Crisi della politica da abolizione della dialettica democratica sociale e politica

IMG_3601+logoMOWA.jpg foto MOWA

Societa politica e societa civile contro la sovranita’ popolare

Tra porcellum, mattarellum, vassallum, sistema tedesco o francese o inglese o spagnolo o israeliano, la “casta” politica” al servizio della “casta” economica e sostenuta dalla “casta” giornalistica, dopo 20 anni di abbandono del costituzionale principio democratico proporzionale, cerca l’accordo su una semplice variante tecnica del “porcellum” e “mattarrelum”.

La crisi di regime favorita dai partiti protagonisti – a sinistra come a destra – della cosiddetta “seconda repubblica”, nel cancellare le basi della dialettica democratica ispirata, nella cosiddetta “prima repubblica”, dalle forze sociali e politiche che fondarono negli anni 1944-’47 la Repubblica e la Costituzione, conferma come gli interessi atavici del capitalismo di conservazione degli assetti di potere nella società e nello Stato, trovino appigli decisivi nel piegare le “istituzioni politiche” alle esigenze di dominio di gruppi sociali ristretti, contro gli interessi generali della società, pur di impedire l’avvento del movimento operaio alla direzione dello Stato.

Il mistificatorio gioco di scambio occultato dagli astrusi modelli di legge elettorale – il “tedesco”, lo “spagnolo”, il “francese” oltre alle spregiudicate formule di “mattarellum”, “vassallum”, “porcellum” coniate da giornalisti e politologi irridenti la democrazia – sancisce, con la netta separazione del “palazzo” dal “Paese”, l’imporsi progressivo di quel ritmo di “stop and go” con cui negli ultimi trent’anni si è congiurato – in forme di “ingegneria istituzionale” combinate con attentati e tentativi di “colpo di Stato” – per spezzare la dialettica tra principi di democrazia formale e di democrazia sostanziale su cui è stata impostata la Repubblica fondata “sul lavoro” contro il primato dell’impresa.

Il capitalismo internazionale non poteva tollerare “l’anomalia” italiana che – articolando per la prima volta nell’esperienza costituzionale dell’Occidente una rete di rapporti istituzionali collegati col popolo – ha puntato a far prevalere contro i canoni del costituzionalismo liberale l’autonomia delle assemblee elettive che – dal territorio al centro dello Stato – operassero da ponte rispetto alla base sociale perciò divenuta “sovrana”, in antitesi al tradizionale dominio “autoritario” dei governi e dei loro “esecutivi”, nella varietà dei modelli di forma di governo che nel continente europeo si ispirano al paradigma britannico del “premierato” e statunitense del “presidenzialismo”.

Quel che si è cercato in tutti i modi di nascondere anche nel mondo culturale e politico cosiddetto di “sinistra” per giungere all’attuale stato di confusione nell’assurda prospettiva di passare ad una cosiddetta “fase costituente”, dopo le nuove elezioni, è quel dato di conoscenza molto semplice a illustrarsi per un coerente uso di massa della cultura istituzionale connessa alla cultura sociale, che solo due sono i sistemi elettorali che si fronteggiano organicamente.

L’uno per avallare in sede di elezioni parlamentari il predominio del “governo”, e l’altro per aprire alla centralità del “parlamento” la praticabilità della sovranità popolare: il primo, storicamente affermatosi a suggello del potere del “premier” inglese nonché del “presidente” Usa, e il secondo affermatosi tra tante preclusioni in alcuni paesi dell’Europa continentale e particolarmente in Italia dopo il 1945 per la caduta del fascismo e della monarchia.

Senza pregiudizi ideologici e senza ricorrere alle astruserie di tipo “matematico-statistico” per inventare leggi elettorali manipolatorie a favore dei gruppi di potere nelle imprese e nei partiti ci vorrebbe poco per precisare che nei prototipi del governo dall’alto il nesso governo-parlamento è improntato al metodo elettorale “maggioritario uninominale” a un turno (cosiddetto “secco”) e che, in precisa contrapposizione, l’uso del metodo elettorale “proporzionale” cosiddetto “puro” è stato adottato contro il primato della “governabilità” (principio che è la chiave di volta degli interessi alla stabilità del capitale) in nome del primato della “rappresentatività”, cioè della garanzia che tutti gli “interessi sociali” entrino a pieno titolo nella dialettica politica “parlamentare”.

