.

Ne deriva, se il ragionamento fila, che la lotta per il proporzionale si collega alla lotta per la difesa dell’art. 18, alla necessità di rilanciare la democrazia sindacale, alla necessità di ri-pubblicizzare le banche, previamente ricondotte alla distinzione tra banche di credito e banche di investimento.

Questo mi pare un asse analitico coerente e abbastanza efficace per spiegare le ragioni della pressione forsennata su un punto come l’art. 18, in presenza di un governo ultraliberista-golpista e consente di misurare tutta l’inadeguatezza della risposta che la Cgil e l'”a-sinistra” hanno sino ad ora mostrato, ragionando di “civiltà” e non invece di “potere”.


di Angelo Ruggeri

Proporzionale e articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Lavoratori e articolo 18 tra classismo e interclassismo

L’approfondito commento sul vero significato dell’articolo 18 svolto da Domenico Chirico, ricercatore e autore, tra l’altro, del libro “PROFILO DEI RAPPORTI TRA POTERE POLITICO E POTERE ECONOMICO NELLE DINAMICHE DELL’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO, Bonomo ed. Bologna, contiene le opportune e dovute considerazioni sull’irrefutabile nesso tra art.18 e il proporzionale integrale e, quindi, il sistema politico-istituzionale costituzionale della “REPUBBLICA” DEMOCRATICA, ovvero non lo Stato persona giuridica ma lo Stato comunità e tutto il sistema istituzionale-territoriale sia della democrazia rappresentativa delle assemblee elettive sia della democrazia diretta dei consigli e delle assemblee sociali e territoriali (su cui mi ero diffuso in particolare con le considerazioni contenute nella “Lettera sul proporzionale integrale”, stimolatami da Paolo Barrucci con riferimento ai c.d. “beni comuni”). Il commento di Domenico ha stimolato queste ulteriori considerazioni che riguardano sia il proporzionale che l’articolo 18, in quanto concernono le conseguenze dirette dell’abbandono teorico, anzi del vero e proprio rovesciamento storico e teorico delle posizioni che vengono rubricate come “di sinistra” ma che sono del tutto assimilabili a quella della “sinistra parlamentarista” liberale borghese dell’800 e del pre-fascismo.

In tale snaturamento la conseguenza più eclatante sia sul piano teorico che sul piano dei comportamenti e degli esiti che finiscono con l’essere più disastrosi per i lavoratori sul terreno sociale più ancora che su quello politico, è quella che riguarda direttamente sia il proporzionale che lo Statuto e l’art. 18, la manomissione dei quali si colloca nel solco della scelta volta a svuotare la natura sorretta e affermata dalla nostra Costituzione, del carattere di classe della posizione e della funzione del lavoro nei rapporti tra la società, la Repubblica e lo Stato.

Svuotamento che abbiamo più volte denunciato in passato ma a cui oggi si confà una parte del sindacato (che anche per ciò non si spende e non si batte per il proporzionale puro) che non solo si appiattisce sullo strumento referendario proposto anche per la “consultazione” (sic!) dei lavoratori e sul principio maggioritario affermato col maggioritario sindacale dai sindacati maggioritariamente rappresentativi, ma mira a fare della classe operaia e dei lavoratori solo una variante dei diritti individuali della “persona”.

Così perdendo del tutto il senso e il significato storico, e perciò concreto e reale, dell’art. 18 così come quello del sistema proporzionale integrale, eliminando il quale si elimina una rappresentanza che sia anche sociale e di classe, per il tramite di un ritorno alla diade destra/sinistra che, col maggioritario o con lo sbarramento (con cui si ottiene lo stesso effetto), porta all’appiattimento omologante e persino al mistificante discutere circa il fatto se in Italia vi sia una o più “sinistre” (sic), che allontana nel tempo la possibilità di una nuova presa di coscienza di massa.

Presa di coscienza che può passare da un incardinamento dell’opposizione politica su una opposizione socialedi cui il proporzionale integrale è l’asse di unificazione tra il politico-istituzionale-politico e l’autonomia sociale dei lavoratori (prima e più dei sindacati e dei loro vertici che si appropriano di una rappresentanza che spetta al potere dei lavoratori) che scavalchi il “cretinismo parlamentare” imposto dalla “parlamentaristica” rappresentanza espressa con la manipolazione del voto popolare, tramite meccanismi maggioritari e di sbarramenti volti a tagliare alla base la rappresentanza sociale e di classe.

Una presa di coscienza, insomma, che con tale incardinamento, col proporzionale e nel rispetto dello Statuto dei Lavoratori e del significato dell’art 18, riattribuisca al sociale, il ruolo di formazione e impostazione degli indirizzi politici (confiscato dai vertici partitici e istituzionali), capaci di coniugarsi con lotte volte a trasformare i rapporti sociali e non a registrarli e mantenerli.

