Servizi e clan, ecco la “squadra” della Falange Armata

Se un paese europeo sta andando male sia sotto il profilo dei diritti civili che quelli economici ci saranno, ovviamente, delle cause specifiche.

E se esistono cause specifiche ci saranno, anche, soggetti giuridici che hanno contribuito (in misura più o meno grande), e aiutato nella degenerazione sociale.

Nel post qui sotto, ad esempio, si parla di strutture occulte e clandestine come Gladio (Stay behind) che hanno avuto un ruolo determinante nell’instabilità di molti paesi e dalla quale scaturisce spontanea un’altra circostanziata domanda.

Se questa struttura clandestina di Gladio, quindi, illegale in ogni Stato, è riuscita ad avere una comprovata responsabilità nelle trame peggiori che si possano immaginare cosa dovremmo pensare quando vediamo un suo componente essere stato un ex-ministro del Lussemburgo, oltre, al vertice della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, prima di presiedere l’Eurogruppo dal 2005 al 2013, come Jean-Claude Juncker?

E se (come si sostiene nel post sottostante), ci fu una velata mano dei gladiatori (o pseudo tali) nelle bombe del ’93-’94 vuol dire, anzitutto, che è tuttora viva e vegeta e che ha avuto, probabilmente, la responsabilità di aver fatto eleggere cariche politiche pubbliche importanti nel nostro paese?

Perché se sono riusciti, i clandestini gladiatori, a far diventare quello che è stato (ed è) Juncker si può sospettare e/o immaginare ben altro. Tanto clandestina Gladio da essere confermata dalla testimonianza di Amos Spiazzi in una delle varie udienze passate

– Come lei forse saprà, io ho chiesto, prima di essere interrogato, di essere dispensato dal segreto, al quale, nel mio ruolo, sono tenuto, ma il mio generale mi ha vietato nel modo più assoluto di rivelare informazioni coperte da segreto. Durante il processo è venuto in aula, e davanti al magistrato ha detto in modo plateale: “ parli pure liberamente”. Ma mentre mi diceva questo, guardandomi dritto negli occhi, con la mano che aveva poggiata sul ginocchio, mi faceva chiaramente segno di no, muovendo l’indice a destra e a sinistra.. Comunque non ho parlato.
– Di cosa è accusato, colonnello?
– Di cospirazione politica e insurrezione armata contro lo Stato: in particolare di aver partecipato a un tentativo di golpe e di essere un affiliato della cosiddetta Rosa dei Venti
– Lei ha dichiarato che all’origine dei vari golpe nei quali è stato coinvolto c’era una organizzazione dentro l’organizzazione che ha praticamente spezzato in due i nostri servizi di sicurezza.
– Dentro le istituzioni ci sono persone che appartengono a una organizzazione che non ha finalità eversive e tanto meno criminose, ma si propone di proteggere le istituzioni vigenti contro ipotetici avanzamenti dei comunisti nel nostro Paese. Questa organizzazione ha una struttura gerarchica non necessariamente coincidente con quella delle forze armate. Ovviamente all’interno di questa struttura ci si riconosce non tanto per frequentazione personale, quanto per mezzo di segni convenzionali. Io ad esempio non conosco tutti i membri di questo sistema e non so da chi e come vengano scelti, pur supponendo che ci si basi su criteri non troppo diversi da quelli che vengono utilizzati per scegliere gli ufficiali dei servizio Interno, cioè criteri di sicurezza. Voglio aggiungere che questo organismo non si identifica in nessun organismo di sicurezza ufficiale.

