Con Marx e senza Marx – Dal conflitto di classe al “mercato politico” (prima parte)

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di Salvatore d’Albergo

 

I

   Per una verifica del nesso tra teoria e prassi lungo la complessiva e ininterrotta storia sociale politica che caratterizza il sistema istituzionale italiano entro ed oltre i confini nazionali, nel quadro delle più ampie riflessioni suggerite in sede prevalentemente storiografica dal compiersi sia dei 150 anni dell’Unità d’Italia sia dei 60 anni della “Repubblica fondata sul lavoro”, un’angolazione utile alla riflessione sulle cadenze dei rapporti tra politica e diritto è offerta dal cinquantennale di Democrazia e Diritto, nell’intento di segnare in alcuni passaggi di fase della lotta non solo politico-sociale ma anche culturale il peso delle contraddizioni che hanno inciso sulla storia della Repubblica, anche per il tramite delle controversie – talora esplicite, e più spesso implicite – vissute tra gli esponenti della cultura giuridica: sia delle varie componenti più fedeli alla Costituzione del 1948 (raccolte sin dal sorgere della “Associazione dei giuristi democratici”), sia di quelli appartenenti al più qualificato tra i partiti del movimento operaio d’ Occidente, prima che una parte di loro transitasse nell’area del partito “post-comunista”, come esito della disputa tra “rivoluzione democratica” e “riformismo” nell’ambito del ruolo svolto dalla cultura giuridica per l’interpretazione del nesso tra “questione istituzionale” e “questione comunista”.

   Ed in generale, ma tanto più trattandosi di una Rivista nella quale si sono riflessi i rapporti tra strategie e tattiche politiche sull’uso delle “categorie giuridiche”, appare feconda non tanto una verifica di caratteristiche delle differenze di “DeD” rispetto alle altre riviste preesistenti o contestuali assumendo le cadenze tra passato e presente; quanto piuttosto una lettura nel nesso presente/passato/presente, certamente più utile a far risaltare la varietà di linee individuabili in seno al percorso della Rivista, anche per il premere dell’esigenza di affrontare il futuro facendo tesoro delle antinomie che oggi si presentano anche traumaticamente, sotto profili che è compito della cultura di affrontare con la funzione “critica” via via appannatasi soprattutto sul versante “giuridico”.

   Se, infatti, introducendo l’ultimo numero di “DeD” (1) si è dovuto rimarcare il peso delle difficoltà “legate al problema di fondo del peggioramento dei rapporti di autonomia tra politica e cultura” (U. Allegretti) per mettere in evidenza la necessità di fronteggiare gli incombenti nodi essenziali della vita politico-sociale italiana discendenti “dalla dimensione lunga della storia nazionale”, segno è che nella Rivista si sono riflessi sempre più (come provano le annate degli anni della prima decade del XXI secolo) tematiche coinvolgenti per i loro contenuti gli effetti politico-sociali della deriva delle forme istituzionali del potere maturate nel decorso degli anni ’90 (come proiezione dell’incubazione degli anni ’80): ciò che implica sullo sfondo sia il ruolo che nel tempo è venuto assumendo il “Centro di studi di iniziative per la riforma dello Stato”, sia l’affiancarsi variamente nella Rivista delle culture non giuridiche a quella che, ben più marcatamente nei decenni precedenti, si era proposta di rinnovare la funzione dell’analisi del diritto.

   Un contributo a cogliere il senso del più recente andamento dei rapporti culturali tra “DeD” e “CRS” – quest’ultimo segnato da una storia risalente, prima a Terracini, e poi a Ingrao – si può cogliere nelle Relazioni di Tronti, del 2004 (anno in cui è stato eletto a sua volta Presidente), nonché del 2007, 2008 e 2009, convergenti in una linea che denuncia una perdita di egemonia visibile nella deriva “istituzionale”, ma leggibile attraverso una critica che è a monte della cultura giuridica: se è vero che “DeD” fu fondata e poi si qualificò – nei primi anni ’70 – per concretare un rapporto tra “politica” e “diritto” coerente con la natura “democratico-sociale” della Costituzione del 1948.

E tale contributo – posto che va collocato in modo da affrontare adeguatamente le attuali, dure prospettive – si può valutare appropriatamente se si osserva che il “CRS” mantiene nel suo statuto l’obiettivo di studio e di ricerca sui processi “di trasformazione” degli ordinamenti giuridici contemporanei, e si precisa nel contempo che la collana “Citoyens” che (col titolo “Non si può accettare”) pubblica gli interventi di Tronti del periodo 2004-2009, persegue in aderenza al tipo di vicende in corso la riflessione e l’intervento sui molteplici “mutamenti che stanno investendo i sistemi di regolazione politico-istituzionale”: come ben risalta, quindi, non si rinunzia all’idea della “trasformazione”, nel momento in cui si devono peraltro fare i conti con i “mutamenti” in corso, in controtendenza sempre più netta con il quadro di riferimento esistente all’epoca della fondazione del “CRS”, con le implicazioni sul tipo di coinvolgimento avvertito dalla cultura giuridica innervata nei mutevoli rapporti intercorsi tra “DeD” e “CRS”.

   Senza qui rileggere i percorsi teorico-politici personali di Tronti, compresi quelli contestuali alla liquidazione del Pci, appare oggi essenziale che delle posizioni assunte in precedenza egli riprenda (inducendo il curatore Serra a porla in testa alla “presentazione”) quella che ebbe modo di testimoniare nel 1985, a proposito della “diversità” dei comunisti notoriamente e caparbiamente rivendicata da Enrico Berlinguer, con lo scopo di elevare la “categoria” berlingueriana di diversità al ruolo di “categoria politica” necessaria ad affrontare ancora e in circostanze tanto eterogenee, il “nodo della sinistra”, con tutto quel che ciò comporta già a proposito dell’uso della qualifica di “sinistra”  nei diversi passaggi di fase della storia recente.

   Già il fatto che, nel cuore di una ripubblicazione delle Relazioni al “CRS”, vi sia il saggio sulla “diversità” che inizia con l’autodefinizione di “autocritica intellettuale” rappresenta un invito a riprendere un filo conduttore, in sintonia con chi ha osservato che si era ritenuto utile spezzarlo a costo di “partire da zero”, di fare “tabula rasa”, di una “rimozione”, di una “liquidazione di un patrimonio”, rinunciando a una “propria tradizione”, liberandosi dal “peso di una memoria” con un “nuovismo capace di evocare la destra senza una “diversa analisi del moderno”, pensando che la ricerca e promozione “identitaria” sia tramontata insieme alla “proporzionale” (2).  

(segue)

NOTE

(1)databile giugno 2010)

(2)M.  Prospero, Bisogno di identità, in Prospero-Gritti, Modernità senza tradizione- Il male oscuro dei democratici

    di Sinistra, Manni, 2000, pagg.85-86

 

Con Marx e senza Marx – Dal conflitto di classe al “mercato politico” (prima parte)ultima modifica: 2010-12-21T01:01:00+01:00da iskra2010
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