Tanto più oggi che, ad onta della demonizzazione dei rapporti di classe negli stati nazionali, le trasformazioni in corso legittimano il rilancio dell’internazionalismo (da sempre bandiera del movimento operaio) come antitesi, resa più matura e potenziata, dalla “globalizzazione” dei poteri finanziari, operata sia attraverso le istituzioni nazionali che sovranazionali.

Non è infatti per caso, ma per l’imporsi di un nuovo tipo di lettura della realtà sociale e politica, che nei momenti di più intensa lotta di classe, non si sia parlato più di “destra/sinistra” nè di “conservatori” e “progressisti” (come oggi si è tornati a fare, oltretutto con una notevole dose di vergogna se si è sentito il bisogno di coprire tali vetuste espressioni con denominazioni prive di senso socio-politico come “ulivo”, “margherita”, “quercia”, “asinello”, “Italia dei valori”) ma di “estrema sinistra“, di “rossi” in antitesi a forze “reazionarie” e “moderate”, proprio per la necessità di riprodurre, in sede di analisi socio-politica-istituzionale, il senso di una dislocazione delle forze contrapposte che diveniva incompatibile con quella nella quale alla lotta per lo Stato (stato di diritto borghese in nome della libertà economica e della libertà politica della parte aristocratica della società), si è sostituita la lotta per il superamento dello stato di dirittoin nome di parole d’ordine del tutto nuove, come “emancipazione” e “democrazia sostanziale”, la cui portata innovatrice è stata tale da incidere profondamente sulla stessa struttura e funzione dei partiti della classe operaia, anche attraverso la ben nota “querelle” dei rapporti tra socialisti e comunisti.

Donde l’irrefutabile nesso tra proporzionale integrale e articolo 18 che dovrebbe portare tutti coloro che non vogliono svendere o depotenziare l’art. 18, a rilanciare e sviluppare la lotta e le iniziative parimenti rivendicando il proporzionale integrale e viceversa.

Su tale terreno, nè su l’uno nè sull’altro e tanto meno sul loro nesso, si trova o può trovarsi ad essere la Camusso, antesignana craxiana di Cofferati, (organico alla destra PCI di Napolitano).

Come pensiamo si sia capito e come abbiamo detto (e come ho potuto dire anche ad Agostinelli in un incontro) non è solo la Camusso (che dice essere una norma di “civiltà” giuridica) ma anche Landini (che afferma essere una questione di “dignità della persona”).

Entrambi ricalcano la destra sindacale di Cofferati impedendo ai lavoratori di riprendere coscienza ( di classe) del vero significato dell’articolo 18

La Camusso è stata imposta da Cofferati prima (pur non avendo la maggioranza richiesta dallo Statuto interno) come segretaria generale della CGIL Lombardia (come ben sa Agostinelli che ha fatto le spese dell’autoritarismo di Cofferati) e poi della CGIL nazionale. Lo stesso Cofferati che avviò, nel modo più eclatante, lo snaturamento (non già imposto dalla natura della c.d. “post-modernità”, ma dalle insane ambizioni di un professionismo politico che annulla la distinzione tra pre-modernità, modernità e post-modernità) dell’ l’articolo 18 difendendolo dall’attacco del governo Berlusconi dicendo che la norma riguarda “la dignità della persona”.

Ora Landini, segue e prosegue il lavoro di Cofferati, determinando comportamenti ed esiti contrari agli interessi dei lavoratori, in quanto è insita in tale scelta quella di svuotare completamente (contro la realtà dei rapporti sociali e quindi finendo con l’identificarsi con gli interessi dell’ideologia dominante) il carattere di classe della posizione e funzione del “lavoro” nel sistema dei rapporti tra società e stato.

Per cui la Camusso (ma questo fa parte del suo DNA, di essere stata sempre “estrema destra” filo craxiana della Cgil e “vicina” ad Asso-lombarda confindustriale) e il Landini (e questo ci dispiace perché è segretario della Fiom) occultano e nascondo che l’art. 18 non è un’altra occasione per piangere mettendo i lavoratori in ginocchio, dicendo “ci toccano la dignità della persona” e “ci rubano i diritti” (come Landini ha fatto anche con la Fiat passando di sconfitta in sconfitta).

Ma è lo strumento che, tramite il potere ordinatorio della magistratura di rimuovere i licenziamenti, coinvolge e mette in rapporto tra loro i poteri dello Stato e del sindacato per piegare il mercato (con il controllo sociale e politico dell’impresa e tramite la programmazione economica dell’impresa) a favore dei lavoratori come corpo sociale e nei diritti che derivano da essi, mediante il riconoscimento istituzionale della forza di pressione dei poteri democratici sia dello Stato sia del sindacato.

