Dens dŏlens 281 – Catalogna: autonomia o sciovinismo?

di MOWA

A parlare di Catalogna di questi tempi (e per taluni), si corre il rischio di incorrere in spiacevoli fraintendimenti dovuti sia all’esasperazione a cui sono stati portati gli abitanti di quella parte della comunità iberica che alla violenza intellettuale dei “cattivi maestri” dell’una e dell’altra parte politica.

Anticipiamo, sin d’ora, che quanto sta accadendo in quell’angolo di terra non fa, e non farà bene, sia agli abitanti catalani che alle altre regioni iberiche, ma farà, sicuramente, bene a chi, sapientemente, ha favorito la frammentazione degli oppressi e agevolato, così facendo, un capitalismo che, con le sue due gambe interventiste, saprà ricavarne un enorme vantaggio in un imminente futuro se, non si prenderà consapevolezza della trappola, ben ordita, a danno dei lavoratori che avrebbero, invece, più bisogno di unità tra loro piuttosto che strumentali divisioni.

Cosa drammatica della confusione in quell’area geografica è il non aver compreso quanto già successo in passato sul versante delle divisioni tra gli oppressi. Infatti, la Spagna è, ancor oggi, un paese che non ha saputo risolvere le sue contraddizioni culturali, oltreché, istituzionali, conservando un piede nel passato, con un re e una monarchia, ed uno nel futuro, con un sistema elettivo parlamentare.

Nell’esperienza sovietica, ad es., sia Lenin che Stalin si interrogarono su cosa volesse dire avere realtà culturali, linguistiche… diverse e, quest’ultimo, venne alla seguente conclusione, ne La questione nazionale

L’imperialismo è la fase suprema dello sviluppo del capitalismo. Il capitale ha sorpassato nei paesi avanzati i limiti degli Stati nazionali, ha sostituito alla concorrenza il monopolio, creando tutte le premesse oggettive per l’attuazione del socialismo. Perciò nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti la lotta rivoluzionaria del proletariato per l’abbattimento dei governi capitalistici e per l’espropriazione della borghesia è all’ordine del giorno. L’imperialismo spinge le masse verso questa lotta, acutizzando in modo straordinario gli antagonismi di classe, peggiorando le condizioni delle masse sia nel campo economico – trust, caroviveri – che in quello politico: il militarismo si sviluppa, le guerre diventano più frequenti, la reazione si rafforza, l’oppressione nazionale e il brigantaggio coloniale si accentuano e si estendono. Il socialismo vittorioso deve necessariamente instaurare la completa democrazia e, quindi, non deve attuare soltanto l’assoluta eguaglianza dei diritti delle nazioni, ma anche riconoscere il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, cioè il diritto alla libera separazione politica. Quei partiti socialisti i quali non dimostrassero mediante tutta la loro attività – sia oggi, sia nel periodo della rivoluzione, sia dopo la vittoria della rivoluzione – che essi liberano le nazioni asservite e basano il loro atteggiamento verso di esse sulla libera unione, – e la libera unione non è che una frase menzognera senza la libertà di separazione, – tali partiti tradirebbero il socialismo.
Naturalmente anche la democrazia è una forma di Stato che deve scomparire quando scomparirà lo Stato. Ma ciò avverrà soltanto col passaggio dal socialismo, definitivamente vittorioso e consolidato, al comunismo completo.

L’establishment separatista catalano, però, non vuole nulla di tutto ciò. Anzi, chiede che rimanga una divisione (indipendentista) in base a concetti anch’essi nazionalistici o medievali quali la separazione delle classi sociali (tra ricchi e poveri)… Una scelta di separazione dei catalani che aveva visto, nel referendum del 1978, una partecipazione al voto inferiore al 35% e che, invece, grazie alle dinamiche autoritarie di altri capitalisti di questi ultimi giorni, ora è salita al 41%. L’eventuale scissione, però, non sbroglierà la matassa della distribuzione della ricchezza prodotta in Catalogna, non è detto, infatti, che ci sia un sillogismo tra autodecisione e autonomia o indipendenza.

