Banchieri in pensione e vecchi Dc, il cerchio magico di Ambrosoli

Ma come fa Umberto Ambrosoli a mettersi con certa gente, che era parte integrante del sistema di potere gestito a livello finanziario da Sindona e Cuccia? Due entità speculari: Masso-democristiani (P2) e masso-laici (P1), uniti per interessi di classe contro i proletari di questo Paese. Litigavano e litigano solo su come spartirsi il bottino.

Leggendo l’articolo de la Repubblica del 4 ottobre 1985 e riportato qui sotto, si evince che Cuccia incontra a New York Sindona, nell’aprile del 1979, per discutere, trattare per non trovare o trovare un’intesa. E voglio fare il malizioso… e non seguire i tempi descritti nell’articolo per dare una maggiore logicità allo svolgersi degli avvenimenti; se nell’incontro Cuccia-Sindona (P1-P2) si fosse discusso prima di Ambrosoli e solo in seguito al buon esito dell’incontro Sindona avesse detto la frase: “Farò scomparire Ambrosoli senza lasciarne traccia”.Forse il povero Ambrosoli aveva scoperto legami e progetti che andavano oltre Sindona e arrivavano a quel vertice del potere che nessuno tocca mai, la P1, che ha costruito le linee politiche generali del golpe strisciante che da Piazza Fontana sino ai giorni nostri ha destrutturato la politica, i partiti, i movimenti, la Costituzione, le istituzioni, le elezioni e ci fanno vivere in parcellum generale.
Saluti comunisti
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Banchieri in pensione e vecchi Dc, il cerchio magico di Ambrosoli

Alessandro Da Rold C’è un po’ di Democrazia cristiana dietro a Umberto Ambrosoli, il candidato del centrosinistra in Lombardia. A lavorare sulle candidature c’è Roberto Mazzotta, ex Dc e Bpm, assieme ad altri pezzi della vecchia Dc. E della squadra fa già parte anche Anna Mancuso, ex candidato di Futuro e libertà a Monza. ·       Tweet Widget ·Google Plus One  Umberto Ambrosoli Politica

14 November 2012 – 08:30

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C’è Roberto Mazzotta, ex presidente della Banca Popolare di Milano, dietro la candidatura di Umberto Ambrosoli in regione Lombardia. È l’ex deputato della Dc, ora numero uno della Fondazione Luigi Sturzo a sedere al tavolo della trattativa con il leader dell’Udc Pierferdinando Casini e con altri esponenti del centrodestra, in questa fase ancora iniziale della campagna elettorale per le regionali. Ma sarebbe proprio Mazzotta l’asso nella manica del figlio di Giorgio, l’eroe borghese di un capoluogo lombardo di una volta, quando democristiani e socialisti frequentavano ancora con successo palazzo Marino. Nel team di Ambrosoli, infatti, (dove c’è anche Marco Vitale ex assessore della giunta leghista di Marco Formentinindr) sono convinti che per conquistare la Lombardia, oltre all’appoggio del popolo arancione di Giuliano Pisapia e della sinistra, oltre a puntare sulla trasversalità dell’avvocato, si debba allargare il raggio d’azione, agli ambienti cattolici, in particolare a quelli di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere che hanno governato in questi 17 anni con Roberto Formigoni. Sono tutte inserite in queste dinamiche un po’ «monarchiche» (copyright Giuseppe Civati) le problematiche che stanno attanagliando la coalizione, divisa «su primarie dei partiti» o «primarie civiche». Del resto «l’allargamento verso destra» sembra essere già nel Dna dello stesso Ambrosoli.  Il padre Giorgio, cattolico osservante, era stato da giovane nell’Unione Monarchica Italiana. Proprio in questi ambienti politici, il liquidatore del Banco Ambrosiano, aveva conosciuto sua moglie Anna Lori: il figlio Umberto prende il nome proprio dall’ultimo re d’Italia. L’avvocato Lodovico Isolabella, fondatore dello studio dove Umberto lavora, è anche lui un monarchico di ferro. «Una monarchia che fa rima con democrazia», scrisse nel 2009 Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, che fu difeso proprio da Isolabella durante lo scontro con il cronista del Corriere Alfio Caruso su questioni di mafia in Sicilia e persino contro Umberto Bossi, ex leader della Lega Nord. Anche Umberto da giovane, negli anni ’80, ha frequentato gli ambienti monarchici di via Donizetti a Milano, dove ha sede l’Unione Monarchica Italiana (Umi). Se lo ricordano bene alcuni suoi vecchi compagni che poi hanno preso strade diverse, finendo in Forza Italia, Alleanza Nazionale e poi Popolo della Libertà. «Moderato e cattolico», è questo che si continua a ripetere tra i corridoi di piazza della Scala. E Mazzotta sta continuando il suo lento lavorio sul tessuto economico politico milanese, dove può essere aiutato anche da Luigi Roth, l’ex presidente della Fondazione Fiera, molto vicino al governatore Formigoni. Il motivo è presto spiegato. Mazzotta e Roth siedono nel board dell’Istituto Luigi Sturzo, archivio «specializzato nel recupero e nella valorizzazione, attraverso ricerche, studi e pubblicazioni, delle fonti per la storia del popolarismo e del cattolicesimo democratico in Italia a partire dalla fine dell’Ottocento, possiede un notevole patrimonio documentario costituito in primo luogo dalle carte di Luigi Sturzo e della sua famiglia e da numerosi altri fondi di cattolici che hanno svolto un’attività di determinante importanza per la fondazione del Partito Popolare Italiano, della Democrazia Cristiana e per la politica dei governi italiani dal secondo dopoguerra ai giorni nostri». Nella ricerca Mazzotta ha già trovato sulla sua strada due consiglieri regionali lombardi dell’Udc, come Enrico Marcora e Valerio Bettoni. Non solo. Della squadra fa già parte anche Anna Mancuso, ex candidato di Futuro e Libertà a Monza. La squadra si sta a poco a poco formando e la colonna «Mazzotta» sta cercando di trovare la quadra con le altre anime della sinistra lombarda. Al momento è tutto appeso un filo. Difficile, a quanto sembra, coniugare questo lato così vicino alla vecchia Dc, con parte del Partito Democratico, di Sinistra e Libertà o dell’Italia dei Valori. Non è un caso che nelle ultime ore si stia facendo di nuovo il nome di Giuseppe Civati, detto Pippo, consigliere regionale e rottamatore lombardo del partito di Pierluigi Bersani. Ha annunciato che si candiderà alla prossima segreteria del partito, ma non è detto che possa cambiare idea nel caso in cui i democratici rinuncino ad un appoggio proprio a Ambrosoli. Nella Lega Nord, intanto, con Roberto Maroni candidato, c’è chi ironizza sulla squadra di Ambrosoli. «Dovrebbero chiedere aiuto anche a Forlani e Andreotti…».

