Dens dŏlens 124 – La paura di diventare grandi…

di MOWA

Leggendo l’articolo dal titolo: “Su Berlinguer, riprendiamo un articolo di Marco Rizzo e una tesi del nostro congresso” sul sito del Partito Comunista e firmato con l’acronimo “csp”, ci si potrebbe infuriare ma, poi, riflettendo a freddo, si potrebbero, forse, comprendere alcune ragioni per le quali quell’impostazione dovrebbe essere considerata più di natura letteraria che storica e la si potrebbe chiamare: “la paura di diventare grandi”. Infatti crescere impone ferree regole che si materializzano in diversi aspetti che vanno dall’approfondimento, vero, dei documenti alla contestualizzazione e valutazione delle scelte fatte dai vari partiti e dai politici per arrivare, infine, alla linea da adottare.

La storia è uno studio scientifico che attiene alla documentazione esistente e che vive di indagini approfondite per descrivere quanto accaduto, la letteratura, invece, è meno legata a quei vincoli scientifici o tecnici e più “libera” di usare locuzioni o vocaboli pur di suggestionare il lettore.

L’articolo in questione prosegue, con il solito litanico (e, spero, involontario) motivo di divisione anziché di aggregazione e senza comprendere che ciò è il frutto della cultura frazionistica e della negazione di voler diventare un partito di massa e, quando si parla di massa, si deve intendere affluenza di opinioni diverse che devono avere una barra direzionale e non un dogma.

Tutto ciò veniva chiarito bene dal compagno Andrea Montella nelle richieste formali fatte al partito in cui milita (Partito Comunista) dai titoli “Osservazioni di carattere storico-politico sulla prima parte del documento congressuale del Csp-Partito Comunista che si tiene a Roma dal 17 al 19 gennaio 2014” e “Gli Statuti del PCI… 13°, 14° e 18° votati al Congresso” (e riportate su questo sito) che, a tutt’oggi, però, non hanno avuto una pubblica risposta se non questo articolo che reitera un errore storico-documentale.

Se è vero (e non c’è dubbio del contrario) che “la verità è rivoluzionaria”, perché si persevera nel fare affermazioni errate?

Alla borghesia servono proprio gli errori degli oppressi così che, al momento buono, può presentare il conto…

Ecco il motivo per cui è obbligatorio rimediare all’errore storico-documentale espresso nelle tesi congressuali, ora che si è all’inizio e prima che arrivi la sfiducia dei lavoratori che vorrebbero vedere nei militanti del Partito Comunista portatori di verità e non di bugie.

Ci si ostina a dare valutazioni negative sull’ VIII° Congresso del PCI (del 1956) ma, invece di formulare una critica così posta nell’articolo, a firma “csp”, (e scusate la franchezza) somigliante in molte parti alle posizioni del Partito di Alternativa Comunista [1] (trotzkisti, ma della loro abilità nel dividere il mondo degli oppressi ne sappiamo qualcosina) si dovrebbero andare a consultare gli atti ufficiali del Congresso stesso che dicono molto altro. Questa lettura servirebbe a capire quali furono i motivi che, in quel periodo storico (contestualizzazione) spinsero alcuni dirigenti a scegliere la “via italiana al socialismo” esplicitata nel documento congressuale, denominato “Elementi per una dichiarazione programmatica del Partito comunista italiano” noto come “Dichiarazione Programmatica”.

Nell’articolo e nelle tesi congressuali del neo-Partito Comunista del gennaio u.s., invero, si attribuiscono le responsabilità al solo segretario Enrico Berlinguer (facendo un errore sia sulle date dei congressi – come ben spiegato nel secondo articolo di Andrea Montella – che di valutazione della collegialità decisionale del Partito Comunista Italiano) e si glissa, invece, sulle responsabilità di quel filone migliorista (Napolitano in testa) che indussero molte scelte politiche verso direzioni sbagliate, spessissimo, convergenti con gli “ortodossi” del partito sorprendentemente, favorevoli ad interessi capitalistici.

Esempio di condivisione di obiettivi tra miglioristi ed ortodossi fu la discussione avvenuta durante la riunione della Direzione avvenuta il 4 gennaio 1980, sulla giustezza dell’invasione dell’Afghanistan da parte dei sovietici, in quell’occasione Giorgio Amendola ebbe l’appoggio di Armando Cossutta e Arturo Colombi.

