Dens dŏlens 222 – Due conti veloci, veloci…

di MOWA

Il Governo Renzi sta approntando, sulle pensioni, una soluzione che non può che avere una sola definizione: demenziale (ed è, ancora, un complimento).

Se il ministro Poletti e il sottosegretario Tommaso Nannicini presentando, il 15 giugno al tavolo di confronto con i sindacati, l’Ape, l’anticipo pensionistico hanno pensato che fosse la soluzione ai disastri perpetrati ai danni dei lavoratori dal Governo Monti, tramite Elsa Fornero, si sono sbagliati di grosso.

Se il Governo Renzi spera che i lavoratori di questo martoriato paese possano prendere in seria considerazione quanto stanno architettando i suoi ministri sulle pensioni vuol dire che non hanno, nemmeno lontanamente, il polso della situazione.

Ma, proviamo a vedere come funzionerebbe questo “Ape” (anticipo pensionistico).

Chi dovesse decidere di lasciare il lavoro tre anni prima del tempo previsto per l’accesso alla pensione di vecchiaia – ovverosia a 66 anni e 7 mesi riceverà dall’Inps, tramite una banca convenzionata, un assegno mensile che funzionerà come un prestito da restituire in 20 anni (in egual misura, in futuro, il prestito sarà esigibile anche nei confronti degli eredi del pensionato che sono solidalmente responsabili per i debiti del defunto).

I lavoratori delle classi 1951-1953, che avranno più di 63 anni e meno dei 66 e 7 mesi necessari per andare in pensione di vecchiaia, potranno essere tra i potenziali beneficiari dell’Ape già nel 2017. Dal 2018, i lavoratori che potranno fruire di detta norma, saranno quelli della classe 1954 e per il 2019 i nati nel 1955.

Qualche società (indipendente) di consulenza ha ipotizzato che ad un lavoratore (nato il 1° giugno 1953) con un reddito mensile netto di € 2.000 (e la maggior parte dei lavoratori percepisce uno stipendio inferiore) e conservando un tasso all’1,5 %, spetti una pensione di vecchiaia di poco superiore a € 1.700. Lo stesso lavoratore che accetti l’Ape (anticipo pensionistico) con uscita il 1° gennaio 2017, invece del maggio 2020, avrà un assegno ridotto del 10%, pari a circa € 1.540. Ma la storia non si arresta alla riduzione della propria pensione del 10% perché dopo 3 anni dovrà iniziare a restituire il prestito con rate pari a € 240 che faranno diminuire, ulteriormente, l’ assegno mensile a circa € 1.300… per ben vent’anni. E, dopo tale scadenza ventennale, a quasi 87 anni di età (per chi ci arriva) l’assegno ritornerà a circa € 1540 rispetto ai potenziali € 1700 che sarebbero spettati se non si fosse scelto l’Ape.

La Uil-Servizio politiche previdenziali sostiene che cosa peggiore, se avesse scelto l’Ape, sarebbe accaduta ad un pensionato con un assegno da € 2.500 netti mensili perché subirebbe “un taglio dell’assegno fino al 20%” e, quindi, con una rata di restituzione pari al quinto della sua pensione netta e, corrispondente, al 15% di quella lorda.

E, all’insegna del perenne vincolo (anche, economico) con i potenti, questo Governo sta cercando di regalare ai poteri forti, ( non c’è che dire) un bel tasso di interesse.

Dens dŏlens 222 – Due conti veloci, veloci…ultima modifica: 2016-06-18T00:04:19+02:00da iskra2010
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