di Angelo Ruggeri *
“Nel mondo sono sempre attive due forze e attive secondo la loro natura” (di classe, n.d.r) Roderigo di Castiglia, il più grande intellettuale-politico e politio-intelletuale del secondo dopoguerra, che in modo elegante dava grandi lezioni di storia e di cultura politica anche scrivendo brevi corsivi come, riflettendo su Hegel, ha fatto in questo caso.
Marx ed Engels non descrissero un mondo già trasformato dal capitalismo nel 1848, ma previdero in che modo era logicamente destinato ad esserne trasformato. Oggi viviamo in un mondo in cui questa trasformazione si è in gran parte compiuta nel modo che il Manifesto indicava.
Non solo perchè prevede il futuro descrivendo movimenti secolari come l’urbanizzazione e la crescita della manodopera femminile, o la distruzione della famiglia che solo pochi decenni fà non sembrava confermata, mentre oggi attualmente circa il cinquanta per cento dei bambini nasce o viene allevato da madri nubili, e nelle grandi città dove la metà dei nuclei familiari è formata da single, ma perchè si spiega il vertiginoso ritmo di cambiamento a cui tutte le società contemporanee sono soggette.
Non si può non restare colpiti in questo millenio, dallapenetrante prefigurazione di un capitalismo pesantemente globalizzato, in cui si prevede persino le conseguenze “dell’infinito progresso delle comunicazioni” di un capitalismo teso a ” dare un’impronta cosmopolita alla produzione e al consumo di tutti i paesi“.
Così come non si può non restare colpite da come il Manifesto del 1848 analizza il meccanismo di crisi insito nell’economia capitalistica con una esattezza senza confronto nemmeno tra i testi dei guru dell’economia più recenti, mettendo in evidenzale forze autodistruttive dello sviluppo capitalistico riconosciuto oggi non solo dai marxisti, punto in cui “la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le forze degli inferi da lui evocate…I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere la ricchezza da essi stessi prodotta” anticipa la distruzione dell’industria di base meridionale e mette in luce le implicazioni di una economia completamente globalizzata, con l’inevitabile perdita di controllo da parte dei governi nazionali, governi il cui ruolo è ridotto a quello “di un consiglio che amministra gli affari comuni della classe borghese”, rappresentata oggi dalle grandi multinazionali e dal capitale finanziario.
Non ci sono accuse, ne prediche moralistiche, ma una una capacita e grande critica sociale e l’indicativo della scienza nell’epoca borghese : “Ogni corporazione e istituzione si dissolve, ogni cosa sacra viene profanata e gli esseri umani sono infine costretti a considerare con sguardo lucido le loro condizioni materiali e le loro relazioni reciproche”.
Nelle sue tesi suDemocrito ed Epicuro, Marx ha scoperto il rapporto tra necessità, libertà e consapevolezza. Per Marx l’epoca del capitalismo è appena cominciata. Nessuno sa quanto durerà. Ma una una cosa è certa, avrà fine e la storia non finisce.
Il Manifesto toglie agli uomini la fede nel sopranaturale e li vincola al corso della storia : è qui che si può avere un ruolo.
La storia non è infatti un movimento dialettico autosufficiente, ma l’azione e l’opera di tutti. Anche l’uomo, se si concepisce come individuo, agisce solo come uomo dimezzato, privo di coscienza : “producete coscientemente come uomini e non come atomi isolati che non sono consapevoli di appartenere a un genere comune”, aveva scritto Engels. Oggi si direbbe : producete come agenti consapevoli di operare in una sfera economica e politica e non soltanto all’interno di una economia aziendale.
Nel Manifesto la previsione di un progressivo impoverimento su scala mondiale, mette in luce ciò che accade a chi non agisce come un essere umano consapevole e si lascia trattare come un “fattore lavoro” e della produzione. Nel Capitale Marx delineerà la drammaturgia dell’avidità del capitalismo che “sfrutta” uomini, donne, bambini, ambiente, e li spinge a cercare vie di uscita. E mentre la meccanizzazione riduce gli orari di lavoro e i salari, Marx ricorda che se al principio i lavoratori riunendosi riescono a mantenere alti i salari, il sucessivo processo di razionalizzazione produce migliaia di disoccupati : nonostante ogni opposizione, il progresso tecnico e la concentrazione economica finiscono a lungo termine per ridurre sempre più i posti di lavoro necessari alla sussitenza
* del 14 agosto 2007