Si deve stare bene attenti, quindi, quando si sente parlare in modo volutamente confuso di metodo proporzionale, perché fuori del caso della proporzionale “senza correttivi” le più varie manipolazioni sono escogitabili per deformare la rappresentatività sociale ed escludere la stessa presenza in parlamento di quelle forze che si simboleggiano come “minoranze” per occultare la loro qualità di soggetti che interpretano i bisogni dei ceti più deboli e per addebitare demagogicamente alle “minoranze” stesse l’ingovernabilità derivante dalla difficoltà per le forze moderate di dar vita a compromessi duraturi nei sistemi socio-politici nei quali è storicamente in crisi la capacità di comando dei gruppi politici legati agli interessi del capitale privato.

Su queste premesse, infatti, ha potuto dilagare la mistificazione più arbitraria e pericolosa (con gli equivoci non diradati dalla stessa Rifondazione comunista e dai giuristi democratici) accreditando la tesi infondata che il sistema elettorale di Bonn – che è misto di “uninominale” e di “proporzionale” con “abbattimento” alla base del 5% – possa identificarsi con il proporzionale “puro” sistematicamente adottato in Italia dalla Liberazione del 1945 fino a prima della deriva verso il “bipolarismo”, a partire dal quale si cerca di conseguire effetti propri del “bipartitismo” angloamericano con gli effimeri risultati visti dal 1933 ad oggi.

La stretta in cui il sistema politico italiano è stato ridotto nella morsa della minaccia dello scioglimento delle camere e dell’incombere di un sistema di voto volto a una riedizione della “mussoliniana” legge elettorale del 1923(con i cattolici al governo assieme a liberali, riformisti e fascisti) per trasformare in maggioranza “assoluta” una maggioranza “semplice” ed esigua della lista più votata a qualsiasi livello si decida che sia (circoscrizionale, regionale, nazionale) dimostra quanto esiziale sia stata la liquidazione del Pci con la ricerca di un vano “riformismo” e “antiproporzionalismo”.

Si sono persi così circa 20 anni accettando e subendo il gioco della “alternanza” tra gruppi di potere operanti come le vecchie “camarille”, avendo abbandonato i principi “democratico-sociali” iscritti nella Prima parte della Costituzione per attestarsi sui principi della “economia sociale di mercato” accolti dalla socialdemocrazia di Bonn, anche già rovesciando l’articolo 81 della Costituzione con l’inserimento del pareggio di bilancio, in base ai principinon del moderno “costituzionalismo democratico” ma del vetero “costituzionalismo liberale” che fonda le istituzioni sulla centralità non “del lavoro” come nella nostra Carta, ma sul “mercato”, della libertà dell’impresa e dei rapporti di produzione capitalistici.

Principi che implicano la “governabilità” imposta da una “legge fondamentale” che ha delegittimato la lotta di classe, portando all’equiparazione del partito comunista al partito nazista, con il regime del “cancelliere” sovrapposto al parlamento, sino al punto di impedire il libero sviluppo della dialettica parlamentare subordinando all’esito di una cosiddetta “sfiducia costruttiva” la successione di una formula di governo ad un’altra, ponendosi come perno di una relazione tra economia e politica antesignana del modello “europeista” di centralità del mercato e della moneta e consegnando alle corporazioni della “società civile” quel potere a cui dovrebbero essere subordinate in nome degli interessi diffusi dei lavoratori.

S. d’Albergo – A. Ruggeri (Centro culturale “Il Lavoratore)

Aprile 2008 

Crisi della politica da abolizione della dialettica democratica sociale e politicaultima modifica: 2012-09-21T08:15:00+02:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo