Fasi degli USA e la Costituzione

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da Angelo Ruggeri

 

Jeremiad americana: “Se protestate è perché la libertà americana vi permette di farlo; perciò perché protestate?” Ma la vetta della “geremiade americana” è Walt Whitman.

Già intorno al 1790 definivamo “venerabile” la Costituzione varata 4 anni prima” (Marcus Cunliffe, The Nation Takes Shape)

Una monarchia repubblicana bollata da Tocqueville persino come tirannia della maggioranza

Capitale e baccanali. Ripercorriamo la storia degli USA dal “tradimento” della Dichiarazione d’Indipendenza e Rivoluzione dimenticata, dalla Costituzione al rimpianto della “democrazia perduta”.

Perché c’è del marcio in Italia dove si usano i baccanali elettorali americani e delle primarie italiane per aprire la strada alla americana cancellazione dei partiti e trionfo del presidenzialismo. Senza replica nè denuncia da alcuno degli indifferenti e agnostici “comunisti” e “semi-sinistra” sindacale e politica.

Come negli Usa, non c’è nessuno che si chieda se, per caso, tra le belle cose che si dicono, proprio la Costituzione americana stessa non contenga le matrici degli errori, di quei crimini, di quelle crisi che lamentano e che hanno fatto additare gli Usa prima come “fuorilegge” internazionale per poi ritenerlo il Paese più brutale della storia .

A partire dal genocidio degli indiani che sul loro territorio dei quali la costituzione ostruiva un nuovo stato senza nemmeno nominarli se non come merciless Indian Savage“, spietati selvaggi aizzati dagli inglesi; allo schiavismo che la Costituzione USA sanciva, senza osare nemmeno nominarlo, ma dando una rappresentanza politica privilegiata agli schiavisti (quelli allaJefferson o imperterriti come Washington)

Le fasi della storia degli USA. Dalla Rivoluzione anticoloniale dimenticata nel nome della venerabilità e sacralità della Costituzione, alla “democrazia limitata”, al rimpianto per la “democrazia perduta

La prima fase. La più dimenticata delle Rivoluzioni

La sacralizzazione e la venerabilità della costituzioneUSA, che ben si guarda dal proclamare una qualsiasi forma di governo popolare, era una necessità ideologica per far dimenticare la rivoluzione da cui era nata. Col governo federale centrale, gli stati non potevano più stampare carta moneta(come nell’Europa UE)

Come la Costituzione Americana, anche Il Trattato intergovernativo di c.d. “costituzione europea” non proclama un potere popolare; di più , non fa riferimento alcuno al popolo ma solo alla c.d. “opinione pubblica” (cioè l’opinione espressa dai mass media posseduti dalle classi dirigenti possidenti e proprietarie, dal capitalismo industriale e finanziario, da banche, imprese industriali e ceti intellettuali loro dipendenti o alleati)

Sacralizzandosi la Costituzione USA ha però fatto dimenticare anche se stessa, sicché la gente veniva arrestata perché distribuiva ai militari i primi 10 emendamenti, quelli della “Carta dei diritti” (ancora una volta, diciamo alla “asinistra” e a Landini: i diritti sono sempre calpestati quando non sono un potere) perché gli USA erano in guerra contro il Vietnam che nella sua Costituzione aveva inserito di peso il preambolo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti.

La fatidica formula: ”We, the people of the United States”.“We”, cioè noi, significa “il popolo degli Stati Uniti siamo noi” e nessun altro: gli indiani non sono neanche popolazione, e via via, come gli indiani, tutti i non proprietari, neri, donne, immigrati.

Quel “we”resta il marchio originario (oltre alla non abolizione della schiavitù e la conseguente discriminazione razziale che sussiste ancora oggi): un“NOI” che presuppone, sempre, degli “altri” a cui la democrazia non si applica.

LA DEMOCRAZIA AMERICANA NASCE E RESTA COME BENE LIMITATO ED ESCLUSIVO di “NOI POPOLO DEGLI STATI UNITI” E BASTA. E “loro”, quindi, si arrogano il diritto di definirla ideologicamente “democrazia” e di concederla, imporla e sottrarlaanche militarmente a tutti.

LA RIVOLUZIONE TRADITA E DIMENTICATA

Rivoluzione, Costituzione, liberalismo, federalismo of the United States.

Il diritto statunitense all’espansione” nel Mondo, in generale, e soprattutto nel resto del Continente americano(T. Jefferson, Lacaiti Editore M. Sylvers).

Dove, come e perché è nato ed esiste la forma di governo dello “stato federale“,centralista e “presidenziale”,che separa istituzioni e società e realizza una“unità tramite una forte concentrazione di poteri verso l’alto: sia nei vertici di governo dei singoli stati che in quelli dello “stato federale” dal quale i singoli stati sono dipendenti. Federalismo” di cui l’ “asinistra” non sa cosa sia veramente (con nota di demerito anche per l’”amico” ex PCI Avv.Speroni che come tanti svizzeri/varesiniconfonde Federalismo e Confederalismo)

 

Articolo (*)

E’ stato detto tante volte che quella Americana è stata una Rivoluzione “dimenticata”. C’è però motivo di ritenere che a questo abbiano mirato proprio gli stessi gruppi dirigenti statunitensi: farla “dimenticare”, per “sostituirla” e “cancellarla” con una Costituzione che per molti aspetti “la rinnega” e che anche per questo è stata da subito “sacralizzata”.

Quando Paul Brenner, capo dell’amministrazione militare USA in l’Irak, in vista del passaggio dell’amministrazione USA in Irak ad un irakeno scelto dagli Usa, ha promesso “una Costituzione provvisoria” che contenga “i valori della democrazia americana”, né ci si è stupiti né si è riflettuto sul significato delle sue parole e tanto meno si è replicato. Essendo dato per scontato che “esportare la democrazia” nel mondo altro non significhi che “esportare l’America”, in una sorta di “americalatinizzazione del mondo”, dove il “cortile di casa” della “dottrina Monroe” deve intervenire per adeguare a sé e al proprio, l’ordinamento degli stati e tra gli stati non più solo del Centro e Sud America ma del Globo.

“Esportando” il “sistema di governo” anglosassone e le tecniche di comando che, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, sono state presidenzialisticamente organizzate in modo equivalente, col governo “del primo ministro” in Inghilterra e “del presidente” negli Stati Uniti dove il “federalismo” sta a significare una diversità rispetto la monarchia di una stessa ed equivalente forma di governo e tecnica di comando repubblicana.

Una monarchia repubblicana bollata da Tocqueville persino come tirannia della maggioranza

Uno “stato repubblicano” che, come quello monarchico, continua ad essere inteso come “persona giuridica, staccato o separato dalla società, e che riguarda solo le forme “interne” dei rapporti di governo e tra i vertici dei governi.

L’opposto dello “stato comunità”, appunto “democratico”, che, invece, riguarda il rapporto tra “governanti e governati”, esprime un nuovo e diverso rapporto con la società ed attiene quindi alla “forma dello Stato”, al suo rapporto “esterno” – (che prima non esisteva né ci si poneva) – col territorio (ad es. come la “Repubblica delle autonomie” della nostra Costituzione in cui anche l’ente locale è Stato esso stesso).

Uno stato, quindi, legato al sociale, uno “stato di democrazia sociale”, appunto, com’è quello della nostra Costituzione.

Un “nuovo” tipo di stato, venuto alla lucesolo col moderno costituzionalismo democratico, dopo il 1945 e la guerra contro l’imperialismo nazi-fascista, con l’entrata in campo delle grandi masse socialmente e politicamente organizzate, in movimenti, partiti, sindacati, ecc.

(Nota. Viceversa negli USA, nelle dinamiche della costituzione materiale, cioè contro quella scritta, nel giro di pochi anni si ribaltarono attori e regole del gioco con la cancellazione dei partiti e il trionfo del presidenzialismo che in realtà è una caratteristica del ‘900, come si vedrà nell’articolo “la democrazia perduta” successivo a questo)

Donde che il “federalismo” rappresenta un ritorno indietro dallo “stato democratico”, in particolare un ritorno allo “stato persona giuridica” – né sociale né democratico – dallo “stato comunità” e di democrazia sociale.

