Giustizia e Costituzione alla sbarra

IMG_0597+logo.jpgfoto MOWA

 

 

di Angelo Ruggeri

L’attacco autoritario alla magistratura ultimo baluardo della democrazia e della democrazia antifascista della nostra Costituzione che non si limita sola alla repressione e alla sola privacy come negli ordinamenti liberali-anglosassoni e settecenteschi.

L’attacco al sistema giudiziario della nostra Costituzione e alla Magistratura (l’unica in Occidente che non è sottoposta al potere e all’indirizzo politico dell’esecutivo di governo) è partito già dalla Commissione Bicamerale di D’Alema, la madre di tutti i progetti di riforma autoritaria della Costituzione e vera e propria Associazione anticostituzionale bipartizan; e continua usando quanto – in modo coerente col suo essere stato extraparlamentare ed anticomunista – è stato allora elaborato da Boato, nella Bicamerale. Donde i segnali di disponibilità del PD con la “pseudo sinistra” che resta subalterna al PD e al nazional-socialista Violante che riabilitò i repubblichini di Salò parificandoli ai partigiani antifascisti e che da tempo guida il “fronte anticostituzionale della sinistra” (convergenti con quello di destra), specialmente contro l’autonomia della magistratura ma non solo (ricordiamo che Violante ha proposto che la Costituzione venga “rifatta” costituendo una Commissione ricalcata sulla Commissione c.d. dei Soloni del 1923 che sotto la presidenza di Gentile elaborò i progetti autoritario di rafforzamento del potere dall’alto dell’esecutivo di governo e del suo “capo” (che per Violante dovrebbe essere uno dei compiti di elaborazione della Commissione da lui proposta) che Mussolini applicò col colpo di stato del 1925.

La giustizia viene così messa ancora oggi alla sbarra, mentre iniziano a venire fuori i guai del federalismo, vengono fuori gli staterelli regionali e gli scontri tra Ras nazionali e Ras locali. Si gira attorno al problema dicendo: “non ci sono più i partiti” senza dire di quale “tipo”. Chi racconta invece di dire la verità sorvola e non dice che la verità non è che non ci sono più i partiti, ma che non ci sono più i partiti di massa (cosa che avvantaggia una Lega potenzialmente di massa) e che assistiamo all’esaltazione di un “singolo” anziché di un “collettivo” e che quando finisce il partito di massa finisce anche la democrazia.

Cessata l’autonomia sociale e politica dei partiti e dei sindacati, che hanno scelto il bipolarismo e respinto la democrazia di massa, si reputa intollerabile che possa sopravvivere l’autonomia dei magistrati.

La giustizia alla sbarra

Finiti i partiti di massa e della democrazia si attacca l’autonomia della magistratura.

Di fronte al dispiegarsi di un attacco concentrico alla struttura e al ruolo della magistratura, manca una coscienza adeguata circa i termini della reale posta in gioco. Posta che in termini reali, riguarda l’organizzazione e la forma dello stato (spesso confusa, impropriamente, con la forma di governo), e quindi la caratterizzazione della “politica” da cui non si può reputare estranea la funzione della magistratura.

La “distinzione” tra poteri, “legislativo”, “esecutivo” e “giudiziario”, formalmente ovvia, riguarda la diversa modalità degli atti con cui si concretizza la funzione giurisdizionale e quella istituzionale preordinata a decidere con forme di governo tra loro alternative: fondate, o sul primato del Parlamento, o, sul primato dell’esecutivo e del suo “capo” che contrasta con la Costituzione, per cui le sue decisioni possono e vengono contestate. Ma tale ovvia distinzione, è smentita dal nesso tra i problemi di natura civile e sociale trattati dai giudici (pur se se con atti destinati ai singoli cittadini), e quelli affrontati dalle forze politiche con le leggi condizionate – come gli atti giudiziari – dai “Principi Fondamentali” della Costituzione, che impedisce di relegare la giurisdizione in un “limbo” separabile dalla realtà della dialettica sociale e politica dei poteri.

La storia, dei 60 anni di Costituzione, testimonia l’inerenza inscindibile tra l’impegno per una democrazia sociale, prospettata dai Costituenti e antagonista della concezione “autoritaria” dello “stato liberale”, oltre che del totalitarismo fascista, e l’impegno per la trasformazione dei rapporti sociali e politici. Sia mediante uno sbocco conseguente della sovranità popolare in un parlamento autonomo dai vertici ristretti e burocratizzati. Sia con la creazione di un sistema di “garanzie” volte ad ottenere in sede di “giudizio-giudiziario” un uso legittimo della politica e leggi democratiche, che sconfiggano le prevaricazioni dei soggetti dominanti. Per ciò i Costituenti hanno sottratto la magistratura dai condizionamenti delle forze politiche e dei governi.

Si mira a spezzare “l’unitarietà” dei rapporti tra giudici e pubblici ministeri, e a diminuire o addirittura cancellare – con la politica manipolata in senso maggioritario, la funzione di garanzia della magistratura, che i cittadini possono trovare solo se i loro diritti non vengono intaccati da leggi a favore dei poteri forti. Così, la magistratura è diventata una sorta di ultima trincea di difesa della democrazia dalla “destrutturazione” in corso da un trentennio, in lineare contrapposizione al precedente trentennio di controversa lotta per la democratizzazione della società e dello stato.

Il “revirement” di partiti e sindacati, ha reso impari e unilaterale la lotta di classe dei poteri “forti” e d’impresa, facendo venire meno la garanzia politica e sociale della lotta antagonista ai poteri “forti”, sancita dalla Costituzione: imperniata sulle autonomie di una democrazia di massa, articolata in autonomia di partiti, sindacati, enti locali, Chiesa e dei giudici per affermare i diritti con coerenti poteri nuovi, democratico-sociali.

Per non limitarsi all’esecrazione di quanto è in corso e per rispondere al tentativo di dissolvere la “resistenza” della magistratura, va spiegato “perché” la giurisdizione si presenta come l’ultimo “bunker” di uno “scontro” decisivo per la democrazia. Avendo da anni delegittimato la Costituzione, creando, con il concorso di PD, Idv e pseudo sinistra e del “nomen omen” Violante la Costituzione, una situazione che permette di denunciare i giudici come ostacolo cosciente, determinato e organizzato ad una deriva reazionaria che –nell’irresponsabiità della logica bipolare – è stata sospinta dal Pds e dal Ppi sull’onda della c.d. “modernizzazione”. Si che ora si dimostra quanto sia stato aberrante l’impulso ad avviare tale deriva, imputabile in modo irrefutabile proprio a quel c.d. centrosinistra che per oltre un decennio ha puntato a spezzare quell’organica continuità/interdipendenza tra la Prima Parte e la Seconda Parte della Costituzione, sancita alla Costituente con il concorso pluralistico delle forze sociali e politiche di ascendenza non solo marxista ma anche cattolico-sociale (che ancora debbono studiare il processo che ha portato alla deriva della democrazia di cui si lamentano ma che hanno per primi avviato).

Una deriva reazionaria

non tollera di dover contenere entro i limiti della legalità le pretese dei gruppi di potere che si impadroniscono del “governo” dello stato, sia al centro che nelle sedi decentrate pervase dal presidenzialismo antipopolare. E che per ciò reputano inammissibile le imputazioni – prima ancora che le condanne – inflitte alla criminalità economica e politica, per violazioni di legge diffuse dall’azione di soggetti che hanno dato la stura ad un vero e proprio “diritto penale dell’economia” senza precedenti. In un ordinamento che peraltro è atavicamente condizionato da massoneria, mafie, camorre, e ‘ndrangheta.

 

La giustizia alla sbarra 2

Atteso che la magistratura non è sottoposto solo alla legge ma alla Costituzione da cui non possono derogare il Parlamento, né governo e maggioranze legislative, anche riflettendo su articoli di stampa, per comprendere come si è giunti al vero e proprio assedio della magistratura, servono un tipo di riflessione meno congiunturale. Per cogliere il senso storico e diacronico di tale assedio, operato da una “politica” che sa di essere “fuori” dalla Costituzione, per cui afferma che questa va “adeguata” al maggioritario, alle leggi, alla “pratica” politica e di governo, dopo un “ventennio” di “pratiche” “anticostituzionali” in campo legislativo, istituzionale, elettorale e della giurisdizione.