Da ciò deriva la gravità non solo dell’atteggiamento mendace della Camusso ma anche di Landini, che èlo stesso per cui, con Cofferati, si fece una grande mobilitazione in nome della difesa dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, enfatizzando l’arroccamento sulla formula letterale di tale norma, senza volerne sottolineare l’incisivo significato classista – ma soprattutto la gravità della scelta di eliminare, in tal modo, in linea di principio, ogni valore di classe al rapporto di lavoro e di equiparare la situazione di sfruttamento e di alienazione della fabbrica e del lavoratore a quella di una qualsiasi “persona” che vive nella società civile i rapporti di diritto civile, che diversamente dal diritto sociale-costituzionale e del lavoro, non considerano la specificità di una relazione “determinata” come quella che nasce e che si vive dentro una fabbrica, all’interno dell’organizzazione del lavoro dell’impresa capitalistica.

Per tale strada Landini (come Cofferati e già anche per altri versi Carlo Rinaldini) aiuta sia i padroni e la Confindustria che il governo e i “tecnici” manager di banche e industria come Monti e Marchionne.

Come? Confondendo e mescolando i diritti civili e i diritti dei lavoratori(per questo taluni hanno potuto e cominciato ad indicare il Landini come un prototipo del sindacalismo americano) in un contesto di generici principi sulla “dignità della persona”, nonostante che, notoriamente, (e come dovrebbe essere chiaro al “tornitore” Landini: ma qui si dimostra che oltre alla pratica ci vuole la teoria della pratica) siano tra loro profondamente diversi, nascondendo (dietro la c.d. cittadinanza sociale) la specificità dell’organizzazione capitalistica rispetto ad ogni altra forma di relazione sociale.

Con ciò si mira, consapevolmente o meno , a due obiettivi convergenti:

– sollecitare le spinte “irrazionali” a credere che tutte le posizioni sociali siano identificabili in nome del “diritto individuale” e del “diritto della persona” acriticamente inteso e che basterebbe fondarsi sulla dignità anche nell’impresa per legittimare ben altro e ben più che la possibilità dei licenziamenti, il potere di partecipare come sindacato e lavoratori al “governo” dell’impresa (ma per questo basta e avanza la CISL o il “giallo” sindacato dei cittadini della Uil), parificando quindi tra loro, in nome della dignità della persona, i diritti dell’imprenditore, dei dirigenti e dei lavoratori, in quanto presupposto e quindi asserito che tali figure sono tutte “persone”, dotate alla pari tra loro del diritto alla dignità della persona, per cui Landini si batte e perde regolarmente;

– in tal modo si induce – ed è una ragione delle ripetute sconfitte – i lavoratori a subire la perpetuazione dello status di soggetto “deminutus” che il lavoratore ha sempre avuto proprio a causa della inconfondibile natura dell’organizzazione d’impresa che Landini occulta come Cofferati dietro la c.d. “dignità della persona” (la Camusso fa il suo mestiere di “cavallo di Troia”), con ciò inducendo a rinunciare a organizzare quel conflitto autonomo che veda la classe operaia scendere il lotta (non ognuno per sé come sta accadendo) tutta assieme per tutti ed ogni singola situazione di fabbrica, senza cui è destinata ad imporsi incontrastatamente la sovranità dell’impresa e i lavoratori sono costretti a salire sulle Torri e sui camini nella mancanza di solidarietà di lotta da parte di tutti gli altri.

Ed una prova di questo grave snaturamento , è data anche dal fatto che si approfitta (anche nel sindacato) dello strumento referendario: la cui natura specifica induce ad optare semplicisticamente per un “sì” o per un “no” ad un quesito “delimitato”, per evitare di cogliere nella questione affrontata dal referendum tra i lavoratori il significato vero dell’articolo 18 e la funzione stessa assunta dallo “statuto dei lavoratori”. Statuto checon la modifica dell’art.18 il governo attuale, sotto l’egida politica e ideologica della strategia dei centri di potere mondiale del capitalismo finanziario, punta ad aggredire nella sua portata più emblematica, con l’obiettivo strategico di trascinare il rapporto tra Stato, impresa e lavoratori alla situazione sociale e politica precedente gli anni ’70,con l’intento cioè di capitalizzare tutto l’arretramento che il fronte dei lavoratori ha visto compiersi dalla fine degli anni ’70 ad oggi.

COMMENTI su “IL VERO SIGNIFICATO DELL’ARTICOLO 18-APPELLO”ultima modifica: 2012-03-19T08:34:00+01:00da iskra2010
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