Illusioni primarie -
L’Unione e il sistema politico, cura peggiore del male? Spunti per una discussione

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di Enrico Melchionda*

Mi dispiace insistere, ma continuo a non capacitarmi di come sia possibile, da parte della sinistra italiana, affrontare il problema delle primarie con tanta leggerezza. L’impressione è che essa vada soggetta periodicamente a febbri populiste che le impediscono di ragionare sulle conseguenze delle proprie azioni e scelte. La febbre attuale ricorda quella che si verificò all’epoca della rivoluzione anti-partiti dell’inizio degli anni Novanta. Allora ci si illuse di poter sfruttare a proprio vantaggio la spinta verso la trasformazione del nostro sistema politico, ma, com’è noto, si finì solo per preparare il terreno alla destra e al berlusconismo. Comunque la febbre è il sintomo di una malattia, ed è quindi a questa che bisogna rivolgere l’attenzione e, si spererebbe, la cura.

Plebiscito o consultazione?I
ntanto vale la pena notare che questa volta la febbre è molto più diffusa, visto che non risparmia nessuno, neppure il Partito della Rifondazione comunista, che anzi sembra in preda al delirio più acuto. Se infatti i Ds si accingono a vivere le primarie come una necessità, dettata dalla scelta di puntellare la leadership di Prodi soprattutto dopo la sfida politica portata dalla Margherita, il partito di Bertinotti si è fatto prendere decisamente dall’entusiasmo, evidentemente gasato dal colpaccio di Vendola in Puglia. Non è che si illuda di vincere la nomination al posto di Prodi, ma non si limita nemmeno più a fare manovra politica, nel senso di cogliere l’occasione delle primarie per allargare la propria influenza. Ha invece sfoderato una retorica che fa impallidire perfino i girotondisti populisti à la Flores d’Arcais: le primarie sono ora diventate nientedimeno che lo strumento per far spazio alla partecipazione e perfino per recuperare il distacco tra élite e popolo. Ora, a parte che un partito il quale si richiama a una (qualsiasi) tradizione comunista dovrebbe piuttosto arrossire di vergogna per simili ingenuità, è chiaro che abbiamo qui il sintomo di qualcosa di grave che sta avvenendo nella sinistra italiana.
Poiché nessuno è così ingenuo da non sapere che la logica delle primarie è quella della personalizzazione e del direttismo, ovvero della democrazia plebiscitaria, che vuole liberarsi delle istanze collettive e organizzate della rappresentanza e del controllo dei cittadini nei confronti del potere, e poiché sono inoltre ben noti gli effetti di smantellamento della partecipazione popolare e di esaltazione dell’influenza politica plutocratica che tale logica ha avuto nell’esperienza americana, bisogna chiedersi come sia potuto avvenire che essa abbia sfondato in questa misura nella sinistra italiana.
Riflettiamo sulle ragioni per cui si tengono queste primarie. Prodi l’ha spiegato con chiarezza quando ha detto che come leader della coalizione non può “accettare di regnare senza governare”. Quindi non gli basta il mandato dei partiti, ma vuole un’investitura personale diretta da parte dei cittadini. Tanto più dopo la rivendicazione di autonomia della Margherita e dopo che è sfumata la costruzione di un partito del leader. E poco importa che così le primarie finiscano per assomigliare più a un plebiscito che a un’elezione. Quel che conta, dal punto di vista di Prodi, è ottenere una risorsa in più da impiegare nell’esercizio della sua leadership al fine di neutralizzare la capacità di condizionamento dei partiti. Una risorsa che, unita con il controllo delle leve di governo su cui potrà contare se vince le elezioni, può risultare davvero letale per i partiti. E’ vero, il braccio di ferro tra Prodi e Rutelli ha dimostrato che i gruppi dirigenti dei partiti non rinunceranno facilmente ad affermare le proprie ambizioni, e che probabilmente riusciranno a governare lo svolgimento stesso delle primarie. Ma non è detto che ci riescano per sempre, perché intanto accettano formalmente il principio che la scelta del leader non spetta a loro ma ai cittadini, e così in futuro, con altri candidati e altri equilibri politici, l’ascesa di un Berlusconi di sinistra non è affatto da escludere, specialmente se si considera il grado di patologia cui è giunta la situazione politica italiana.
Da questo punto di vista, le primarie di ottobre saranno tutt’altro che una farsa. Se mai, dovrebbe inquietare il fatto che si ritenga generalmente normale questa pretesa della persona destinata alla guida dell’esecutivo di attribuirsi status e poteri di un monarca assoluto. E a questo punto non si capisce davvero perché opporsi a una riforma costituzionale come quella promossa dal centrodestra, che cerca di conseguire esattamente questo risultato, e lo fa con strumenti istituzionali ben più efficaci. Né meraviglia che la bandiera della battaglia contro il maggioritarismo venga di fatto lasciata cadere dalla sinistra, raccolta ormai dalla sola famiglia ex democristiana, che non a caso è l’unica ad avere un progetto di risanamento del nostro sistema politico.