Già vengono fuori i guai del federalismo: giunte degli scandali e staterelli regionali, scontri tra Ras nazionali e Ras locali (non solo D’Alema e Vendola). Si dice “non ci sono più i partiti” per non dire che tipo di partito. Assistiamo all’esaltazione di un “singolo” anziché di un “collettivo” perché “finito” – si fa finire – il partito di massa è “finita” la democrazia. Donde l’asimmetria tra la fine dell’autonomia sociale e politica dei partiti e dei sindacati, dopo le abiure di “ex cattolici sociali” ed “ex comunisti” di tutte le versioni odierne, e la sopravvivenza attiva e pugnace della magistratura. Di quella parte che persevera nel far valere la combinazione della sua organizzazione (Anm) con l’istituzionalizzazione della sua rappresentatività nel Consiglio superiore della magistratura, e soprattutto con l’autonomia culturale. Autonomia espressa con la professionalità di operatori fedeli alle garanzie processuali dei valori di democrazia contenute nella costituzione. Ad onta degli interessi e delle pretese delle forze che sono riuscite a conquistare i vertici della governabilità, anelando a trasformare in senso autoritario uno stato democratico, derubricato e retrocesso (anche da “sinistra”), al minimalismo liberaldemocratico. Un termine così ambiguo da omologare un ventaglio di forze che va da Berlusconi ai suoi avversare, nell’arena di un bipolarismo che ha respinto la democrazia di massa. E che per ciò reputa inammissibile, o appena tollerabile che, cessata l’autonomia sociale e politica di partiti e sindacati, possa sopravvivere l’autonomia dei magistrati “portatori residuali” della cultura antifascista. Ex cattolici sociali ed ex comunisti hanno dimenticato che con la sintetica e apparentemente icastica espressione di “antifascismo”, si identifica l’incontro alla Costituente di culture (autonome, ma convergenti) di cattolici, socialisti e comunisti, e si compendia la caratterizzazione del nesso tra “Principi Fondamentali” e “Prima e seconda Parte” della Costituzione del 1948. Grazie a ciò, dalla progettualità antiautoritaria e democratico-sociale, si è riusciti a passare ad una parziale attuazione, sotto l’impulso di lotte sociali e politiche culminate in una egemonia culturale tale che, negli anni 60-70, ha pervaso anche quelli che venivano detti “corpi separati”. Tra cui quelli giudiziari che prima si limitavano a svolgere un ruolo repressivo storico, che ancora svolgono negli ordinamenti delle c.d. “liberaldemocrazie” anglosassoni garanti della sola “privacy”.

E’ stato nel vivo di tale scontro sociale e di classe del 900 – che l’oscurantismo post-moderno vuol far dimenticare – che nella magistratura si è preso coscienza della necessità di riformare gli indirizzi che ispirano l’interpretazione della legge, la promozione e la emanazione delle sentenze da parte, rispettivamente, dei PM e dei giudici.

Avendo colto che il nuovo principio costituzionale, che i giudici amministrano “in nome del popolo” cui “appartiene la sovranità” di una Repubblica “democratica fondata sul lavoro”, li ha investiti del compito di concorrere a filtrare il nesso (spesso inestricabile) tra la legge e le norme costituzionali che condizionano la legittimità sostanziale della legge.

La vera e propria rivoluzione culturale nella magistratura, è stata portatrice dei valori di eguaglianza “sostanziale” – nel cui nome si svolgevano le lotte nei luoghi di lavoro – culminati nello “statuto dei lavoratori” che coniuga l’intervento sindacale con il potere del giudice di “reintegrare” nel posto di lavoro il dipendente licenziato ingiustamente. A latere delle riforme sociali, la magistratura ha sperimentato l’unica riforma democratica dello stato sopravvissuta alla deriva degli anni 80 e successivi. Perciò è sottoposta ad una aggressione dei suoi spazi di autonomia con cui ha concretato una giurisprudenza alternativa in materia di lavoro, salvaguardia dell’ambiente e tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro, di reati di opinione e di libertà personale, di scandali politici e finanziari nonché di stragismo fascista e golpista. 

Giustizia e Costituzione alla sbarraultima modifica: 2011-03-22T01:00:00+01:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento