Dens dŏlens 196 – Venezuela in poche righe

di MOWA

Il grido “Patria, socialismo o la morte!” lanciato nel lontano 2007 da Hugo Chavez e poi ripreso, nel passaggio di testimone alla guida del paese venezuelano da Maduro, ha subito, qualche giorno addietro nelle ultime elezioni, l’ennesimo arresto.

In Venezuela, quest’ennesimo arresto della gestione chavista e nel contempo l’escalation della borghesia hanno radici profonde che partono dall’arresto del processo economico socialista da parte dello stesso Chavez che ne ha impedito la realizzazione non mettendo in pratica i suggerimenti dell’economista (comunista) Manuele Sutherland, docente di Economia politica all’Università bolivariana di Caracas e ricercatore presso il Centro de Investigación y Formación Obrera (CIFO).

Chavez e, poi, Maduro hanno preferito seguire le teorie negriane (che sono mazziniane e, quindi, antitetiche al socialismo-comunismo) per inseguire un sogno impossibile perché infettato di cultura borghese come avevamo già anticipato nel luglio scorso in un incontro a Pisa con l’economista Manuele Sutherland.

Manuele Sutherland, in più occasioni negli anni passati, aveva ribadito la necessità per il Venezuela, per evitare che la borghesia si riprendesse il potere, di effettuare profonde soluzioni radicali partendo da quelle indispensabili come:

  • nazionalizzazione delle banche per non perdere l’opportunità di controllare i flussi economici. Infatti, non avendolo fatto molte valute sono fuggite illegalmente. Inoltre, non sono poche le realtà speculative della borghesia internazionale che hanno portato ad avere variazioni tra il 125% e il 200% (come nel caso dell’azienda Yokomoto 1811) a scapito dell’economia interna venezuelana, aggravata dal fatto che gli imprenditori locali, per trarre profitto dalla vendita dei loro prodotti, li hanno portati all’estero.
  • nazionalizzazione della riserva strategica naturale, del petrolio, invece di favorire il guadagno delle società estrattrici straniere nella vendita.

Inoltre, andava potenziato l’aspetto dell’autosufficienza. Infatti, era importante diventare autosufficienti come paese, partendo dallo sviluppare la ricerca di nuove tecnologie industriali (eco-compatibili) per un ampliamento della classe operaia, l’unica capace di avere, se istruita e organizzata, una forza rivoluzionaria capace di proiettarsi verso la visione di un modello socialista.

Quest’ultima scelta politico-strategica diventa determinante, non per stupido operaismo tout court, ma per la consapevolezza che senza un fronte ampio e coeso, con una forte connotazione di comunanza di situazioni sociali, non si può pretendere di modificare granché, proprio come sosteneva Palmiro Togliatti parlando di Antonio Gramsci in “Lo Stato operaio, n. 5-6, maggio-giugno 1937”:

“…Il problema del partito, il problema della creazione di una organizzazione rivoluzionaria della classe operaia, capace di inquadrare e dirigere la lotta di tutto il proletariato e delle masse lavoratrici per la loro emancipazione, questo problema sta al centro di tutta l’attività, di tutta la vita, di tutto il pensiero di Antonio Gramsci…

…Sino alla rivoluzione borghese, la quale creò in Italia l’attuale ordine borghese, Torino era la capitale di un piccolo Stato, che comprendeva il Piemonte, la Liguria, la Sardegna. A quel tempo regnavano in Torino la piccola industria, la produzione domestica e il commercio. Quando l’Italia diventò un regno unito con Roma capitale, Torino parve in pericolo di perdere l’importanza che aveva prima. Ma la città superò rapidamente la crisi economica, la sua popolazione si raddoppiò ed essa divenne una delle più grandi città industriali d’Italia. Si può dire che l’Italia ha tre capitali: Roma, centro amministrativo dello Stato borghese; Milano, ganglio centrale della vita commerciale e finanziaria del paese (tutte le banche, gli uffici e gli istituti finanziari sono stati concentrati a Milano); e infine Torino, centro della industria, dove la produzione industriale ha trovato il suo più alto sviluppo. Col trasporto della capitale a Roma, tutta la media e piccola borghesia intellettuale, che dava una impronta determinata alla esteriorità del nuovo Stato borghese, abbandonò Torino. Ma lo sviluppo della grande industria attrasse a Torino il fiore della classe operaia italiana. Il processo di formazione di questa città è dunque estremamente interessante per la storia d’Italia e della rivoluzione proletaria italiana. Il proletariato torinese divenne in questo modo il capo della vita spirituale delle masse operaie italiane, le quali sono legate alla città con tutti i legami possibili: origine, famiglia, tradizione, storia, ed anche con legami spirituali (ogni operaio italiano desidera ardentemente di andare a lavorare a Torino)…

Togliatti, in quel discorso (e facendo l’esempio di Torino), allargava l’esperienza ad altre realtà (e quindi, oggi, Venezuela incluso) su quelle che erano le basi e le direttrici tattiche per la costruzione di un paese socialista-comunista.

Infatti, Togliatti, più avanti, parlando sempre di Gramsci, esordiva dicendo che:

“Nell’operaio della grande industria moderna concentrata, egli vedeva la forza capace di risolvere tutti i problemi della società italiana, ‘il protagonista della storia dell’Italia moderna’. In questo modo egli respingeva tutte le posizioni reazionarie dei democratici borghesi, i quali, partendo dalla constatazione ‘della particolare struttura dell’Italia come paese di contadini’ e basandosi sulla situazione fatta nello Stato italiano alle masse contadine meridionali e delle isole, contrapponevano queste masse contadine alla classe operaia, facevano del ‘problema del Mezzogiorno’ un problema separato dal problema generale della rivoluzione proletaria e socialista, e fomentando la gelosia e il sospetto dei contadini contro gli operai e contro le loro organizzazioni, creando una scissione tra il proletariato e le masse contadine rendevano alla borghesia reazionaria il migliore dei servizi. Ma in qual modo la classe operaia riuscirà a esercitare la sua funzione storica?

Attorno a questo problema la mente di Gramsci lavora già prima della guerra e durante la guerra. Egli comprende che dalla guerra uscirà lo sfacelo della società italiana, perché le grandi masse lavoratrici, risvegliatesi ed entrate impetuosamente nella vita politica, chiederanno imperiosamente la soddisfazione dei loro bisogni, e l’apparato tradizionale di governo della borghesia non resisterà a questa spinta. Il proletariato deve riuscire a creare un nuovo apparato di governo della società e questo apparato non può essere fornito né dai sindacati né dalle altre organizzazioni operaie già esistenti. Occorre una organizzazione nuova, nella quale si incarni la volontà e la capacità del proletariato di prendere il potere, di organizzare un nuovo Stato, una nuova società. È in questo ordine di idee che l’attenzione di Gramsci si dirige verso la fabbrica, verso le forme che la lotta di classe prende sul luogo di lavoro, verso le nuove organizzazioni che già durante la guerra gli operai creano nelle fabbriche e che si distinguono dai sindacati perché hanno la capacità di condurre una lotta più vasta della semplice lotta salariale…

“…esiste in Italia, a Torino, un germe di governo operaio, un germe di Soviet: è la commissione interna di fabbrica».

La commissione interna di fabbrica, sorta durante la guerra per iniziativa dei sindacati, si veniva sviluppando come organismo autonomo, eletto da tutta la maestranza e rappresentanza di tutta la massa operaia di fronte al padrone. La trasformazione veniva accelerata dalle condizioni generali davanti a cui la crisi del dopoguerra poneva la classe operaia, stimolando in essa la coscienza della necessità della lotta per il potere. Dalle commissioni interne sorgeva in Torino il movimento dei Consigli di fabbrica, movimento di tipo sovietico, che minacciava la società borghese e il potere della borghesia nelle sue basi, sul luogo stesso della produzione.

E’ essenziale che Maduro e i venezuelani prendano le distanze dai mazziniani come Negri e traggano esempio da reali comunisti, di cui sopra, prima che sia troppo tardi, perché in questo momento sono ancora in tempo ed hanno una grande opportunità per invertire la rotta secondo i suggerimenti dell’economista Manuele Sutherland onde evitare che gli oppressi di quel paese (e non solo) ricadano preda degli appetiti delle multinazionali che, tra l’altro, stanno consumando, letteralmente, oltre la vita delle persone anche quella del pianeta.

La felicità di una vera emancipazione umana e sociale di quel paese dipende molto dai cambiamenti, infatti, solo arrestando il processo involutivo che già attanaglia le frontiere con “nuove” oligarchie si eviterà la privazione della democrazia.

Siete un grande popolo… continuate ad esserlo e siete d’esempio per il mondo.

Dens dŏlens 196 – Venezuela in poche righeultima modifica: 2015-12-09T02:31:33+01:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento