Riflessioni sulla libertà d’informazione nell’epoca della P2

 

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di Angelo Ruggeri

 

La “buona borghesia” reazionaria italiana

tutto questo degrado non è frutto del caso e della sola cattiveria del “cavaliere nero” (alias Berlusconi) ma è il risultato di decenni di anticomunismo praticato costantemente da tutte le frange della borghesia, sia a livello nazionale che internazionale.

…”Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo (Mussolini) in premio di tredici anni di scuola. E, detto fra noi, era ora” (Indro Montanelli XX Battaglione Eritreo, Panorama, Milano, 1936, pag. 226). In un pezzo per Civiltà Fascista (gennaio 1936) intitolato “Dentro la guerra” scrisse della sua esperienza africana: “Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà”… e che giudizio dare dell’intervista rilasciata da Montanelli, alla bella età di 69 anni, alla Tiroler Tageszeitung il 28 marzo 1978, dodici giorni dopo il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse?”

 

“Nessuno può sapere che cosa ci attende. Molto dipende dalla soluzione del caso Moro. Se Moro dovesse ritornare a casa e riprendere la sua attività politica con l’aureola del martire, allora andremmo verso un governo con i comunisti e più tardi l’uscita dell’Italia dal Patto atlantico e ad una collocazione terzaforzista, come la Jugoslavia.

 

Se Moro sarà eliminato fisicamente (come Schleyer) o se torna dopo una umiliante trattativa con le Brigate rosse, allora le cose possono andare diversamente. In tal caso il compromesso storico perderebbe il suo grande stratega e nessuno sarebbe in grado di raccogliere l’eredità di Moro“….

 

…”Nel 1976 all’ennesima tornata elettorale, con il Pci in forte ascesa, Gianni Agnelli diceva dei comunisti: “Se vinceranno le sinistre bisognerà lottare perché rimangano spazi di libertà per tutti…”. E negli anni Ottanta, in pieno craxismo, ripeteva spesso, impaziente: “Quanti anni ci vogliono ancora, prima che il Pci scompaia?” (Massimo Giannini su la Repubblica, 25 gennaio 2003).

Per far sparire il Pci come voleva Agnelli c’è voluto il lavoro discreto, riservato e occulto della massoneria e in particolare della P2, con il suo progetto conosciuto come Piano di rinascita democratica, scoperto il 17 marzo 1981 ma redatto in precedenza.

Ripercorriamone la storia a partire da un torrido luglio del 1975: “Carlo De Benedetti, leader degli industriali piemontesi, pupillo dell’Avvocato ed ex compagno di scuola di Umberto, lanciò la “sfida imprenditoriale al Pci”. La tesi era suggestiva e partiva da un preciso presupposto. “Non sappiamo se credere più nel rinnovamento della dc o nel revisionismo del pci”, aveva detto poco prima l’Avvocato interpretando il disorientamento che serpeggiava nell’armata industriale. La Confindustria, insomma, prendeva ufficialmente le distanze dal mondo politico tradizionale, condannava in blocco la dc e prendeva atto che il “vuoto di potere” che si era determinato non poteva essere colmato “dai logori schemi” in cui si muovevano gli alleati dello scudo crociato: i repubblicani e i socialisti.

Di qui la conclusione piuttosto suggestiva di De Benedetti: è tempo scrisse, che gli industriali si pongano “come ispiratori di una politica economica generale, di un consenso che vada ben oltre la sola classe imprenditoriale”. Ed ancora: è tempo che “leader riconosciuti del mondo imprenditoriale e manageriale siano corresponsabilizzati nella gestione vitale per la ricostruzione del Paese”“.

La ricostruzione di questa strategia padronale è riportata nello splendido libro di Cesare Roccati Umberto & C. Gli anni caldi della Fiat (Vallecchi, 1977). Sempre in questo libro viene analizzato cosa c’era dietro la proposta di De Benedetti (massone della loggia Cavour del Grande Oriente a Torino, con il brevetto n. 21272 di maestro dal 18 marzo 1975): “Gli osservatori, allora si interrogarono a lungo. E tutti concordarono su un punto: era finito il tradizionale collateralismo con la dc ed iniziava per gli industriali l’era di un “impegno diretto”, come “ministri” di un governo “tecnico”, o addirittura come “partito”“.

Questo progetto maturato negli studi ovattati della Fondazione Agnelli, il maggior laboratorio culturale d’Italia, è il canovaccio per far “scendere in campo” gli imprenditori in politica. Identico nei contenuti al Piano di rinascita democratica della P2″.

Non è certo frutto della sfortuna che tutti i politici che hanno provato a realizzare politiche a favore del Pci siano stati assassinati o siano stati isolati in modo brutale nell’opinione pubblica con l’uso dei classici espedienti dei servizi segreti: Moro e Olof Palme assassinati.  In seguito inchieste parlamentari, giornalistiche e di studiosi come Sergio Flamigni, il professor Giuseppe De Lutiis, Mario Guarino, Gianni Flamini solo per citarne alcuni, hanno dimostrato che in tutti e due i casi la P2 ha avuto un ruolo fondamentale nella loro eliminazione.

Sino a giungere agli omicidi selettivi di destra e di “sinistra” praticati nel nostro Paese, che hanno fatto piazza pulita, come diceva il golpista Edgardo Sogno dei traditori in seno alla borghesia che volevano aperture politiche al Pci.