Amendola in quell’occasione esordì dicendo: “gli USA sono il nemico numero uno dell’Italia”… “la risposta alla vigilia di guerra mondiale in cui l’URSS è accerchiata (a cominciare dalla Cina)”.

Badate bene, stiamo parlando di una URSS (evidenziata molto bene nelle analisi delle tesi congressuali del 17-19 gennaio 2014) ormai in piena crisi di contenuti dove il revisionismo più bieco aveva fatto tabula rasa delle aspettative marxiste del paese, i miglioristi e gli ortodossi del PCI invece, funzionalmente al capitale, si presero la briga di far credere al mondo intero di essere gli unici a tenere alta la “tradizione” di un patrimonio politico-culturale ormai compromesso in quell’area geografica per non dire perso irrimediabilmente come la storia che ne è seguita ha dimostrato anche ai più ostinati e recalcitranti (anti-analitici) filo-sovietici.

In quell’occasione Enrico Berlinguer respinse la tesi di Amendola affermando: “il più duro colpo dato allo schieramento di pace mondiale negli ultimi decenni”… “Intervento in Africa, intervento in Cambogia, oggi intervento in Afghanistan: dobbiamo ammettere che ci sono errori, diciamo di calcolo, macroscopici. Possiamo allinearci, con una scelta di campo, con queste balordaggini, con questi errori di calcolo? Scelta di campo in vista della terza guerra mondiale? Non riesco a capire che valore ideale e pratico avrebbe”.

Persino Bufalini criticò Amendola richiamando l’insegnamento di Palmiro Togliatti sull’era atomica apostrofando: “Togliatti nel 1954 invocò alleanze che salvassero l’umanità (e Secchia commentò: dopo la “nazione” ora ci vuole far digerire l’“umanità”) dalla minaccia atomica. Questo è ancora vero e valido. Se l’avanzata del socialismo nel mondo vuol dire espansione del socialismo sovietico, questo è il contrario della distensione.[2]

Si insiste in quell’articolo, pedantemente, ad accusare il segretario Berlinguer (cadendo, incolpevolmente) di sostenere ciò che i comunisti hanno sempre rifiutato e che Breznev aveva, invece, esaltato: il culto della personalità; come se, tutte le scelte del partito fossero dispoticamente prese insindacabilmente da un anti-divo come Berlinguer… Sminuendo, con ciò la storia stessa del PCI che era fatto di centralismo democratico e non di autoritarismo burocratico come avvenne, ahimè, in URSS dopo la morte di Stalin.

Nell’articolo in menzione ci si ostina, invece, a glissare sul ruolo giocato dalla cordata, dell’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano quando nella direzione del partito, sosteneva posizioni (decisamente di comodo) favorevoli all’invasione da parte (dei già revisionati) sovietici dell’Ungheria nel 1956 con il solo, probabile, tentativo di alimentare la visione mondiale che i comunisti sono antidemocratici e irrispettosi della volontà popolare. Ci si dimentica, anche, che Napolitano pochi anni prima scriveva su uno dei giornali fascisti di Padova “Bo” cose terribili, in merito all’Operazione Barbarossa dei nazisti contro l’URSS: “L’Operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi: dato che il nostro sicuro Alleato [è] lanciato alla conquista della Russia, vi è necessità assoluta di un corpo di spedizione italiano per affiancare il titanico sforzo bellico tedesco”. [3] Non dando la giusta enfasi dei sui opportunistici interventi alla Camera contro l’Euro nel 1978 [4]

Queste sono state, in parte, le cause che hanno portato verso la capitolazione del fronte sociale rappresentato in URSS ed in Italia… Non altro.

Questi gli schieramenti, mai ufficializzati dal PCI – miglioristi legati al Partito d’Azione e “ortodossi” stretti intorno a Cossutta – che diedero vita ad una sinergica azione su due fronti che fecero mancare la forza, anche a quel terzo di partito che era legato incondizionatamente alle posizioni dell’URSS, di comprendere quale fosse la partita in campo… Oggi comprendiamo, amaramente, la falsità di quei soggetti che si trinceravano dietro frasi composte di autentica retorica “duri e puri”, ed altre amenità del genere che di marxista non avevano (hanno) nulla. Anzi…

Ed ecco, allora, spuntare la “sindrome di Peter Pan” in quell’articolo che non ammette colpe a sé stesso escogitando la rimozione delle cause e trovando, invece, il capro espiatorio piuttosto che sentirsi tirare in ballo.

Quanti di quelli che si ostinano a rifuggire ed addossare colpe al segretario Berlinguer ricordano le parole del suo stretto collaboratore Antonio Tatò sull’intervento sostenuto nel 1969 a Mosca: “in questi giorni ho riflettuto su una delle principali questioni sorte (risorte) dopo il tuo discorso al XXV Congresso del PCUS: la società sovietica è una società socialista? Quale risposta danno i comunisti italiani a tale quesito? La risposta che io darei è sì”. E l’allusione era riferita a Napolitano quando in polemica con Berlinguer si parlava di “diversità qualitativa della struttura e delle basi sociali ed economiche della società sovietica, rispetto a quelle delle società dell’Occidente capitalistico”.

Avremmo preferito leggere, giusto per chiudere, un articolo sul cosa fare oggi e domani per dare risposte concrete e tangibili agli oppressi di questo pianeta vista la crisi che imperversa e non intende fermarsi, proposte che possano aggregare nuovi fronti sociali e scongiurare nuovi conflitti.

Potremmo proporre, ad esempio, come inizio un euro che valga in ugual misura (pil incluso) dal Portogallo alla Germania, dalla Grecia alla Polonia con lo stesso potere d’acquisto se vogliamo veramente, costruire un blocco sociale capace di aggregare e in controtendenza alle dinamiche liberiste che ci sono in atto dove la Bolkestein [5] ne è stata un “fulgido” e palpabile esempio.

Una proposta fatta al mondo del lavoro che fosse capace di superare le barriere ed i confini geografici, di farsi comprendere sul versante dei diritti, in grado di farli ottenere a chi non ne ha e di conservarli a chi li ha già conquistati… non più con la prospettiva concorrenziale tra Stati ma di ampliamento degli stessi.

Una direzione politica, in tal senso, scalzerebbe, sicuramente, coloro i quali vogliono conservare dinamiche dentro una pianificazione economico-finanziaria borghese e che, darebbe un lungo respiro di prospettiva agli oppressi.

Infliggeremmo, finalmente, con la parificazione dell’euro un duro colpo all’imperialismo anche sui fronti di guerra nell’Est europeo. Daremmo una prospettiva diversa e più vicina ai bisogni materiali dei lavoratori costringendo, anche, i filo-statunitensi a rivedere la propria politica.

Costringeremmo, in buona sostanza, i vari imperialismi (USA in testa) con i suoi scendiletto e la BCE, a non dettarci più l’agenda politico-economica. Costruiremmo un blocco sociale coeso su una proposta univoca e capace di spezzare la politica del consenso fatta su parametri del ricatto economico se non ci si allinea su quanto stabilito dalle banche… Un blocco sociale che possa costruire, anche, un’Europa (il Continente più antico e che, per primo, ha saputo dare esperienze di tutela alla persona più che in altri paesi nel mondo) e che ha bisogno di essere fortificato su questo versante invece di introdurre le derive liberiste di altri.

Questo sarebbe stato un buon inizio. Ed invece…

Si usano nell’articolo, persino, gli accostamenti testo/foto per aggravare la pericolosità del personaggio Berlinguer accostandolo ad uno dei detrattori del PCI come D’Alema.

Guardando le foto qui sotto allora cosa dovremmo pensare di questi altri (Lenin e Stalin) visto con chi sono ritratti…

Sono stati, per questo, negativi per il mondo degli oppressi? Assolutamente no!

Cerchiamo compagni di essere meno spregiudicati perché il mondo del lavoro osserva e valuta se aderire o meno ai progetti che vengono presentati…

Solo chi disprezza, come i reazionari e la borghesia, non crede nella capacità di discernimento degli oppressi.

Il compagno Berlinguer rispondeva così, nel 1978, alla domanda fattagli se il PCI fosse leninista o meno:

Lei è proprio certo che oggi, 1978, dopo quanto è successo e succede in Italia, in Europa, nel mondo, il problema col quale dobbiamo confrontarci noi comunisti italiani sia proprio quello di rispondere alla domanda se siamo leninisti o no? E non dico lei, ma tutti quelli che ci rivolgono tale domanda, conoscono davvero Lenin e il leninismo, sanno davvero di che cosa si tratta quando ne parlano? Mi permetta di dubitarne. Comunque, a me sembra del tutto vivente e valida la lezione che Lenin ci ha dato elaborando una vera teoria rivoluzionaria, andando cioè oltre <<l’ortodossia>> dell’evoluzionismo riformista, esaltando il momento soggettivo dell’autonoma iniziativa del partito, combattendo il positivismo, il materialismo volgare, l’attesismo messianico, vizi propri della socialdemocrazia e invece aprendo un varco alle forze proletarie del rinnovamento e della liberazione che lottavano in Russia e in tutto il mondo. Vale la lezione del Lenin che ha spezzato il dominio e l’unità mondiale del sistema capitalistico, imperialistico e colonialistico, del Lenin combattente in ogni angolo d’Europa per la pace e contro la guerra, del Lenin che ha scoperto la decisività dell’alleanza del proletariato industriale con i contadini poveri, e che, ancora pochi mesi prima dell’ottobre 1917, <<in quella situazione infiammata, non eludeva la possibilità di uno sviluppo pacifico della rivoluzione socialista e il permanere di una pluralità di partiti>> (sono parole di Togliatti nel 1956); del Lenin che concepiva il socialismo come la società che doveva realizzare la compiuta pienezza della democrazia.”… “Lei, dunque, non rinnega Lenin…” “Ma per carità! Voglio aggiungere però che la mia non vuol essere né deve essere intesa come una risposta manichea o apologetica per partito preso. Noi comunisti italiani abbiamo una nostra peculiarità, una nostra elaborazione teorica, una nostra storia. Da quando siamo nati, nella nostra esperienza, nella nostra analisi e ricerca, nelle nostre battaglie, Lenin ha un suo posto, e assai rilevante, ma tutt’altro che esclusivo e tutt’altro che dogmatico. Chi ci chiede di emettere condanne o di compiere abiure nei confronti della storia e in particolare della nostra storia, ci chiede una cosa che è al tempo stesso impossibile e sciocca. Non si rinnega la storia, né la propria, né quella degli altri. Si cerca di capirla, di superarla, di crescere, di rinnovarsi nella continuità. I passi avanti nell’adeguamento e aggiornamento della nostra linea e condotta politica li abbiamo compiuti non rompendo con il nostro peculiare passato, non separandoci dal nostro retroterra, non recidendo le nostre radici, non facendo il vuoto alle nostre spalle, bensì sviluppando il grande, irrinunciabile patrimonio teorico e ideale accumulato in centotrent’anni di lotte dei movimenti rivoluzionari nati col Manifesto del partito comunista, impegnandoci nello sforzo di aderire a ogni piega della realtà italiana, di comprendere e di trasmettere il senso e la direzione della nostra storia nazionale, di esprimere, nei nuovi tempi, il meglio delle nostre tradizioni culturali e conquiste civili. Diceva Macchiavelli: <<Se le repubbliche e le sette (cioè i partiti odierni) non si rinnovano, non durano. E il modo di rinnovarle è di ricondurle verso principi loro>> .” [6]

Lenin (al centro) con Trotsky e Kamenev due bolscevichi che erano alla sua destra in senso politico

Stalin in compagnia del revisionista Krusciov nel 1936

 

Note:

[2] Silvio Pons “Berlinguer e la fine del comunismo” Ed. Einaudi pag. 170-171

[3] Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara I panni sporchi della sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari del PD Ed. Chiarelettere pag.41

[6] P. Ciofi e G. Liguori Enrico Berlinguer Un’altra idea del mondo Editori Riuniti pag. 176-177

Dens dŏlens 124 – La paura di diventare grandi…ultima modifica: 2014-06-20T02:02:02+02:00da iskra2010
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