Dens dŏlens 344 – Lotta continua con le spie…

di MOWA

Descrivere quante risorse e quali soggetti hanno utilizzato i c.d. poteri forti per eliminare ogni ipotesi di socializzazione dei beni comuni (leggasi socialismo-comunismo) sarebbe un lavoro enorme, possiamo, invece, provare a

spiegarlo brevemente (a spizzichi e bocconi ) per non tediare e rendendo più fruibili le analisi.

Per farlo, comunque, serve un lavoro di ricostruzione che si può fare solo e comunque con connessioni storiografiche, giudiziarie… e, non ultimo, politiche onde evitare di cadere vittime di luoghi comuni o sentimentalismi che potrebbero indurre le persone a fantasiose ricostruzioni poco utili alla comprensione.

Detto ciò, si potrebbe partire, semplificando in poche battute, da come talune persone si siano rese, nella storia, protagoniste di una vile complicità con quel potere corrotto e siano state per anni impropriamente collocate nell’alveo della cultura di sinistra e/o marxista come ad es. il padre di Italo Calvino, Mario, costretto, riportano le cronache “nel 1909, a lasciare l’Italia per trasferirsi con urgenza in Messico e poi a Cuba, dove avrebbe incontrato la moglie Eva Mameli e dove nel 1923 sarebbe nato Italo: un trasferimento non suggerito, come dicono le biografie, da esigenze professionali ma da ragioni ben più impellenti”. Tutto questo avvenne dopo che vi fu un attentato contro lo zar di Russia, Nicola II. Si menziona, inoltre, nei documenti dello storico Angelo Tamborra che “l’organizzatore dell’assalto, catturato dalla polizia, sarebbe un italiano di nome Mario Calvino, corrispondente dei giornali «La Vita» e «Tempo» di Milano”. Scrive Italo Calvino del genitore: “Mio padre di famiglia mazziniana repubblicana anticlericale massonica, era stato in gioventù anarchico kropotkiano” ma è precisato nei documenti ritrovati da Adami come un pericoloso «anarchico-socialista» e «sovversivo» anche se «Egli risulta di regolare condotta morale e politica e fin dall’anno 1926 è iscritto al Partito Nazionale Fascista».

Una storia che, ancor oggi, faticosamente, non vuole emergere con la dovuta importanza perché si dovrebbe, anche, parlare della documentazione riguardante il figlio di quello strano «sovversivo» Mario Calvino, Italo, il quale soggiornò negli USA con i soldi avuti da una delle peggiori organizzazioni anticomuniste mondiali come la Ford Foundation. Una fondazione che aveva, con le “reti di ingerenza statunitensi in Europa” lo scopo di sovvenzionare “delle riviste, dei programmi scientifici e delle organizzazioni della sinistra non-comunista” avente la motivazione sotto la copertura di fondazione filantropica del mondo quella di offrire “in realtà una facciata rispettabile alle operazioni di finanziamento e di contatto della CIA.”

Infatti, la “Fondazione Ford è una delle principali “fondazioni private” che per significativi periodi di tempo hanno collaborato con la CIA a progetti fondamentali per la Guerra Fredda in ambito culturale.

Riporta, il 27/11/2006, nell’articolo dal titolo “La Fondazione Ford e la Cia”, James Petras :

La Fondazione aveva precedenti di stretto coinvolgimento in azioni segrete in Europa, avendo collaborato da vicino al Piano Marshall e con i dirigenti CIA riguardo a dei piani specifici”. Cosa che risulta chiaramente dimostrata dalla nomina di Richard Bissel a Presidente della Fondazione nel 1952. Durante il biennio in carica Bissel ebbe modo di incontrarsi spesso con il capo della CIA, Allen Dulles, e con altri funzionari in una “comune ricerca” di idee innovative. Nel gennaio del 1954 Bissel lasciò la Ford per divenire assistente personale di Allen Dulles. Sotto Bissel, la Fondazione Ford (FF) fu “all’avanguardia nell’escogitare strategie per la Guerra Fredda

Più avanti nell’articolo emerge che:

Il finanziamento da parte della Fondazione Ford di fronti culturali riconducibili alla CIA fu importante per disporre di intellettuali non comunisti i quali venivano incoraggiati ad attaccare la sinistra marxista e comunista. Molti di questi intellettuali non comunisti di sinistra ammisero di essere stati “raggirati” e che se fossero stati al corrente che dietro alla facciata rappresentata dalla FF si celava la CIA non avrebbero prestato il loro nome ed il loro prestigio. Tale disillusione della sinistra sfavorevole al comunismo comunque ebbe luogo dopo che vennero pubblicate sulla stampa le rivelazioni circa la collaborazione tra la FF e la CIA.