Una regressione che intraprende lo stesso Trattato intergovernativo di c.d. “costituzione europea”, che come la Costituzione Americana, non proclama un potere popolare, né fa riferimento alcuno al popolo ma solo ad una c.d. “opinione pubblica”; addirittura innalzando e “costituzionalizzando” il liberismo economico come ideologia ufficiale ed obiettivo supremo dell’Unione, trascurando del tutto la questione sociale e dei rapporti sociali tra classi ricche e povere, ecc. e aggirando il suffragio universale.

Le classi dirigenti statunitensi tesero subito a considerare “antica” la loro Costituzione, già 4 anni dopo l’entrata in vigore (vedi citazioni dei politici del 1790, in Marcus Cunliffe, “The Nation Takes Shape”).

Fu “sacralizzata” per necessità ideologica, per avere, già da allora, un archetipo valido per l’intero mondo. Per far dimenticare che, appunto, non proclama un potere popolare, ne nasce da una Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, ma, secondo i conservatori che hanno fatto dimenticare la Rivoluzione, nasce da “una delle poche ribellioni coloniali conservatrici” (“The Genius of American Politicus“, del grande storico conservatore D. J. Boorstin).

Significativa, in proposito, era anche la posizione di T. Jefferson,considerato lo statista allora più “europeo” e per così dire “progressista” pur essendo di spiccato razzismo, proprietario di schiavi e favorevole all’assimilazione forzata degli indiani e all’espulsione degli Afro-americani.

L’espansionismo USA

T.Jefferson sottolinea la differenza tra il suo paese e il vecchio continente, ponendo dinanzi a tutto il diritto statunitense all’espansionecome “esempio” per il mondo in generale e soprattutto per il resto del continente americano, come ha approfondito nel suo “Il pensiero politico e sociale di T. Jefferson Lacaiti Editore”, Malcom Sylvers che ha voluto regalarmi per significare con specifica dedica la convergenza, in merito al giudizio sul federalismo e su quanto scritto e analizzato nel mio “Leghe e leghismo…e l’antitesi federalista al potere dal “basso” (Quaderno 2 del Centro Il Lavoratore), e che, da cittadino americano, ha voluto testimoniare intervenendo nel corso della presentazione di tale Quaderno (promossa dalla CGIL e dal Lavoratore alla Casa della Cultura di Milano).

E’ noto che gli statunitensi considerarono “eccessi” quelli della Rivoluzione francese, ma nemmeno la rivoluzione americana fu un pranzo di gala.

La guerriglia “borghese” della rivoluzione americana costò sangue, impiccagioni, profughi, impeciati, incatramati, ecc. Gli americani avrebbero una prospettiva diversa delle rivoluzioni moderne, se si ricordassero qualche volta della loro. Nel prendere le distanze dalla Rivoluzione francese e dal giacobinismo e nel far passare le leggi contro “gli alieni e i sediziosi”, non reagivano solo al Terrore rivoluzionario, ma anche all’idea delle possibili conseguenze per loro. E miravano a neutralizzare ad es. quei seguaci di Daniel Shays che volevano trasferire dalla carta alla realtà i principi della Dichiarazione d’Indipendenza secondo cui “tutti gli uomini sono creati uguali” – e che per questo volevano che i beni degli Stati Uniti che contro la Gran Bretagna erano stati protetti da tutti, fossero comune proprietà di tutti.

La rivolta dei contadini del Massachusetts.

Non a caso, lo dicono anche storici conservatori come Samuel Morison, la spinta a redigere la Costituzione degli Stati Uniti venne dallo spavento provocato dalla rivolta dei contadini del Massachusettsche credevano di poter estendere alla limitazione della proprietà la loro “ricerca della felicità”.

E proprio la questione della difesa della proprietà da ogni qualsivoglia incisione anche solo ipotetica è stata ed è alla base della Costituzione Americana e della forma di potere federalista dello stato federale. Sottrarre la proprietà ad ogni qualsivoglia forma di lotta sociale, ancor più se di classe.

Il “federalismo” non esiste in altro modo, se non come forma di governo che nasce in funzione di questo e che esiste da quando, a partire da questo per rendere impossibile la lotta e il conflitto sociale, la autonominatasi e abusiva “convenzione di Filadelfia” cerca una forma di governo capace di garantire la proprietà dal conflitto sociale, raggiungendo un compromesso tra due correnti politiche che non avevano nessun piano istituzionale preordinato, tanto che il termine federale non vi compare, ma avevano un preciso istinto – di classe – che li porta ad identificare la centralistica forma di governo “federale”, senza alcun modello, quasi senza saperlo, attraverso un’opera di pura ingegneria istituzionale: un’opera svincolata dai principi di eguaglianza, libertà ed emancipazione proprio del moderno costituzionalismo democratico,una sofisticata forma di potere e di dominio del governo sulla società proprio in virtù di una combinazione “eclettica” tra le posizioni di chi era per l’unità centralistica dello stato e chi per una qualche forma di “confederalità” tra i governi degli stati.

Cosa è e come è nato il c.d. “federalismo” tanto conclamato senza veramente saperne

La ricerca di un eclettico compromesso tra fautori dell’unità centralistica e quelli di una forma di confederalità , li ha portati ad inventarsi la federalisticaforma di unità dei vertici, cioè tra i vertici di governo degli stati e il governo di un unico “stato federale” centrale e presidenziale (e che più centralista di così non potrebbe essere) .

Col duplice effetto di:

1) una unità autoritaria e dall’alto di un mono potere e di una polizia ed esercito federale pronti a reprimere “rivolte” contro la proprietà come quelle del Massachusetts

2) una unità dei vertici di governo ma in una separazione dei territori e quindi del sociale che risulta così spezzato e frantumato rispetto all’unità del potere di vertici del governo federale e degli stati, in una così generalizzata e istituzionalizzata separazione dei governanti dai governati e della “società politica” dalla “società civile”.

Donde che secondo la definizione stessa di uno degli autori del “Federalist”, A. Hamilton, la federazione è “un’associazione di due o più stati in ‘un unico stato” (lo ricordiamo agli “asinistra” e a chi non distingue tra federalismo e confederazione come l’”amico” ex PCI e bosino avv. Speroni) che hanno creduto come “superamento dello stato centrale” il federalismo auspicato dalla Fondazione Agnelli e solo poi della Lega).

Uno STATO nel quale l’autorità dell’unione si estende ai singoli cittadini ma i singoli cittadini associati non possono estendere la loro sovranità all’autorità centrale dell’Unione (a causa, appunto, della “ gabbia” che separa il sociale-territoriale dal centro nazionale); in cui gli stati federali (o le regioni federali) dipendono dallo stato centrale.

Donde che stati (e regioni) federali diventano “governatorati” in quanto intesi come erano intesi i distaccamenti coloniali e i dipartimenti militari retti da un funzionario del governo centrale che altro non è che un “governato” (dal lat. Gubernatus), dal governo centrale: un Governatore, appunto, vertice dello stato o della regione associato come vertice al vertice dello stato federale/centrale: ovvero, come recita il vocabolario:Governatore, alto funzionario di stato che rappresenta il governo centrale in dipartimenti, regioni e simili, sia civile che militare“.

Sicché ecco che nell’anticostituzionale “federalismo” italiano, i presidenti di Regione eletti direttamente, col termine Governatore (Vendola, Errani o Formigoni che sia), svelano freudianamente di esseredipendentidal governo centrale.

Anti-costituzionalmente, auto-nominandosi “governatori”, mistificano e proclamano (agli occhi di sprovveduti cittadini e militanti politici della “asinistra”) una “autonomia” regionale dal governo centrale che non esiste nella realtà. Proprio perché sono stati resi totalmente dipendenti dal governo centrale tramite la separazione federalistica delle competenze che affida l’economia alla competenza esclusiva del governo centrale, che, in tal modo, controlla sia la formazione che la distribuzione delle risorse: come ben si vede quando il governo centrale taglia le risorse alle regioni e i “governatori” sono ogni anno e sempre di più impegnati a pietire qualche taglio in meno.