 

Ma in questa politica anticomunista non hanno avuto un ruolo anche certe formazioni estremiste e socialiste? Come Potere operaio di Toni Negri e Lotta Continua di Adriano Sofri e il Psi di Craxi. Oggi, come allora mediaticamente coccolati dai giornali padronali? Quanto spazio hanno avuto e hanno costoro sui media “democratici” nel realizzare quel processo di revisione continua della storia e della politica, tanto utile per determinare un radicamento di massa di quell’anticomunismo borghese di cui Berlusconi è il caso estremo e palese?

 

In questo processo degenerativo della democrazia hanno avuto un ruolo sia i Montanelli che gli Scalfari, uno sul fronte della destra politica e l’altro su quello della sinistra. Tutti e due convergevano nei momenti elettorali sulla Dc e sinergicamente hanno alimentato l’anticomunismo. Straordinarie coincidenze anche nelle date di nascita dei loro giornali: Il Giornale esce nel giugno del 1974 e la Repubblica a gennaio del 1976. Anni fondamentali e di forte ascesa del Pci. Il Giornale e la Repubblica nel loro modo di agire nel sistema mediatico ricoprono il ruolo del poliziotto buono e di quello cattivo durante gli interrogatori. Sia il cattivo che il buono, vogliono la stessa cosa e lavorano per la stessa struttura…

 

Gli effetti di questa politica unitaria massonico-borghese hanno trasformato la società, le istituzioni, i partiti e la nostra Costituzione. E il PD e PDL non sono quelle formazioni politiche descritte nel Piano di rinascita democratica nel capitolo Procedimenti? Dove al punto d si afferma: “…usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno a sinistra (a cavallo fra Psi-Psdi-Pri-Liberali di sinistra e Dc di sinistra), e l’altra sulla destra (a cavallo fra Dc conservatori, liberali e democratici della Destra nazionale)”. La nostra estromissione, dai vari Parlamenti, con i vergognosi e antidemocratici sbarramenti elettorali da tutti sostenuti, non è andato nella direzione del progetto piduista? E oggi quale mezzo di comunicazione di massa gestito dai padroni non vuole un sistema politico più consono ai bisogni dell’impresa, più accentrato, meno democratico e con i politici asserviti a questo o a quel padrone in ascesa sul mercato?”….

Riflessioni sulla libertà d’informazione nell’epoca della P2ultima modifica: 2011-02-17T00:05:00+01:00da iskra2010
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Un pensiero su “Riflessioni sulla libertà d’informazione nell’epoca della P2

  1. Uno Stato che fonda la buona amministrazione della cosa pubblica sulla virtù dei suoi governanti o sulla razionalità dei suoi cittadini è uno Stato instabile, debole e insicuro.E’ questa la tesi che anima “ Il Trattato Politico “ di Baruch Spinoza.Tesi originalissima se la si inserisce in oltre duemila anni di tradizione platonica, in cui sebbene in diverse forme, si è sempre sostenuto che lo Stato migliore sia quello governato dagli uomini migliori.Spinoza invece di invitarci, come aveva fatto Platone a scegliere i migliori da mettere al governo, focalizza l’attenzione sulla creazione di un’architettura istituzionale che possa rendere lo Stato ottimo, indipendente da chi lo guidi.Un principio semplice quello della separazione tra istituzioni e virtù dei governanti, che però sembra sia sempre più dimenticato nonostante che molti stati moderni si siano ispirati a tale idea. Basti pensare alla divisione dei poteri, al bicameralismo, alle procedure di controllo o di bilanciamento come il voto di metà mandato negli USA o alle figure di Presidenza delle Repubbliche come garanti delle Costituzioni.Spinoza ci dice che è lo Stato a dover garantire sicurezza, pace, libertà ai cittadini e non i governanti di turno, la salute di uno Stato deve prescindere dalle virtù di chi ne è al comando.Eppure in Italia da molto tempo, troppo, il dibattito politico sembra ripercorrere le orme del platonismo, ci s’interroga sulla moralità o meno della casta, ci si indigna sul comportamento virtuoso o meno della classe dirigente. Ci si lamenta dei vizi di chi ci governa, sperando di averne dei migliori, ma non ci si preoccupa di salvaguardare l’integrità delle istituzioni.Spinoza direbbe che è un atteggiamento miope, di un popolo vittima delle passioni, preda degli egoismi, avido di desideri di vendetta.La vera salvaguardia della libertà non è nelle virtù di chi governa, ma nel valore delle istituzioni, nella Carta Costituzionale, nella sua capacità di creare equilibrio tra passioni, interessi e potere.In quest’ottica diviene evidente che il “berlusconismo” da temere non sia quello delle escort a villa Certosa o a Palazzo Grazioli, ma quello della legge elettorale che priva ai cittadini una vera scelta, quello del conflitto d’interessi irrisolto, quello del ricatto Fiat che sancisce l’espulsione delle libertà costituzionali dalle fabbriche, quello della supremazia degli avidi interessi economici sulla politica, quello delle “picconate” date ai principi fondamentali della Costituzione.C’è un continuo sussurrare dei media e non solo, alle orecchie degli italiani che occorrono riforme, cambiamenti alla Costituzione, mutamenti, martellamenti continui in sordina che fanno chiaramente pensare a una strategia di stravolgere in senso autoritario le basi dello Stato democratico.Astuzie che orientano un popolo che demanda ad altri l’agire e che corre il rischio di svegliarsi un giorno schiavo con il rammarico di aver contribuito alla propria schiavitù.Spinoza anche questo aveva scritto nel Trattato Politico” : uno Stato che fondi il buon governo sulla ragionevolezza ( buon senso) dei suoi cittadini è uno Stato alla mercé di un dittatore.Ciao Angelo

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