Vicende tristi che lasciano l’amaro in bocca a tutti coloro che hanno amato, stimato, pubblicizzato la persona di Italo Calvino come un valido intellettuale mentre, probabilmente, di doppia moralità… Ma potremmo parlare di molti altri influencer che passano da politici a giornalisti, da professori a figure istituzionali, sia vicini che lontani nel tempo come avevamo riferito nei post Dens dŏlens 200 – Perseverando nell’errore di definirli comunisti!, oppure, Dens dŏlens 33 – Quando le “spie” non servono gli interessi del tuo paese e, ancora, Biografia di Toni Negri (prima parte) Potere Operaio, Superclan – Uomini, culture, tecniche dell’eversione imperialista

Possiamo dire che vi sia una lunga lista di persone che si sono fatte abbindolare da falsi guru che dicevano di essere portatori di “verità” mentre, invece, erano al soldo dei potenti.

Infiltrati (perché non c’è altro termine per definirli), con il solo scopo di spiare, passare informazioni, trasmettere comunicazioni alla potente controparte o, peggio ancora, condurre gli oppressi, che pensavano di essersi messi sotto la bandiera comunista e di cambiare i rapporti di forza di una società fatta in classi sociali, a scivolare, invece, su false analisi o azioni incorreggibili e dal profilo disumano come quello terroristico.

E non si contano le persone che, per diverse ragioni, si sono fatte giorni, mesi, anni di prigione o hanno avuto restrizioni della libertà personale per aver creduto in idealità simili più all’anarchismo che al comunismo e, per dirla con Gramsci ,

Nel regime di concorrenza determinata dalla proprietà privata, le correnti sociali tendono a impersonare una manifestazione storica generale: i socialisti si richiamano alle manifestazioni profonde della vita sociale, alla struttura economica che condiziona tutte le forme della vita sociale: gli anarchici si richiamano alle leggi costanti dello spirito, alla libertà, al pensiero («anarchico è il pensiero ecc. ecc.»); — insieme dovrebbero tendere a realizzare obbiettivamente l’unità del pensiero e dell’azione, della storia e della filosofia.

Invece sono avversari, e lo sono in quanto gli anarchici sono avversari permanenti dei socialisti (— i socialisti sono avversari del capitalismo e combattono gli anarchici solo quando essi si rivelano inconsci strumenti della forza capitalistica —), sebbene si nutrano e vivano solo perché inseriti nel tessuto storico che i socialisti hanno organizzato pazientemente e tenacemente.

I socialisti, o comunisti critici, hanno invece una dottrina salda e organica e hanno un metodo, il metodo dialettico. Poiché hanno una dottrina, hanno una personalità ben distinta e un dominio proprio ben definito.

Movimenti politici sorti, nel tempo, per opera di leader poco trasparenti che avevano rapporti con apparati statali discutibili come avvenne negli anni post bellici (1945-?) e che diedero vita a quella che venne chiamata “strategia della tensione” ed in una combine di passaggi da destra ad una fasulla “sinistra” furono causa dell’emanazione di diverse leggi che restrinsero le libertà mettendo in mora la Costituzione.

Conquiste sindacali nei luoghi di lavoro, diritti civili ampliati, come l’aborto, il divorzio…, vennero messe in discussione dall’operato di quelle ibride figure che, apparentemente, lavoravano da sinistra, con parole d’ordine come “tutto e subito” “prendiamoci la città”, ma che, in realtà, fecero il gioco di quello che venne pianificato, nel 1970, dal capo di stato maggiore dell’esercito americano William Westmoreland con il suo «Field Manual» e contenente consigli per «destabilizzare ai fini di stabilizzare» utilizzando «azioni violente o non violente a seconda dei casi» sino a sostenere la necessità di infiltrare i movimenti sovversivi per indurli a compiere attentati. Di ciò, è convinto, anche, lo storico Nicola Tranfaglia.