 

Immagine senza programmi Ma quel che forse è ancora più inquietante, dal nostro punto di vista, è che nessuno a sinistra abbia avuto il coraggio di chiamarsi fuori dal plebiscito. Neppure chi dalle primarie rischia di ricevere solo danni. Mi sono chiesto il perché e la risposta che mi sono dato è che si sono fatti prendere tutti dal timore di mettersi contro la “volontà popolare”, contro una cosa che comunque viene percepita come “moderna” e “di sinistra”. Il che ci dice fino a che punto sia stata introiettata la logica direttista e personalista.
Ora, non manca a sinistra chi ritiene che – ex malo bonum –, per quanto discutibile, questa forma “moderna” di partecipazione possa rappresentare comunque un’occasione per spostare in avanti gli equilibri politici della coalizione. Ci si propone di farne quella grande consultazione popolare sui programmi che non si è trovato il modo di realizzare diversamente. E in questa chiave viene giustificata, ad esempio, la candidatura di Bertinotti. 
A me sembra, francamente, una presa in giro. Perché, intanto, le primarie sono per propria natura la negazione della scelta basata su un mandato programmatico. La loro funzionalità sta proprio nel fatto che richiedono la scelta semplificata di una persona, valutata in base alla sua immagine e alle sue attitudini, e non di azioni future che accrescono i costi di informazione in maniera insopportabile per un qualsiasi elettore medio. Perché bisogna prendere atto che oggi al personalismo dal lato del ceto politico fa riscontro un personalismo dal lato dei cittadini, per cui gli interessi individuali predominano sovente su quelli collettivi.
Ma l’imbroglio è tutt’altro che astratto. Sappiamo infatti che l’intera coalizione di centrosinistra si fonda e si tiene insieme su un unico principio, oltre al “dovere patriottico” di cacciare Berlusconi: non si tratta sui programmi. Perché questa è, evidentemente, una prerogativa (o una patata bollente) che viene ceduta al leader. Ed è infatti la condizione dell’accordo con Rifondazione, di cui Prodi è personalmente garante. Quindi, in una competizione i cui principali protagonisti sono proprio Prodi e Bertinotti, una qualsiasi seria commistione tra primarie e programmi è una contraddizione in termini. Ma allora perché dovremmo firmare una cambiale in bianco a delle (pur degne) persone? Perché il plebiscito per Prodi o, mettiamo, un buon risultato di Bertinotti dovrebbero garantirci che l’eventuale governo di centrosinistra non si riveli un nuovo fallimento e che non prepari ancora una volta il terreno alla rivincita della destra?
La verità è che farsi coinvolgere in quest’avventura delle primarie rappresenta per la sinistra un errore dal punto di vista tattico e un’involuzione dal punto di vista politico-culturale. L’errore sta nella valutazione degli equilibri politici che vengono identificati nel centrosinistra e nel tipo di alleanza che viene prospettata. Accreditare le primarie come una via di uscita democratica dalle liti che infestano in maniera ricorrente l’Unione significa sottovalutarne o rimuoverne il senso, che va ben al di là di lotte di Palazzo, e rinunciare a costruire un’alleanza che trovi solidità nella negoziazione tra soggetti programmaticamente diversi piuttosto che nell’incoronazione di un leader. Per spostare a sinistra l’asse della coalizione, bisognerebbe innanzitutto evitare di regalare definitivamente i Ds a una collocazione centrista. Invece la sensazione è che Bertinotti non voglia far altro che riproporre il modello della Lega, aspettandosi di ricavarne un’analoga rendita di posizione. Ma sarebbe un azzardo, non solo perché Prodi non è Berlusconi, ma anche perché – come già si vede dai risultati delle regionali – è improbabile che l’elettorato lo premi.

Liti e illusioni Al di là dei calcoli politici che possono essere più o meno sbagliati, più o meno riparabili, però, le scelte di cui stiamo discutendo preoccupano per ben altri motivi. Se si scambiano le primarie per uno strumento capace di allargare la democrazia, vuol dire che si è ormai rinunciato a ricostruire quel principio di identità forte e quella partecipazione organizzata che soli possono consentire una soggettività delle classi subalterne e una trasformazione sociale profonda. Di fronte alle difficoltà immani che quest’impresa comporta si può anche capire la tentazione ricorrente della sinistra di prendere la scorciatoia del populismo. Ma illudersi che bastino delle iniezioni di popolo (la sublimazione nei movimenti o l’infatuazione per le primarie) per rigenerare un sistema politico sempre più autoreferenziale ha come unico effetto di indebolire ulteriormente il legame rappresentativo e finisce per alimentare piuttosto l’alienazione e il disinteresse dei cittadini.

* docente di Scienza politica e Politica comparata all’università “L’Orientale” di Napoli.

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L’Unione e il sistema politico, cura peggiore del male? Spunti per una discussioneultima modifica: 2010-12-05T11:34:31+01:00da iskra2010
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