La pretesa e propagandata “autonomia regionale” è una mistificazione in quanto è proprio col federalismo che si cancella l’autonomia regionale che, come tale, è proprio della “Repubblica delle autonomie” sancita dalla nostra Costituzione secondo la quale anche “ Comuni, Province e Regioni” sono “Stato essi stessi” titolari anche della economia e quindi della formazione e distribuzione delle risorse economiche, e titolati ad intervenire nella politica economica nazionale tramite il circuito della programmazione democratica dell’economia che procede dal basso verso l’alto: dai Comuni alle Province e alle Regioni e da queste al Parlamento e al governo nazionale, partendo da un censimento REALE dei BISOGNI SOCIALI (non ipotetico fatto a tavolino e da “esperti” come appunto accade) realizzato tramite la consultazione e le assemblee territoriali della popolazione.

La separazione federalistica del territorio sociale che spezza l’unità della sovranità popolare.

Dunque, il federalismo, anche a proposito di quello europeo, mentre parla ossessivamente di unità, in realtà e come è ben visibile nel ruolo degli Stati Uniti, separa, sia in senso orizzontale che in senso verticale, le istituzioni dalla società, e spezza e separa questa rendendo quindi impossibile l’unità di potere della “sovranità popolare”rispetto al potere di governo.

Donde che per questo la Costituzione USA – come la c.d. “costituzione UE” – non prende a riferimento il “popolo” ma solo la c.d “opinione pubblica”, che è l’ideologia della classi dominanti espressa attraverso gli apparati ideologici di stato e i c.d. rappresentanti dell’opinione pubblica, cioè giornalisti, giornali, TV, élite culturali e politiche e vertici delle corporazioni della società civile ai cui vertici si sale non per elezione ma per selezione sociale darwiniana del più forte e più ricco di capitale economico o capitale culturale sul più debole

Perché il federalismo è un fatto puramente istituzionale e non sociale, che prescindendo dalla realtà sociale, e che diventa “unità” solo per il tramite e come “unità” esclusiva dei vertici di potere, attraverso un forte concentramento dei poteri verso l’alto, dove ciò che conta di più e in massima parte è lo “stato federale” che è uno “stato centrale”.

A conferma della separazione tra istituzioni politiche e società, tra sfera della libertà e sfera della necessità, tra sfera della politica e sfera della società, e all’opposto di una ricomposizione necessaria per la liberazione dell’uomo, degli uomini e del popolo dalla alienazione e dalla sudditanza e subalternità di popoli e società ad un potere politico ad esso sovrapposto e sovraordinato.

Il federalismo non compare in nessuna teoria dello stato, perché riguarda e attiene esclusivamente alla “forma di governo”, al governare inteso come restringimento anziché come allargamento della società, comearroccamento dei gruppi di potere di vertice dietro le forme apparenti della democrazia.

Attiene insomma alla ideologia della “governabilità” e non al rapporto delle istituzioni con la società, attiene ad un vetero costituzionalismo liberale riferito solo alle “forme di governo“, cioè alla varietà tecnica della forme di dominio dei dominanti.

Tra Dichiarazione di Indipendenza e Articoli di Confederazione degli Stati Uniti e la Costituzione americana.

Del resto, e non per caso, negli stessi dizionari di lingua inglese la parola “federalismo” compare solo a partire dalla “nuova” Costituzione USA, e messa in relazione con la stessa, ben diversa e opposta a quella che fu la prima costituzione degli Stati Uniti, gli Articoli di Confederazione, il cui sistema corrispondeva alle aspettative di gentele cui esperienze con un forte governo esterno erano state tanto infelici da dover entrare in guerra per liberarsene.

Ma già solo dopo 4 anni la firma del trattato di pace, un gruppo di persone spaventate e ansiose, cominciò a reclamare un governo forte e a mettere in piedi il meccanismo che lo avrebbe portato ad avere il governo centrale che desiderava.