Una metodologia distruttiva per una società nata dalla Resistenza al nazi-fascismo che cerca di rimanere in linea con i dettami della propria Costituzione ed alla quale diventa impossibile non evocare, il “potente esperto” funzionario del Ministero dell’Interno, morto nel 1996, Federico Umberto D’Amato. Un funzionario (D’Amato) che era legato strettamente alla Cia ed era stato uno degli artefici dell’accordo segreto con cui, nel 1951, i nostri servizi furono subordinati a quelli americani e sospettato di avere gravi responsabilità nella strategia della tensione.

Accadimenti strani che non possono essere casuali perché oggetto di diverse circostanze equivoche che vanno da quanto emerso nell’’indagine sulla strage di Piazza della Loggia dove una nota riguardava Alberto Caprotti, un militante di Lc che nella sua agenda aveva due numeri di telefono di quel “potente esperto” D’’Amato, sino alla redazione del quotidiano sedicente comunista Lotta continua dove c’era tal Robert Hugh Cunningham jr, e la “coincidenza” vuole, che allo stesso, identico, indirizzo di quella testata giornalistica (via Dandolo 10 – Roma) avesse sede anche la Dapco, casa editrice del “Daily American” il giornale finanziato da Robert Hugh Cunningham sr. (padre di Robert) collaboratore di Richard Helms capo della CIA. (vedi libro di Victor Marchetti Culto e mistica del servizio segreto ed. Garzanti) (1)

Se, poi, si mettono questi fatti in relazione a quanto detto, nell’audizione del marzo 1999, da Alberto Franceschini alla Commissione parlamentare stragi in cui emerge l’intreccio tra alcuni diversi soggetti, il quadro politico si fa ancora più preoccupante e losco per la nostra fragile democrazia:

PRESIDENTE – …A questo proposito c’è un episodio che la riguarda. Quando foste arrestati, nel 1974, è vero che avevate un carteggio intercorso tra Edgardo Sogno e il giudice Adolfo Beria d’Argentine che però non risulta fra il materiale sequestrato? 
FRANCESCHINI – E’ stata un’altra delle cose emerse al processo di Torino del 1978. Durante il sequestro Sossi compimmo due azioni: una alla sede del CRD (Comitato di resistenza democratica) a Milano e un’altra al Centro Sturzo (mi sembra che si chiamasse così) a Torino. In queste due “perquisizioni”, soprattutto in quella a Milano presso il CRD, portammo via una documentazione, consistente in un elenco di persone che avevano partecipato ad un convegno sulla riforma dello Stato in senso gollista che si era tenuto a Firenze credo nel 1973-1974. 
PRESIDENTE – Capisco a cosa si riferisce. 
FRANCESCHINI – Vi era una serie di relazioni fatte a questo convegno. A una di tali relazioni (riguardava le modifiche alla Costituzione eccetera) era allegato questo documento anonimo, una lettera che ricordo ancora cominciava con: “Caro Eddy”. Diceva: “Ti ho mandato le cose che mi chiedevi, ti prego, leggile tu al convegno: sai, per la mia posizione non posso venire, non posso espormi”. Era Beria d’Argentine che all’epoca credo fosse procuratore di Milano o una roba del genere. Quando fummo arrestati io e Curcio, questi documenti li avevamo in macchina, anche perché volevamo renderli noti pubblicandoli in una specie di libretto. Questi documenti sono scomparsi. Al processo, nel 1978, parlo di questi documenti e chiedo alla corte di far venire Edgardo Sogno e Beria d’Argentine in aula e di svolgere un confronto per vedere se erano vere queste cose che dicevo io. Vennero in aula e confermarono: Beria d’Argentine disse che era vero, era amico di Sogno dai tempi della “Franchi”, un’organizzazione in cui erano stati insieme durante la Resistenza, c’era un rapporto di amicizia, lui aveva scritto questa lettera .

PRESIDENTE – Il punto che mi interessa è che questa documentazione è scomparsa. 
FRANCESCHINI – Sì, scompare. La ricordo ancora perché l’ho guardata, c’era circa un migliaio di nomi. L’elemento più interessante era un tabulato con moltissimi nomi (ufficiali, certamente alte personalità dello Stato). Poi, quando è uscita la storia della Loggia P2 ho pensato che forse c’entrava qualcosa. 
Nella richiesta di autorizzazione a procedere contro il sen. Giulio Andreotti per l’ uccisione di Mino Pecorelli, c’ e’ una dichiarazione del gen. Nicolo’ Bozzo, stretto collaboratore del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, raccolta l’11 maggio 1993. Bozzo dice: 
”Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a Savona nel 1974/75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalita’ comune organizzata, massoneria e settori dei servizi deviati. Successivamente al 1° settembre 1978 e cioe’ quando il rapporto di dipendenza divenne diretto, il generale mi invito’, in piu’ occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo parere, si fondava sull’esistenza di una struttura segreta paramilitare, con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro interno. A suo parere questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza, attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza. In particolare il generale mi segnalo’ l’Organizzazione Franchi. Un’occasione di discussione a tale proposito fu l’indicazione da parte di Viglione del nome del Magistrato Beria D’argentine, come partecipe delle riunioni delle Br il generale, infatti, la defini’ un’azione di depistaggio ma si interrogava sulla funzione di questa operazione di depistaggio e se essa potesse essere ricondotta agli organismi di cui ho parlato. In questo contesto, su indicazione del generale, mi recai anche a contattare un confidente del quale non intendo fare il nome, avvalendomi del diritto di non rivelare la fonte – che mi forni’ qualche notizia generica, che confermava il senso dell’ipotesi operativa manifestatami dal generale. Il confidente apparve pero’ terrorizzato e temeva per la propria vita. Egli mi disse che temeva di essere assassinato da questa struttura, che pero’ non volle indicare specificamente. In sostanza egli disse che alcune formazioni comuniste erano state infiltrate durante la Resistenza al fine di portarle all’annientamento. Si trattava delle formazioni comuniste, socialiste e azioniste. Non volle pero’ parlarne oltre. L’incontro avvenne nell’autunno 1978. Il generale ed io fummo poi presi da ben altri impegni immediati, anche per il ritmo incalzante delle operazioni antiterrorismo. Dai primi mesi del 1979, o meglio da quando vi fu a Roma il processo Viglione, l’interesse del generale scemo’, anche perche’ vi era ormai una pubblicita’ sul tema e non era piu’ opportuno svolgere indagini di carattere riservato. Ne’ si poteva pensare ad aprire un’indagine vera e propria con quegli elementi, o meglio con le sole ipotesi di cui si disponeva.”

Emerge in queste dichiarazioni un filo conduttore quando viene detto: “Bozzo, stretto collaboratore del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, raccolta l’11 maggio 1993. Bozzo dice: “Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati […] Si era infatti accorto che poteva intravedersi Ambienti della destra eversiva, criminalita’ comune organizzata, massoneria e settori dei servizi deviati” e, di fatto, sia Carlo Alberto dalla Chiesa e altri che avevano avuto la stessa conclusione (come il commissario Calabresi, il giudice Alessandrini, il giudice Falcone…) sono finiti ammazzati per mani diverse che vanno dai “mafiosi” alle formazioni sedicenti “politiche”. Uno scenario politico tanto sconvolgente che ha portato, qualche giorno fa, il giudice Guido Salvini a far emergere forti responsabilità di alcune figure della c.d. “sinistra rivoluzionaria” asserendo sui quotidiani:

Purtroppo la cattura di Battisti poco avrà da dirci sulle pagine rimaste ancora oscure degli anni di piombo”. Ci sono invece altri latitanti “che potrebbero chiarire le storie tragiche di cui sono stati protagonisti”: Giorgio Pietrostefani, per esempio, il dirigente di Lotta continua condannato per l’uccisione del commissario Luigi Calabresi.