– Lei mi sta dicendo che esiste una organizzazione clandestina dentro il nostro Stato che non risponde alla gerarchia ufficiale ma solo ai suoi riferimenti politici anticomunisti?
– Ho fatto oggi delle dichiarazioni che non avrei mai dovuto fare sull’esistenza di un organismo di sicurezza interno, segreto, ma le ho fatte perché ritengo che abbia una sua funzione legale e debba essere tutelato come gli altri organismi dello Stato. Che io sappia esiste dal 1972, si tratta di una organizzazione caratterizzata da una gerarchia verticale e che è parallela alle istituzioni ufficiali. Ad esempio, uscendo da questo studio io non potrei mettermi in contatto direttamente con il personaggio a me superiore, che mi hai dato l’ordine di predisporre l’incontro con i finanziatori, ma sarebbe lui a farmi contattare. Solo chi è al vertice conosce tutta la struttura ed esistono, a vari livelli, dei vertici parziali. Inserirsi in questo reticolo è impossibile e comporterebbe dei rischi notevolissimi per chi lo facesse.
Per entrare in questa organizzazione occorre avere sentimenti anti-marxisti e aver svolto determinati compiti informativi nelle caserme. Non si chiede di entrare a farne parte, perché, di fatto, il chiederlo implica l’entrare in contatto con un terminale dell’organizzazione, ma si viene scelti, dopo essere stati osservati. La gerarchia di questa organizzazione segreta, dai cui ordini dipendono i sottoposti, non coincide necessariamente con quella della struttura ufficiale, col risultato di possibili sovrapposizioni e conflitti nell’esecuzione dei comandi.
Suppongo che in questa rete di militari e civili abbiano una parte parecchio rilevante le organizzazioni criminali del sud, ma sono ipotesi che non posso dimostrare, avendo io da sempre operato nel solo quadrante nord est.

Potremmo, persino, azzardare l’ipotesi che diversi esponenti politici e istituzionali non vogliano ripristinare la legalità perché sia il degrado sociale che i soprusi possono diventano funzionali al processo degenerativo per la realizzazione di un malsano “piano di caos”  contro la stabilità della democrazia del nostro paese e che, tutto quello realizzato sino ad ora, come Roma criminale , le crescenti violenze fasciste, o i casi di Olbia (qui sotto il video – dove si usa la disperazione sociale come una clava, ad uso e consumo del proprio tornaconto politico, e non di onesta richiesta di un bisogno reale), siano, solo, dei passaggi forzati a presentare il conto che sarà molto, molto peggio.

Che i veri ed onesti democratici siano consapevoli che nulla capita a caso ma, invece…

Piazzapulita

MOWA

Il filo nero delle rivendicazioni della misteriosa sigla incastra l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo in un mosaico complesso ed eversivo. Che dalla Calabria porta alle stragi continentali

REGGIO CALABRIA «Prima non mi rendevo conto, sembravano cose così lontane. Adesso invece, udienza dopo udienza, tutto sembra più chiaro. E tutto si incastra». Puntualmente, Ivana Fava questa mattina si è presentata all’udienza del processo che vede alla sbarra i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, considerati mandanti dell’omicidio del padre, il brigadiere Antonio Fava, ucciso insieme al collega Vincenzo Garofalo il 18 gennaio del 1994. Ed ancora una volta, al termine delle attività è quasi stupita. Perché giorno dopo giorno, le è sempre più chiaro che quell’agguato in cui il padre e il collega hanno perso la vita non è stato una “cosa da balordi”, ma la tessere di un piano eversivo scritto a più mani.
A confermarlo – ha spiegato oggi in aula il dirigente dell’antiterrorismo Eugenio Spina, interrogato dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – è la firma usata per rivendicare quel delitto, Falange Armata.

LE TRE RIVENDICAZIONI CALABRESI Poco dopo l’omicidio dei due militari, sono stati recapitati tre messaggi di rivendicazione, curiosamente ignorati dalle indagini sviluppate dopo il delitto. Il 20 gennaio del ’94, un uomo dal forte accento calabrese chiama la stazione dei carabinieri di Scilla. «Se continuate così – dice – ne uccidiamo altri quattro, vedete che non stiamo scherzando».
Il 1 febbraio invece, è una donna che con tipica inflessione calabrese chiama la stazione dei carabinieri del rione Modena di Reggio Calabria solo per dire: «Maledetti stiamo facendo una strage, maledetti» e poi buttare giù.
L’ultima rivendicazione arriva per iscritto. E probabilmente – sottolinea Spina – «è quella che riteniamo più importante perché per la prima volta appare la firma “Falange armata”. Si tratta di una missiva anonima, con all’interno un comunicato di rivendicazione, scritto a normografo, che viene recapitata alla stazione dei carabinieri di Polistena». Il testo è breve, il messaggio inequivocabile. «Quanto ci siamo divertiti per la morte dei due carabinieri bastardi uccisi sull’autostrada. È l’inizio di una lunga serie e mi auguro che a Polistena facciate tutti la stessa fine». La firma – Falange armata – diventa una traccia fondamentale per gli investigatori.

LA SCIA DELLA FALANGE I tre messaggi calabresi sono solo tre grani di un rosario di più di 1.700 rivendicazioni, arrivate per telefono o per iscritto dall’11 aprile del ’90 al 2000. La prima è stata fatta per firmare l’omicidio di Umberto Mormile, l’educatore carcerario – ha stabilito una sentenza definitiva – ucciso per aver scoperto i rapporti fra uomini dell’intelligence e il boss Antonio Papalia. Una verità scoperta anche grazie alla collaborazione degli esecutori materiali di quel delitto, dopo anni di fango, menzogne e misteri sul giovane ucciso. Misteri che le criptiche rivendicazioni della Falange non hanno fatto che alimentare. L’omicidio Mormile – spiega Spina – diventa la costante di una serie di telefonate o missive di rivendicazione o minaccia, che a partire dall’aprile del ’90 l’organizzazione fa pervenire con costanza agli uffici dell’Ansa, in carcere, alla polizia o ai carabinieri.

IL PROGRAMMA Inizialmente si presenta come Falange Armata Carceraria, poi semplicemente come Falange Armata. Ma si tratta sempre della medesima organizzazione, come testimonia il messaggio di rivendicazione arrivato nel novembre del ’90 per firmare l’omicidio di due professionisti di Catania.
È un messaggio fondamentale. Primo, perché per la prima volta le due sigle vengono messe in connessione dai misteriosi autori, secondo perché si fa riferimento un «programma politico e militare» dell’organizzazione.
Secondo i misteriosi autori delle telefonate, sarebbe stato lasciato sotto forma di bobina alla stazione di Bologna qualche giorno prima, con tanto di comunicazione all’Ansa sulla sua ubicazione. E qualche anticipazione sul contenuto. Su quel nastro – riferisce Spina – ci sarebbero state «informazioni interessanti sulla struttura di Gladio, sulla strage di Bologna, sul delitto Mattarella». Quel nastro – sempre che sia esistito – non è mai stato trovato. La falange però ha continuato le sue attività. Anzi le ha aumentate.

ESCALATION «A partire dal ’90. questa sigla – dice il dirigente dell’antiterrorismo, rispondendo alle domande del procuratore – si sviluppa ulteriormente negli anni successivi, fino a raggiungere il suo apice nel ’93, quando sono stati attribuiti alla Falange Armata ben 437 episodi di rivendicazione. Nel ’94 sono 291 episodi. Si tratta per lo più di telefonate, ma non mancano comunicati scritti». Non si tratta di un dato neutro. Quelli sono gli anni delle stragi continentali, usate – ipotizza oggi l’inchiesta ‘Ndrangheta stragista – per un piano eversivo da sviluppare in più fasi, con l’obiettivo di imporre un governo amico, al posto dei vecchi referenti politici, istituzionali e forse internazionali, travolti dall’ondata di Tangentopoli e dal crollo del muro di Berlino. Una partita che tra il ’93 e il ’94 – emerge dalle carte dell’inchiesta – è stata giocata su più tavoli, con le bombe come con i voti.
Un’ipotesi confermata anche dal numero di rivendicazioni della Falange, che dal ’95 in poi – spiega Spina – «fa registrare una progressiva diminuzione, fino al 2000, l’ultimo anno in cui siano arrivate rivendicazioni con questa sigla».
Negli anni «la Falange ha rivendicato sia delitti mai avvenuti, sia delitti consumati, ma le rivendicazioni sono avvenute sempre dopo che era stata data notizia del delitto stesso. Moltissime sono state le minacce nei confronti di personale del settore carcerario, di uomini delle forze dell’ordine, magistrati, giornalisti, personalità politiche o alte cariche dello Stato». In totale, la Falange ha all’attivo oltre un decennio di attività. Ma – al momento – non è stato sufficiente per scoprire chi dietro quella firma si nasconda.

CHI SI NASCONDE DIETRO LA FALANGE? Più di un tentativo – emerge dalla deposizione – è stato fatto. A Roma è stata aperta un’indagine, poi archiviata. Un altro fascicolo ha portato anche all’individuazione di un uomo, l’educatore carcerario di Messina, Carmelo Scalone, condannato in primo grado e assolto in appello dall’accusa di aver inoltrato comunicati a firma Falange Armata ad alcune agenzie di stampa. A livello investigativo e di intelligence invece si è riusciti a fare qualche passo in più. Sebbene sia rimasta – afferma Spina – «una galassia di difficile comprensione», già nel ’93 la Falange veniva indicata pubblicamente come «scheggia impazzita di settori dello Stato». Una definizione più volte usata in pubblico e sulla stampa dal senatore Gualtieri, all’epoca presidente della commissione stragi, ma che coincide con le analisi che sulla Falange si stavano sviluppando in ambienti di intelligence.

STRUTTURA CREATA IN LABORATORIO Secondo una relazione del Cesis del Marzo del ’83, «è da prendere in considerazione la tesi secondo cui si tratta di una sigla usata per coprire una struttura creata in laboratorio con specifici intenti di inserimento e di manovra in ambienti di pubblico interesse». All’epoca, a dirigere il Cesis c’era l’ambasciatore Fulci. Un personaggio ritenuto scomodo da molti, tanto da scoprirsi monitorato, ascoltato e pedinato. Probabilmente proprio dagli uomini della Falange. Per questo, Fulci – in gran segreto – si è messo al lavoro per spiare e individuare chi lo spiava. «Ebbe a segnalare per iscritto – riassume in aula il dirigente dell’antiterrorismo – 16 nominativi che a suo dire facevano parte di Gladio e potevano essere parte della Falange Armata. Secondo Fulci i vertici del Sismi avrebbero fatto parte o sarebbero stati a conoscenza dell’organizzazione Falange Armata, coincidendo le località di provenienza delle rivendicazioni di Falange armata con i vertici del Sismi».

COINCIDENZE? Punti di contatto che sembrano andare oltre le banali coincidenze, al pari delle telefonate che tra il ’93 e il ’94 – e in particolare nel periodo delle stragi continentali- sono state registrate fra i soggetti finiti al centro del fascicolo fiorentino su quelle bombe e celle calabresi. In quegli anni – spiega il dirigente dell’antiterrorismo Antonio Petrillo – 1.197 utenze hanno avuto contatti con soggetti quanto meno presenti in Calabria.
Ma contatti con celle calabresi sono stati registrati da parte di esponenti di spicco dei clan che per le bombe di via dei Georgofili sono stati condannati, come Leoluca Bagarella, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Filippo Graviano, Giuseppe Barranca, Giovanni Brusca, Cristofaro Cannella, Giuseppe Ferro, Antonino Mangano, Matteo Messina Denaro, Vittorio Tutino, Giuseppe Graviano, Giuseppe Monticciolo, Giovanni Benigno, Salvatore Grigoli, Antonino Messana, Alfredo Bizzoni, Giorgio Pizzo. Almeno otto delle utenze a riferibili ad alcuni di loro hanno avuto contatti diretti con 17 utenze – 7 cellulari e 10 fissi – all’epoca in Calabria. Ma sul dettaglio toccherà ad altri investigatori spiegare ed approfondire. Nel frattempo però, la composita squadra eversiva che negli anni Novanta ha firmato le stragi continentali (e non solo) comincia a prendere forma.

Alessia Candito

1 dicembre 2017

Servizi e clan, ecco la “squadra” della Falange Armataultima modifica: 2017-12-03T04:23:52+01:00da iskra2010
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