Gli speculatori di terre occidentali che erano stanchi di vedere le loro terre prive di protezione, fabbricanti, mercanti, chi prestava denaro a interesse e non riusciva a riscuotere, chi deteneva obbligazioni governative, chi possedeva schiavi: tutti questi volevano un forte governo centrale che fosse in grado di mettere in piedi una guardia e un esercito federaleper difendere chi viveva sulla frontiera e che proteggesse le loro proprietà e permettesse loro di accrescerle, in un clima di sicurezza, favorevole a chi faceva affari” (Storia degli Stati Uniti d’America).

Il Congresso, secondo gli Articoli di Confederazione, non poteva corrispondere né fare questo.

E fu così che in 55 – non 51 come forse ci è scappato scritto – e tutti rappresentanti di mercanti, speculatori, banchieri usurai , possessori di obbligazioni e proprietari di schiavi, – senza “uno solo uno” rappresentante di piccoli agricoltori o di braccianti agricoli o di operai -, sfruttarono l’occasione di essere stati delegati solo per rivedere alcuni degli Articoli di Confederazione, finirono invece a scrivere in gran segreto la Costituzione degli Stati Uniti, tenendo riunioni a porte chiuse in un albergo di Filadelfia, senza alcun mandato e autonominatisi “convenzione costituzionale”.

Come abbiamo anticipato a proposito della congegno elettorale e istituzionale USA

Repetitia iuvant: Vi furono vivaci discussioni su molte questioni. Ma su un punto erano praticamente tutti d’accordo: il popolo (cioè chi possedeva poco o nulla) non doveva avere troppo potere” (Idem). Con uno stato dotato di un forte governo centrale, federale, che avesse veri poteri senza più necessità di chiedere agli stati, con poteri di controllo sul commercio estero e su quello tra gli stati; di imporre tasse sulle merci straniere e di stipulare trattati commerciali, nell’interesse di fabbricanti e mercanti; di pagare i debiti governativi agli speculatori che fin li non riuscivano a riscuotere; dotato di guardia federale, esercito e marina pronti a fermare ogni ribellione e rivoluzionari dalla testa calda come Shays che dava l’assalto alla proprietà altrui e impedivano ai tribunali dei singoli stati i rimborsi dei debiti agli usurai.

E dopo averla scrittala imposero anche agli stati che non l’approvarono, nonostante che gli Articoli di Confederazione prevedessero l’unanimità: un po’ come si era cominciato e ogni tanto si torna a dire, per la c.d. “costituzione europea” che si vorrebbe resa valida anche se non approvata da tutti i paesi. Col nuovo progetto di governo federale di tutti gli stati, gli stati non potevano più stampare carta moneta (come nell’Europa UE) che svalutava il valore dei crediti degli usurai né emanare leggi di dilazione dei pagamenti dei debiti o che permettessero di pagarli in merci e bestiame. Tutto avrebbe funzionato a meraviglia per i benestanti.

Il paradosso americano – e di italiani e giornali, “asinistri” e PD e PDL delle primarie, del presidenzialismo e del federalismo – che si identifica nel nuovo, nel moderno, nel post-moderno e nel futuro, e che vanta una vetero e immutabile forma statuale e costituzionale.

Il paradosso è che l’America, così identificata col nuovo, il moderno e il futuro, di una sola cosa vanta l’antichità e immutabilità: la sua Costituzione che, salvo alcuni emendamenti che non l’hanno negata, è rimasta sempre uguale, senza minimamente adeguarsi né agli sviluppi sociali e democratici della storia né a quelli del moderno costituzionalismo democratico che, soprattutto nel continente europeo e soprattutto con le costituzioni di “democrazia antifascista” in specie italiana, ha superato il vecchio costituzionalismo vetero “liberale”, a cui è rimasta ferma la Costituzione e lo stato federale americano, ma che, paradossalmente, la cultura europea soprattutto giuridica e i fautori del c.d. “europeismo”, della c.d. “costituzione europea” e della Europa federale, assumono come prototipo a cui far retrocedere e tornare il nostro Continente.

Continuità e immutabilità della carta costituzionale

per occultare la differenza storica tra “stato liberale” e “stato democratico”.

Quella Americana è la più “vetero” costituzione del mondo, e si dimostra “cristallizzata” e del tutto fuori dalla storia, dalle conquiste e dai progressi della storia, estranea e non segnata, quindi, dagli sviluppi di tutta la storia e pensiero moderno degli ultimi 300 anni.

Anche il Continente europeo ha pure subito qualche contaminazione dal presidenzialismo Usa: in Germania (cancellierato); in Francia (gollismo); in Italia, col Parlamento aggirato col nome del candidato premier sulle schede elettorali e con l’interventismo di Ciampi, specie in politica estera (quando istituì una commissione Quirinale/Farnesina e un suo portavoce si è “insinuato” nell’ultimo Consiglio europeo “dei ministri”): questo nonostante che negli stessi Stati Uniti – e l’hanno dimostrato Vietnam, Watergate, Irangate, ma anche New Deal, ecc. – la forbice tra la costituzione formale e la realtà del paese si è andata progressivamente allargandosi, fino a diventare praticamente incolmabile, allontanando i cittadini dalla politica in una maniera forse inimmaginabile persino per i suoi “padri fondatori”, nonostante la Costituzione sancisse l’unione volontaria dei 13 stati sovrani e il diritto di separarsi in qualunque momento, di fatto lo si è negato da quando per impedirlo si arrivò ad una guerra civile, che fu anche la premessa per un ulteriore rafforzamento dell’esecutivo centrale dello stato federale, nonostante l’originaria idea costituzionale sia stata progressivamente e sempre più smentita dall’entrata di nuovi stati che traevano legittimazione dal governo federale, anziché dall’inverso come per i primi 13; e nonostante l’allargamento imprevisto del suffragio a ceti senza proprietà, e quindi mobili, non identificati e non identificabili con aree e località territoriali specifiche; nonostante l’acquisto dei territori della Louisiana, l’allargamento del mercato nazionale, e tutto quello che etc. ha progressivamente e sempre più reso irriconoscibili gli Stati Uniti rispetto a quelli del 1786.

Continuità e immutabilità della carta costituzionale Usa hanno soprattutto una funzione ideologica e a ciò sono servite. L’ideologia (sovrastruttura che maschera la realtà) dell’immutabilità costituzionale, tende anzitutto a mascherare il fatto che la Costituzione Usa non è “democratica” ma “liberale”.

Una continuità e immutabilità che servono per fingere indifferenza storicatra “stato liberale” e “stato democratico” e per funzioni ideologiche verso il mondo esterno, come dimostra il fatto che essa è diventata un riferimento per l’Europa.

Già Michael Kamen, anche lui storico tutt’altro che sovversivo, ha mostrato (in Season of Youth) come, a partire dalla metà dell’ ‘800, la Costituzione servisse a sostituire e andasse gradualmente sostituendosi alla dichiarazione di Indipendenza come documento fondante e legittimante del paese sacralizzandola, e la pars costruens, (l’istituzione di una nuova autorità), prendeva il posto della pars destruens della rivoluzione che abbatteva l’autorità preoccupando per il ruolo problematico, di turbativa, che aveva nell’immaginario politico nazionale.

Ma, “sacralizzandosi”, la Costituzione ha fatto dimenticare anche se stessa. Tanto che durante la guerra del Vietnam la gente veniva arrestata per aver distribuito ai militari il testo dei primi 10 emendamenti, quelli della Carta dei Diritti, proprio perché a tale “Carta dei diritti” non corrispondono poteri democraticamente e socialmente adeguati a garantirli ed attuarli (come avviene per la enfatizzata “Carta dei diritti” europei, dove risultano scissi e quindi sostanzialmente negati dalle forme di potere autoritario di tipo verticistico, burocratico, antisociale, e persino monocratico e presidenziale quali il presidente della Commissione e quello del Consiglio e il governatore di BCE). La Costituzione è servita e serve a disinnescare ideologicamente la critica e il dissenso – cioè la democrazia – trasformandoli in una forma di consenso più alto la cui forma volgare é: “se protestate è perché la libertà americana vi permette di farlo; perciò perché protestate?”.