Di quell’omicidio”, continua Salvini, “nonostante le condanne, non si sa tutto, non si conosce se non in parte come fu deciso e organizzato e nemmeno tutta la fase esecutiva. Pietrostefani è a conoscenza di quei segreti e se tornasse in Italia potrebbe rivelarli. Non dimentichiamo che quello del commissario non fu un crimine qualsiasi, è stato il primo omicidio politico, legato a piazza Fontana e ideato prima ancora che iniziasse il terrorismo con i suoi crimini seriali”. [2]

Come dire e lasciare intendere che su Calabresi fu confezionata la campagna mediatica contro e che fu dipinto come “mostro” da parte del quotidiano Lotta continua, in quanto ritenuto dai dirigenti dell’omonima organizzazione il responsabile di quanto accaduto nella questura milanese a Giuseppe Pinelli, benché risultasse assente da quella stanza da cui “cadde (?!)” l’anarchico, il cui scopo, però, era politico in quanto quel commissario della P.S. aveva tra le mani altre importanti indagini che disturbavano i potenti destabilizzatori tra cui quella su alcuni ritrovamenti di “nasco” pieni di armi la cui appartenenza era alla formazione clandestina dal nome «stay-behind» Gladio, ovvero un “organismo di guerriglia a cui facevano da cornice i servizi segreti italiani e americani e la Nato, e che aveva arruolato gruppi di facinorosi dotati della giusta carica di anti-sinistrismo.

Il giudice Salvini, infatti, si spinge oltre, riportano le cronache e facendo delle dichiarazioni che squarciano anni di silenzi ed omertà da parte di alcuni dirigenti dell’organizzazione Lotta Continua, che si sono definiti (e fatto credere), ipocritamente, comunisti (sapendo benissimo di non esserlo!) e che continuano a sostenere cose confutate da approfondite indagini:

Nel 1971 tra i massimi dirigenti di Lotta Continua c’ era un infiltrato del servizio segreto militare (che allora si chiamava Sid, Servizio informazioni difesa). Il suo nome in codice era “Lecco”. Rivelava notizie su vicende molto delicate, delle quali si discuteva in gruppi ristretti. E’ sua un’ informativa che racconta d’ una riunione, alla quale parteciparono sei persone, dove si ragionò su cosa fare nell’ eventualità che Lotta Continua fosse stata messa fuori legge. A raccontare questa storia è stato, venerdì sera, a Milano, il giudice istruttore Guido Salvini, uno dei più profondi conoscitori delle vicende politiche degli anni ‘ 70. Salvini ha fondato il suo discorso su materiali originali, provenienti degli archivi del Sismi. Ma non si è limitato a un semplice resoconto: dopo aver fatto notare che un anno dopo quella riunione fu assassinato il commissario Luigi Calabresi, ha aggiunto: “Viene il dubbio che certe azioni siano state materialmente compiute dai militanti ma che alle spalle ci fossero interessi ben diversi”. [2]

Incalza Salvini, sui media, con qualche dettaglio in più:

Il senso dell’ affermazione di Salvini risulta più chiaro se si ha presente una storia rivelata da Repubblica poco più di un anno fa, quando stava per essere celebrato l’ ennesimo processo contro Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani. Una storia che – come quella raccontata venerdì da Salvini durante la presentazione del libro di Giovanni Pellegrino, “Segreto di Stato” – emergeva da informative dei servizi segreti. Un confidente chiamato in codice “Dario” il 30 aprile del 1973 inviò all’ Ufficio affari riservati del Viminale una nota dove raccontava che, pochi mesi prima di essere ucciso, il commissario Calabresi aveva scoperto un grosso traffico di armi tra la Germania e la Jugoslavia che passava attraverso Trieste. Parte di quelle armi, anziché giungere a destinazione, restava nelle mani dei neofascisti italiani. L’ informativa di “Dario” alla fine del 1998 ha trovato un parziale riscontro: i familiari hanno infatti confermato che Calabresi, poco tempo prima di essere ucciso, aveva loro raccontato di aver individuato un grande deposito clandestino di armi nel Nord Italia. Se a questo si aggiungono le testimonianze (riprese da “Dario” nella stessa nota confidenziale) che raccontano di un Calabresi molto preoccupato, molto irritato col Viminale che l’ aveva lasciato solo mentre Lotta Continua l’ accusava d’ essere stato il responsabile della morte dell’ anarchico Pinelli, si capisce a quale ipotesi Salvini ha fatto riferimento: che il reale movente dell’ assassinio di Calabresi sia stato un altro, o che comunque questo secondo movente abbia determinato l’ isolamento del commissario, abbia in un certo senso consentito ai suoi assassini di agire senza troppi ostacoli. Nella sua nota confidenziale, la fonte “Lecco” fa sapere di essere stato uno dei sei partecipanti alla riunione, e fa anche il nome di un altro dei presenti: Giorgio Pietrostefani. Ma se – come ha sostenuto l’ accusa del processo Sofri – i responsabili dell’ omicidio vanno cercati all’ interno di Lotta Continua, è possibile che un informatore di quel livello non avesse saputo niente dell’ attentato? Appare improbabile. [2]