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4 ottobre 1985

‘SAPEVO CHE AMBROSOLI DOVEVA MORIRE’

MILANO – Il testimone Enrico Cuccia sbuca con passo felpato da un corridoio laterale, evocato dal presidente della Corte d’ Assise. Che silenzio, che attenzione c’ è nell’ aula del processo Ambrosoli.
Lo “gnomo” di Mediobanca, il finanziere che dicono sia fra i personaggi più potenti d’ Italia, esce allo scoperto.
Chissà quanto gli deve costare esporsi così ai flash dei fotografi, alla curiosità della gente, lui che non ha mai dato un’intervista in vita sua.
Il suo vecchio nemico Michele Sindona, dentro la gabbia, ha lo sguardo perso nel vuoto. Ma gli altri, i comuni mortali, non perdono di vista quell’uomo di 78 anni. Diafano, vestito di grigio, un pò curvo, si avvicina ai giudici, giura di dire tutta la verità, si accomoda sulla sedia scura stringendo un fascio di carte. E si prepara a rispondere alle domande. Visto che gli tocca di rompere l’amato silenzio, lo fa con voce chiara e sicura.
Anche qui, in questo processo a Michele Sindona e ai suoi gregari, il personaggio Cuccia ha molte facce. Molti ruoli gli hanno cucito addosso, mentre lui faceva di tutto per alzare cortine di silenzio fra sé e tutta quella pubblicità non voluta.
C’è il Cuccia vittima, il “nemico” che l’entourage Sindona bersaglia di pressioni avvolgenti, di minacce esplicite e sanguinose, di veri e propri attentati. Gli dissero che avrebbero rapito i suoi figli, che la mafia lo voleva morto, e per due volte gli bruciarono la porta di casa. Forse tentarono, senza riuscirci, di ammazzarlo davvero.
C’è il Cuccia prezioso testimone dell’accusa, che quando finalmente decide, con gran fatica, di abbandonare le sue riserve, porta prove pesanti contro Michele Sindona. Registrazioni telefoniche delle minacce, e qui minuziosi resoconti degli incontri con gli uomini di Don Michele: il genero Piersandro Magnoni, l’avvocato Rodolfo Guzzi. E con lo stesso Sindona, a New York, nell’aprile del 1979. Incontro decisivo. Soltanto nel dicembre dell’ anno successivo Cuccia si risolse a raccontare che Sindona aveva, fra l’altro, annunciato: “Farò scomparire Ambrosoli senza lasciarne traccia”. L’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana, venne ucciso nella notte fra l’11 e il 12 luglio 1978 da William Joseph Arico, un killer mandato, secondo l’accusa, da Michele Sindona. Poteva essere evitata quella morte terribile? Perchè Cuccia non avvertì Ambrosoli del pericolo, perchè non mise sull’avviso i magistrati? La domanda torna fuori più volte in questa udienza del processo. Enrico Cuccia se la sente ripetere da molte parti. Dai giudici, che non possono evitare di farla per capire. Dai difensori di Sindona, i quali vorrebbero dimostrare che Don Michele quella tremenda minaccia non la pronunciò proprio. E infine, più dolorosamente, con più tormentata voglia di chiarezza, la stessa domanda viene dalla vedova di Giorgio Ambrosoli, per bocca del suo avvocato Giovanni Dedola. “Nell’incontro di New York, Cuccia apprende per la prima volta del progetto di eliminare Ambrosoli. Non ha sentito la pesantezza della cosa, non ha avvertito l’obbligo morale di avvisare, se non l’autorità giudiziaria, almeno l’avvocato Ambrosoli in privato?”, scandisce Dedola. E Cuccia, che per tre volte s’era già sentito porre lo stesso quesito e aveva per tre volte conservato la sua freddezza, questa volta dà la fugacissima impressione di un vero turbamento. “Mi rincresce molto – risponde – ma se avessi riferito ai giudici quella infelice frase Sindona mi avrebbe accusato certamente di calunnia. Mi rendo conto… ma penso che non avrei prolungato di un giorno la vita del povero Ambrosoli, purtroppo”. Dedola insiste: “Questa cautela vale forse per le autorità giudiziarie. Ma non poteva avvertire privatamente Ambrosoli?”