Insomma, un procedimento retorico di cui Sacvan Bercovitch ( The American Jeremiad) rintraccia le origini in quella forma di predicazione che Perry Miller battezzò, appunto, “jeremiade”, e in cui la seconda generazione puritana di fine ‘600, criticando la forma che aveva preso la loro società, indicava come rimedio a tutti i mali il ritorno alle pratiche e ai principi originari dei fondatori; davanti ad ogni crisi, non di innovare si tratta, ma di restaurare; la critica all’America è legittima solo in nome dell’America.

La vetta della “geremiade americana” è Walt Whitman; ma c’è in Dos Passos (restituitemi “la democrazia dei miei libri di scuola”), e in R. Ellison (“riaffermare i principi su cui il paese fu costruito”), e in tante e tante celebrazioni dell’indipendenza.

Il rimedio della cultura americana è sempre la restaurazione, nel tornare indietro, non nell’andare avanti: come tornare indietro più che andare avanti è quello che in Europa propongono banchieri e intellettuali, giuristi, giornalisti e politici “federalisti”.

Nessuno che negli Usa si chieda se, per caso, tra belle cose, proprio la Costituzione americana stessa non contenga le matrici degli errori, di quei crimini, di quelle crisi, che lamentano e che fanno oggi additare gli Usa come “fuorilegge” internazionale, come il Paese più brutale della storia e che ci si è presentato col federalismo.

Lo schiavismo che la Costituzione USA sanciva, senzaosare nemmeno nominarlo, ma dando una rappresentanza politica privilegiata agli schiavisti (tormentati come Jefferson, imperterriti come Washington), e che fu abolita per vie extra costituzionali, come un proclama presidenziale e una guerra civile.

E gli Indiani?La dichiarazione d’Indipendenza non portava la firma di alcun “pellerossa”. A nessuno saltò in mente di consultare alcun “nativo” ma gli stessi vengono nominati con tre parole: “merciless Indian Savage“, spietati selvaggi indiani, aizzati dagli inglesi. E la Costituzione Americana che istituiva una nuova realtà statuale sul loro continente e “lo stato di diritto”, non li nomina nemmeno. Una eliminazione politico costituzionale degli indiani, che fu la premessa per la loro eliminazione fisica e dallo spazio referenziale. Così che un secolo dopo F. Jackson Turner, ignorando il genocidio, potrà dire che la democrazia americana si fonda sulla disponibilità di “vaste estensioni di terre libere”: gli indiani non c’erano mai stati, e non c’erano più.

Il preambolo della Costituzione si apre con la fatidica formula “noi ‘people’ degli stati Uniti”. Ma come già detto non c’è nessuna proclamazione di “sovranità del popolo” né tanto meno di un “potere popolare”. Così che quel termine “people” è reso e diventa estremamente elastico, da poter essere riferito ad “abitanti”, ma anche semplicemente a “gente”, esseri umani, quali gli indiani nemmeno sono stati considerati.

Quel “noi” popolo e gente degli Stati Uniti del preambolo, che presuppone sempre “altri” a cui “la democrazia non si applica nemmeno negli “United States”, resta il marchio originario di un “confine”, di una “democrazia” che nasce e resta un bene limitato ed esclusivo. Dove quel “popolo degli States” diventa un soggetto estraneo alla politica, ma nel cui nome apparati di potere e gruppi d’interesse si arrogano ancora il diritto di definire ideologicamente la “democrazia” e di “concederla” o di “sottrarla” (a “non proprietari”, a “neri”, immigrati”, persino a indiani) non più solo in Centro e Sud America ma in tutto il Mondo, o di imporla militarmente “se” e “dove” conviene.

1.) La rivoluzione tradita e dimenticata- Angelo Ruggeri (Centro Il Lavoratore”)

 

 

 

Fasi degli USA e la Costituzioneultima modifica: 2012-11-28T08:25:00+01:00da iskra2010
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