Lenin scrisse, nel 1914, un saggio sulle cattive interpretazioni filosofeggianti di alcune personalità politiche, come Rosa Luxemburg, in Sul diritto delle nazioni all’autodecisione

Ed a prova di questa affermazione decisiva, seguono i ragionamenti nei quali si afferma che lo sviluppo delle grandi potenze capitaliste e l’imperialismo rendono illusorio il «diritto di autodecisione» dei piccoli popoli. «È possibile, – esclama Rosa Luxemburg, – parlare seriamente di “autodecisione” per dei popoli formalmente indipendenti come i montenegrini, i bulgari, i rumeni, i serbi, i greci, ed, in parte, anche per gli svizzeri, di cui l’indipendenza stessa è il risultato della lotta politica e del giuoco diplomatico nel “concerto europeo”»?! […] Lo Stato che meglio corrisponde alle condizioni attuali «non è lo Stato nazionale, come crede Kautsky, ma lo Stato pirata». Seguono alcune decine di cifre sulle colonie appartenenti all’Inghilterra, alla Francia, ecc.

Quando si leggono simili ragionamenti, non si può non essere meravigliati della facoltà dell’autrice a non cogliere la connessione dei fatti. Insegnare in tono solenne a Kautsky che i piccoli Stati dipendono economicamente dai grandi; che tra gli Stati borghesi si svolge la lotta per schiacciare implacabilmente le altre nazioni; che esistono l’imperialismo e le colonie, – tutto ciò è un ridicolo e puerile filosofeggiare, perché non ha il benché minimo rapporto con la questione. Non solo i piccoli Stati, ma anche la Russia, ‘per esempio, dipende interamente, dal punto di vista economico, dal capitale finanziario imperialista dei paesi borghesi «ricchi». Non solo i minuscoli Stati balcanici, ma anche l’America, nel secolo decimonono, era economicamente una colonia dell’Europa, come Marx ha già dimostrato nel «Capitale». Tutto, ciò è ben noto a Kautsky e ad ogni altro marxista, ma non ha nulla a che fare con la questione dei movimenti nazionali né con quella dello Stato nazionale.

Rosa Luxemburg ha sostituito alla questione dell’autodecisione politica delle nazioni nella società borghese, alla questione della loro indipendenza politica, quella della loro indipendenza economica. Far questo è cosa tanto intelligente, quanto se chi esamina la rivendicazione programmatica della preminenza del Parlamento, e cioè dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo nello Stato borghese, cominciasse con lo sciorinare la sua giustissima convinzione che il grande capitale ha la preminenza, qualunque sia il regime di un paese borghese.

Continua Lenin nelle sue analisi, precisando meglio, ne La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione in Il significato del diritto di autodecisione e i suoi rapporti con la federazione del 1916

Il diritto delle nazioni all’autodecisione non significa altro che il diritto all’indipendenza in senso politico, alla libera separazione politica dalla nazione dominante. Concretamente questa rivendicazione della democrazia politica significa la piena libertà di agitazione per la separazione e la soluzione di questa questione con un referendum della nazione che si separa.
Questa rivendicazione non equivale quindi per nulla alla rivendicazione della separazione, del frazionamento, della formazione di piccoli Stati. Essa è soltanto l’espressione conseguente della lotta contro qualsiasi oppressione nazionale. Quanto più la struttura democratica di uno Stato è vicina alla piena libertà di separazione, tanto più rare e più deboli saranno in pratica le tendenze alla separazione poiché i vantaggi dei grandi Stati sono incontestabili, sia dal punto di vista del progresso economico come da quello degli interessi della masse, e, inoltre, questi vantaggi crescono sempre più con lo sviluppo del capitalismo.
Il riconoscimento del diritto di autodecisione non equivale al riconoscimento della federazione come principio. Si può essere avversari decisi di questo principio e fautori del centralismo democratico, ma preferire la federazione alla disuguaglianza di diritti delle nazioni, quale unica via verso il centralismo democratico. E’ precisamente da questo punto di vista che Marx, essendo centralista, preferiva perfino la federazione fra l’Irlanda e l’Inghilterra alla sottomissione forzata dell’Irlanda agli inglesi.
Il fine del socialismo consiste non soltanto nell’abolizione del frazionamento dell’umanità in piccoli Stati e di ogni isolamento delle nazioni, non soltanto nell’avvicinamento delle nazioni, ma anche nella loro fusione. Ed è precisamente per raggiungere questo scopo che noi dobbiamo, da una parte, spiegare alle masse lo spirito reazionario delle idee di Renner e di O. Bauer sulla cosiddetta “autonomia nazionale culturale” e, dall’altra, esigere la liberazione delle nazioni oppresse non attraverso declamazioni senza contenuto, attraverso frasi vaghe e generiche, né nella forma di “aggiornamento” della questione sino all’avvento del socialismo, ma sulla base di un programma politico formulato con chiarezza e precisione, un programma che tenga conto in modo particolare dell’ipocrisia e della viltà dei socialisti delle nazioni che ne opprimono altre.
Come l’umanità non può giungere all’abolizione delle classi se non attraverso un periodo transitorio di dittatura della classe oppressa, così non può giungere all’inevitabile fusione delle nazioni se non attraverso un periodo transitorio di completa liberazione di tutte le nazioni oppresse, cioè di libertà di separazione.