. Cuccia non cede: “Ambrosoli non poteva che avvertire le autorità giudiziarie, e saremmo arrivati direttamente a una denuncia per calunnia”. C’è silenzio nell’aula, un senso di gelo. La vedova di Giorgio Ambrosoli, che sta seduta in mezzo agli avvocati, protesta in un sussurro: “Per evitare una denuncia per calunnia s’è lasciato uccidere un uomo”. Per la prima volta dell’ inizio del processo, piange. Tampona con un fazzolettino le lacrime che non è riuscita oggi a trattenere. Uno dei difensori di Sindona, l’avvocato Giuseppe Carboni, si alza per congratularsi con Dedola. Congratulazioni che il legale della signora Ambrosoli avrebbe forse voluto evitare. Con altri obiettivi, e con maggiore aggressività, la difesa di Sindona aveva prima incalzato il “nemico storico” Cuccia intorno a quel punto cruciale. Perché la signora Ambrosoli e il suo legale sono convinti che il testimone Cuccia dica la verità quando riferisce quella minaccia di Sindona: “Farò scomparire Ambrosoli…”. E se un distacco vogliono segnare, è nei confronti dell’uomo Cuccia. Gli avvocati di Sindona mirano invece a demolire la credibilità del testimone Cuccia, a incrinare il micidiale fardello di prove che ha riversato nel processo. A stornare l’ attenzione da Sindona, che se ne sta silenzioso in gabbia, per tentar di trasformare Cuccia da vittima in genio malefico. Ma su questo piano con Enrico Cuccia c’è poco da fare. Oreste Dominioni e Giuseppe Carboni, i difensori di Sindona, impiegano tutta la loro abilità per metterlo alle strette. Cuccia replica calmo, col sovrano distacco di chi ne ha viste tante. Perchè teneva i contatti con Sindona? “Le minacce ricevute erano qualche cosa che teneva vivi i contatti. Mi illudevo che tenendo aperto il discorso le minacce sarebbero cessate. Gli altri si illudevano che continuando a minacciare avrebbero avuto da me quello che non potevo dare. Volevano la revoca del mandato di cattura contro Sindona, l’ annullamento della dichiarazione di insolvenza, il recupero dei denari. Mi chiedevano la luna, e io non potevo darla”. Se si sentiva così minacciato, perchè volle che fosse Sindona personalmente a chiederlo l’ incontro a New York? “Non volevo potesse sembrare che ero io a cercare Sindona”. Ed ecco che la difesa di Sindona cerca di rispolverare una vecchia storia. Quell’ affare Itt-Hartford, che Don Michele rinfacciò a Cuccia per un presunto falso in bilancio di Mediobanca. “Fui prosciolto in istruttoria, non c’ era alcun falso”, ricorda Cuccia. Alcuni avvocati chiedono una sosta per concertare altre bordate. Il difensore di Cuccia, professor Crespi, ne chiama a rapporto un paio, suoi ex-allievi. “Attenti, perchè Cuccia conosce tutta la storia finanziaria di questo ameno Paese. Non vorrei che ne venisse fuori una “tortorata” “. Fine della pausa. Gli avvocati ci hanno ripensato, non ci sono altre domande.
di FABRIZIO RAVELLI

Banchieri in pensione e vecchi Dc, il cerchio magico di Ambrosoliultima modifica: 2013-01-16T08:15:00+01:00da iskra2010
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