Colpo di Stato

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I giorni salienti del 1993, quando l’Italia aprì le porte alla Seconda Repubblica

di Luigi Grimaldi  *

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Sono stati depositati  dai pm i verbali con gli interrogatori ai pentiti e alle istituzioni del biennio stragista. Lo scorso 15 marzo il pm palermitano Nino Di Matteo ha depositato 1.800 pagine di documenti da acquisire al processo Mori e Obinu, incentrati proprio sul dialogo tra mafia e Stato avvenuto a cavallo del biennio ’92,’93.

Ci sono fatti clamorosi sinora del tutto passati sotto silenzio. Dalle prime indicazioni sul materiale depositato si apprende che l’allora Presidente del Consiglio Carlo Azelio Ciampi ha ribadito di aver temuto il colpo di Stato, quando la notte delle bombe di Roma e Milano erano saltate anche le linee telefoniche. Ha precisato però che si trattò di una sua valutazione dovuta alla «eccezionalità oggettiva di quegli avvenimenti e non da notizie precise» in suo possesso.

Ciampi ha aggiunto però anche qualcos’altro, un dettaglio inquietante: «Io personalmente ho maturato il convincimento che quelle bombe fossero contro il governo da me presieduto. Ciò perché ho constatato che gli attentati iniziarono, con quello di via Fauro, poco dopo l’insediamento di quell’esecutivo e cessarono pressoché contestualmente al momento in cui, nel dicembre 1993, rassegnai le dimissioni». E in effetti la cadenza degli avvenimenti dell’autunno 1993 fa pensare non solo al tentativo di un colpo di stato, ma, con la concretizzazione delle dimissioni del governo Ciampi al compimento, all’atto finale, di un golpe bianco. Che accadde?

Il 26 settembre da Bergamo partono le prime minacce: un vero e proprio ultimatum a Scalfaro perché sciolga le camere, al raduno leghista di Curno. Gianfranco Miglio: «Dietro alla volontà di non andare alle elezioni c’è la prospettiva di fare un colpo di Stato».

Bossi: «Scalfaro e Ciampi spostatevi, la strada per arrivare al federalismo non può essere un processo di lenta trasformazione; adesso, democraticamente, vi diamo ancora tempo fino ad aprile, poi si alza il pugno gigantesco del Nord. Il colpo di Stato c’è già, se non chiude il Parlamento si mette dalla parte dell’illegalità» . «Non è la Lega che è illegale ma sono questi signori, è il Presidente della Repubblica che è illegale».  «.. il Nord vuole un’ Italia diversa, federale, appunto. Ciò avverrà indipendentemente dalle elezioni».

Nel giro di poche settimane la situazione precipita.

Giovedì 28 ottobre 1993. Il tenente colonnello Aldo Michittu e sua moglie Donatella Di Rosa, la famosa Lady Golpe, vengono arrestati con l’accusa di calunnia con finalità eversive. È l’epilogo della commedia rappresentata nell’autunno del 1993  da Lady Golpe e dal marito Michittu. Un colpo di Stato previsto per la primavera del 1994. Una storia di corna, terroristi, complotti e traffici d’armi: tutto plausibile ma palesemente falso. Del caso però  sono pieni per mesi i giornali e le televisioni del Paese. Rivelazioni un po’ scombinate che coinvolgono  il generale Monticone, ex comandante della Folgore e all’epoca a capo della Fir (Forza di intervento rapido), il maggiore Iubbini, il tenente Matonti, dello Stato maggiore della Difesa, il generale della Guardia di finanza Frea, il generale Quintana, e addirittura il generale Angioni e il capo di Stato maggiore Canino: Calunnie  che però finiscono su tutte le prime pagine dei giornali. Se un messaggio doveva essere messo in circolazione per fiancheggiare la stagione delle bombe di certo il risultato è stato raggiunto. Una storia che avrebbe dovuto essere seppellita dal ridicolo e che invece ha effetti devastanti perché in poco tempo decapita una parte importante dei nostri vertici militari.

Giovedì 28 ottobre 1993. Maurizio Broccoletti, l’uomo del Sisde, il servizio segreto civile, che per anni ha gestito le casse del Servizio, fa una rivelazione ai magistrati della Procura di Roma destinata a sconvolgere il paese: «Pagavamo politici, funzionari, ufficiali dei carabinieri, giornalisti…». Sono i ministri dell’Interno degli ultimi dieci anni a entrare nell’occhio del ciclone con l’ormai storico caso dei cosiddetti «fondi neri» del Sisde. Tra loro il Presidente della Repubblica Scalfaro che, costituzionalmente è colui che in caso di crisi politica decreta lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate.

Venerdì 29 ottobre 1993. La situazione si fa di ora in ora più incandescente. Compare un nastro in cui due agenti, Antonio Galati e Salvatore Locci, raccontano come ogni mese una busta con cento milioni venisse consegnata al direttore del Sisde Riccardo Malpica con l’intestazione: Per il signor ministro (Scalfaro). Il direttore del Servizio Riccardo Malpica viene arrestato insieme ad altri quattro funzionari. La tensione è altissima. In serata, il presidente Scalfaro rilascia una dichiarazione: «L’obiettivo è colpire la democrazia, sono solo falsità. Condanno con fermezza questo ignobile sistema».

Martedì 2 novembre 1993. Malpica chiama in causa Mancino( ministro dell’Interno in carica). Galati, l’agente del Sisde, si costituisce giusto in tempo per confermare le rivelazioni di Broccoletti (il cassiere dello stesso servizio segreto civile). Con lui compaiono gli originali dei documenti consegnati da Malpica ai giudici.

Mercoledì 3 novembre 1993. Scalfaro, Gava, Scotti e Mancino vengono coinvolti da Galati nello scandalo. Circolano indiscrezioni cui seguono ore di tensione e di febbrili consultazioni ai massimi livelli istituzionali. Si riunisce il governo. I presidenti delle Camere vengono convocati al Quirinale. Nel frattempo il Pds interrompe i lavori della Direzione nazionale e da quel momento si innesca una serie di allarmate prese di posizione di partiti e sindacati che invitano i cittadini alla vigilanza democratica e indicano seri pericoli per le istituzioni.

Nella notte il presidente della Repubblica lancia un drammatico messaggio alla nazione, definendo un atto destabilizzante le rivelazioni provenienti dal Sisde, paragonandole a «bombe» vergognose e ignobili.

Venerdì 5 novembre 1993. Viene lanciato lo stato di massima allerta per questure e comandi dei carabinieri. Ormai il clima è da vigilia di un colpo di Stato. Si riunisce il consiglio dei ministri per discutere della riforma dei servizi segreti e immediatamente parte un attacco speculativo senza precedenti contro la lira e i titoli di stato. La situazione è talmente grave che Ciampi lascia il consiglio dei ministri e dopo una fulminea consultazione col presidente della Repubblica e il vertice della Banca d’Italia, alle 13,32, rilascia un comunicato ufficiale: «Il presidente del Consiglio in relazione a notizie allarmistiche diffuse sui mercati finanziari, ha dichiarato trattarsi di notizie infondate diffuse a scopi criminosi. Ogni ipotesi di crisi politico istituzionale è esclusa nella maniera più drastica. La situazione, dopo le ferme precisazioni dei giorni scorsi, è di piena normalità. Il Consiglio dei ministri si sta svolgendo secondo il previsto ordine del giorno. Il governo si è già rivolto alla Magistratura per perseguire con i rigori della legge i propalatori di tali false notizie».

Sabato 6 novembre 1993. Anche la magistratura, stando ai quotidiani, opta per il piano destabilizzante: «L’ipotesi è che le dichiarazioni degli agenti del Sisde indagati siano convergenti ma false».

Domenica 7 novembre 1993. Il procuratore capo di Roma Vittorio Mele conferma l’apertura di un procedimento contro gli agenti indagati del Sisde per «attentato agli organi costituzionali».

Ed eccoci al 9 novembre.  Bossi interviene a Montecitorio e annuncia che, siccome la classe politica non intende andare alle elezioni anticipate, si assisterà al «ritiro della delegazione parlamentare della Lega e alla nascita di un governo provvisorio contro questo Parlamento». «Questo governo provvisorio – aggiunge il leader della Lega – farà una costituente federalista. Naturalmente dove la Lega è presente, è chiaro che partirà dal Nord».

Insomma, si parla apertamente di secessione.

Miglio rincara la dose: «Penso a un governo provvisorio costituito da tre grandi Stati: la Repubblica Padana, la Repubblica dell’Etruria, la Repubblica del Sud». Concetto ribadito in un’altra famosa dichiarazione del professore leghista: «Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto. […] Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». Alla fine di quel febbrile 9 novembre parla anche il leader della Dc Mino Martinazzoli, i toni sono drammatici: «La proposta della Lega è antistorica e quando la storia va indietro la parola va alle armi».

Tra il 9 e l’11 novembre 1993 si svolge una particolarissima esercitazione militare: l’operazione «Ditex Superga Sette», una simulazione per verificare la tenuta delle strutture poste a salvaguardia della vita civile del paese in caso di emergenze esterne o interne che coinvolge prefetture, questure e militari. Una «innocua» pianificazione di risposta a un’ipotesi di guerra civile: la regione settentrionale, ricca e stabile, attaccata da quella meridionale, coacervo di forze instabili e povere.

Il Nord resiste all’attacco, i cattivi sono respinti «oltre confine». Il fatto è che l’esercitazione «segue» la proposta avanzata dalla Lega Nord, in particolare da Miglio e Speroni, che prevede la secessione, la formazione di un governo provvisorio e la costituzione di tre microstati: la Padania, l’Etruria e la Repubblica del Sud.

L’ «innocua pianificazione» prevede dunque uno scenario relativo a un’aggressione al Nord da parte di forze armate del Sud e che l’obiettivo della «manovra» sia quello di «respingere oltre confine» gli «invasori» sudisti.

Ma, incredibilmente, quando l’esistenza di «Ditex Superga Sette» diviene pubblica, è proprio la Lega Nord a stracciarsi le vesti e a parlare con inusitata violenza della minaccia di un colpo di Stato, anziché, come appare evidente, di prove tecniche di guerra civile, conseguenza di una divisione del paese potenzialmente conforme alla sua proposta politica.

Roberto Maroni, capogruppo leghista alla Camera dichiara: «O si è trattato della simulazione del golpe, perché non hanno avvisato le autorità civili (solo Prefettura e autorità militari) e allora i ministri della Difesa e dell’Interno, Fabbri e Mancino, devono andarsene a casa. Oppure, se non è così, c’è da rimpiangere che siano stati chiusi i manicomi criminali».

Siamo arrivati così all’11 novembre, il presidente Scalfaro riceve il primo ministro Ciampi. Finisce l’esercitazione e istantaneamente tutto cambia: la Lega torna a una posizione più ragionevole, si dedica alla campagna elettorale e usa toni meno allarmanti.

Il 23 novembre, Silvio Berlusconi, a Casalecchio di Reno (Bo), durante l’inaugurazione di un ipermercato, dichiara ai giornalisti che «se il centro moderato non dovesse organizzarsi, non potrei non intervenire direttamente, mettendo in campo la fiducia che sento di avere da larga parte della nostra gente». Il 25 novembre nasce l’Associazione nazionale dei club di Forza Italia, strettamente legata alle aziende facenti capo a Fininvest, con la sede in viale Isonzo a Milano.

Il Governo Ciampi si dimette nel dicembre del 1993. Elezioni anticipate il 27 e 28 marzo 1994.

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* http://www.cadoinpiedi.it 3 Aprile 2011

Colpo di Statoultima modifica: 2011-04-10T00:09:00+02:00da iskra2010
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