Dens dŏlens 312 – Lo chef Rubio vs Salvini

di MOWA

Un’ammirazione particolare va allo chef Rubio, alias Gabriele Rubini, che ha osato sfidare i potenti su un piano a loro non congeniale, quello del voler sapere dov’è finito il denaro sottratto alla collettività italiana.

Infatti, lo chef, per sollevare la questione dei 49 milioni di euro percepiti dalla Lega sotto forma di rimborsi elettorali, ha messo su Instagram una cover fotografica, che Salvini aveva postato per attaccare i migranti, che lo ritrae con alle spalle un’imbarcazione, con la scritta:

“Buonasera amici, che fate? Tranquilli, le barche che vedete dietro di me non trasportano i 49 milioni di euro che la Lega ha sottratto agli italiani”

Domanda o affermazione legittima visto che l’attuale Ministro dell’Interno, nonché vice-Presidente del Consiglio, dovrebbe dare segni di equilibrio e morigeratezza e, soprattutto, eticamente ineccepibile, invece di lasciarsi andare in sciorinanti slogan propagandistici che non sgomberano i dubbi degli italiani (come ripete all’ossesione) con buona memoria su dove siano finiti quei (nostri!) soldi.

Non vogliamo sapere, in questo momento, la legittimità dell’aver potuto presentare il simbolo modificato di Salvini alle scorse elezioni e/o se siano stati fatti i dovuti passaggi statutari all’interno della Lega, ma di quei soldi siamo interessati perché (come avevamo sostenuto in passato) ci sono dei precedenti che non augurano buoni auspici.

Soldi che la Magistratura considera sottratti con documentazioni artefatte, che poi sarebbero stati utilizzati in gran parte per spese non istituzionali.

Soldi che gli italiani hanno, in vari modi, versato come contribuenti e di cui dovrebbero avere un riscontro serio con politiche di benessere collettivo e che invece, in questo modo si ritorcono contro.

Italiani, in buona fede, turpulinati da altri connazionali i quali si sono fatti abbindolare dai cantastorie senza pensare che, ogniqualvolta si fa la dichiarazione dei redditi, si contribuisce in misura consistente alla sopravvivenza dei propri riferimenti partitici e che, questi ultimi, dovrebbero fare politiche a vantaggio della collettività per cui sono designati dalla Costituzione a rappresentare.

Italiani che versano – dicevamo – in misura proporzionale e che dovrebbero averne un ritorno favorevole invece di creare un vulnus svantaggioso degli investimenti nel proprio paese. Contributi che dovrebbero dare speranze di nuove occupazioni agli italiani (insistiamo con l’aggettivo), invece, di sottrarli.

Italiani che si sono fatti manipolare da soggetti politici che si definiscono patrioti e li hanno illusi dicendo di difendere la Costituzione come nel referendum di pochi anni fa quando, invece, l’hanno picconata in diversi modi partendo dal Titolo V sino all’approvazione del pareggio in bilancio.

Italiani che non avevano (hanno) capito quanto sostenuto dal costituzionalista Salvatore d’Albergo (8 settembre 1997 e 10 maggio 2009) quando asseriva che equiparando la

forza istituzionale dei vertici (cosiddetti “regionali”) federati e complici delle scelte di fondo del “governo federale”, ma con ciò gerarchizzando implicitamente e copertamente le parti più deboli delle forze sociali specialmente del Mezzogiorno, l’accoppiata leghismo/federalismo punta, ossessivamente, a trascinare tutto il quadro socio-politico del bipolarismo, in una spirale che annulla le differenze, meramente “parlamentaristiche”, tra centrodestra e centrosinistra. A tal punto che le premesse addirittura “costituzionali” del federalismo, sono state poste nel 2001 (con una forzatura fatta passare con un esangue referendum confermativo) dal centrosinistra, incurante di liquidare, in tal modo, i residui di una contrapposizione di classe, sbiaditasi proprio con il confluire dello stesso voto operaio nelle centrali lombardo-venete. Centrali, ove la Lega riesce a iugulare sia Forza Italia sia AN, estraniandosi provocatoriamente dal tentativo di unificazione del partito della libertà (Pdl), sulla scia di una vocazione alla mobilitazione di massa, volta a garantire spazi di potere dall’alto agli interessi della piccola e media impresa, nella competizione con la grande impresa capitalistica.

Quella stessa impresa che si è fatta, oggi, soggetto parlamentare e che sta trasformando i bisogni della collettività nei propri e legati ad una

subalternità culturale, in nome di una adesione all’idea di “modernizzazione” che, come tale, spostava l’asse dei rapporti sociali, politici e istituzionali più a destra della prima tanto deprecata posizione “revisionista” della socialdemocrazia, non solo italiana ma anche europea.

Infatti, rimarcava d’Albergo che

La spinta alla ribellione che ormai caratterizza a strappi successivi il “leghismo” di Bossi, altro non è che la ritorsione di forze atavicamente portate al populismo, come strumento dell’individualismo più egoistico, contro quelle forze che, a prezzo di lotte ispirate da una grande prospettiva di rinnovamento culturale, avevano saputo incrinare il fronte ideologicamente omogeneo di un capitalismo che, peraltro, nella distinzione tra grande, media, piccola impresa esprime una possibilità di alternativa alla formazione sociale che ha segnato di sé circa due secoli di storia sociale e politica, se riprende vigore la coscienza critica delle forze che ispirantisi al marxismo o ad altre impostazioni teoriche critiche del capitalismo privato, puntano ad una trasformazione degli attuali assetti di potere, che non da oggi sono internazionalmente collegati.

Ben vengano, quindi, i messaggi critici dello chef Rubio al potere ipocrita, perché sollevano la questione della disaffezione alle urne per mancanza di autentiche opposizioni, opposizioni che sarà il caso di ricomporre sotto l’egida della questione morale oltrechè organizzativa per non trovarsi elementi inquinanti all’interno.

Al lavoro, orsù… come stanno facendo da tempo le sezioni comuniste Gramsci-Berlinguer per la ricostruzione del partito comunista.

Dens dŏlens 312 – Lo chef Rubio vs Salviniultima modifica: 2018-06-28T05:21:31+02:00da iskra2010
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