Se, poi, a quest’ultima analisi di Lenin (evidenziate da noi in blu) si sovrappongono alcune decisioni assunte in uno dei circoli più esclusivi del potere come il Club 1001 dove, in uno dei passaggi del progetto The United States of Europe (Eurotopia?) del 1992 e a firma del razzista A.H. Heineken, troviamo il seguente passaggio che esplicita la coincidenza su quanto sta accadendo in Europa in questi ultimi anni

… Anche se un’Europa unita è saldamente stabilita, ci sarà il problema di governarla. Mi sembra che governare un continente con più di 350 milioni abitanti sia un compito impossibile. Il decentramento deve essere la risposta. Come si legge sulle pagine seguenti propongo un’Europa unita di 75 Stati, ciascuno con una popolazione di cinque a 10 milioni abitanti.

Ancora

Non solo in Jugoslavia vediamo i movimenti per indipendenza, ma anche in Scozia, Irlanda, Galles, regioni catalane, Paesi Baschi, Europa centrale e così via. Può tuttavia essere necessario conservare le “Nazioni” effettive per un periodo di tempo limitato, mentre il potere governativo è trasferito ai singoli Stati.

Concludendo

Infine, permettetemi di sottolineare ancora una volta la speranza che questa proposta stimoli le persone a pensare al loro futuro e, auspicabilmente, fornirà loro l’intuizione di comprendere che l’attuale struttura europea non è il corso giusto per il futuro. Rompere vecchi disegni al fine di creare un futuro migliore è un’azione molto positiva. Come si dice: devi rompere le uova per fare una frittata e spero che la “frittata” che presenterò, “Eurotopia”, è un passo avanti verso un futuro migliore.

A questo punto si può capire come la Catalogna, con i suoi circa 7 milioni di abitanti, sia, perfettamente, dentro quei paradigmi del potere capitalistico, proprio come lo sono stati (e mai definitivamente abbandonati) i progetti divisori dell’Italia della Lega.

Parlare di autonomia o indipendenza (e non certo dal capitalismo!) vuol dire non comprendere uno dei messaggi più importanti di Karl Marx che ha segnato positivamente gli ultimi due secoli del mondo facendo fare al genere umano balzi in avanti in progressi socio-economici e che va verso conclusioni diverse da come stanno rivolgendosi gli epigoni degli ultimi decenni, e cioè

“Proletari di tutto il mondo unitevi!”

Un programma politico che rientrava bene nella proposta del P.C.I., di Enrico Berlinguer, con l’Eurocomunismo dove co-stringeva alle proprie responsabilità sociali sia i capitalisti che i socialdemocratici facendoli uscire allo scoperto dalle loro insanabili contraddizioni teorico-politiche sulle libertà degli oppressi.

Perché i nemici di classe degli oppressi sono ben nascosti tra le pieghe delle parole d’ordine che fanno fare scelte sbagliate e che producono vittime inconsapevoli come sta succedendo, in questi giorni, in Spagna.

Dens dŏlens 281 – Catalogna: autonomia o sciovinismo?ultima modifica: 2017-10-06T03:59:51+02:00da iskra2010
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