Cosa si dovrebbe o deve, quindi, pensare di queste figure che per anni si sono nascoste dietro un “sinistrismo” quando, invece, dalle risultanze emerse, purtroppo, viene a galla un mondo squallido di infingardi rubando autentiche amicizie a chi li credeva onest’uomini nel senso cavalleresco del termine mentre, invece…

E, se fate caso, oggi, nel mondo, i casi di avventurieri (vedi, Ucraina, Grecia, Francia, Italia, Venezuela,… come qualche decennio fa in molti paesi… ) che si prodigano a scontrarsi nelle piazze con tanto di abbigliamento: cappuccio nero, maschere antigas, zainetti… e che rifiutano di essere fotografati dai giornalisti, che hanno assunto un atteggiamento fintamente antisistema ma che spaccano vetrine, capottano e incendiano autovetture, ecc. sono simili a quelli di coloro che furono addestrati nelle basi di quella famosa organizzazione che si chiamava e chiama Gladio e che hanno uno scopo ben preciso “destabilizzare per stabilizzare” e fare gli interessi di grandi multinazionali.

E come si disse qualche tempo fa su questo sito si vorrebbe far capire l’assoluta innocenza dei manifestanti, distinti dai cospiratori dove questi ultimi siano veri criminali.

I manifestanti, in sostanza, esprimevano, solo, un diritto democratico di cui tutti sono beneficiari.

Infine, tutti quei provocatori che si sono infiltrati nelle organizzazioni comuniste non vogliono un reale benessere degli ultimi, non esprimono quel diritto democratico di cui tutti abbiamo bisogno e, infatti, usando le parole che si trovano nell’introduzione al libro di Karl Marx e Friedrich Engels Manifesto del partito comunista, di Emma Cantimori Mezzomonti (Giulio Einaudi editore 1970), “Confutazione della congiura e dei congiurati” si può confermare che:

Il tratto principale del carattere dei cospiratori è la loro stessa lotta con la polizia, con la quale essi hanno proprio lo stesso rapporto dei ladri e delle prostitute. La polizia tollera le cospirazioni e, certo, non soltanto come male necessario. Le tollera come centri di facile sorveglianza, dei quali s’incontrano gli elementi rivoluzionari più violenti della società, come officine della sommossa, – la quale in Francia è diventata un mezzo di governo necessario tanto quanto la polizia stessa, – e infine come luogo di reclutamento per le proprie spie politiche. Proprio come i più capaci accalappia-mariuoli, i Vidocq e consorti, vengono presi dalla classe dei bricconi dell’alto e del basso, dei ladri, degli scrocconi e dei bancarottieri fraudolenti e spesso tornano a ricadere nel loro primitivo mestiere, allo stesso modo la bassa polizia politica viene reclutata fra i cospiratori di professione. I cospiratori mantengono un interessante contatto con la polizia, e vengono ad ogni istante a collisione con essa, dànno la caccia a loro. Lo spionaggio è una delle loro occupazioni principali. Nessuna meraviglia, dunque, che si faccia tanto spesso il piccolo salto aiutato dalla miseria e dalla prigione, da minacce e promesse. Di qui nelle cospirazioni l’infinito sistema di sospetti che acceca completamente i loro membri, e fa loro riconoscere nei loro uomini migliori delle spie, e nelle vere spie gli uomini degli di maggior fiducia. Si capisce che queste spie arruolate fra i cospiratori si mettano con la polizia, per lo più credendo in buona fede di poterla ingannare, che riesca loro per un certo tempo di far il doppio gioco, finché soggiaciono sempre più alle logiche conseguenze di quel primo passo, e che spesso la polizia venga realmente ingannata da loro. Del resto, che un tale cospiratore cada nei lacci della polizia, dipende da circostanze puramente casuali e da una differenza più quantitativa che qualitativa di saldezza di carattere.

Dens dŏlens 344 – Lotta continua con le spie…ultima modifica: 2019-02-08T06:24:11+01:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo