Pisapia e Afghanistan

Per i civili colpiti dai militari degli eserciti imperialisti? Nessuna parola da parte del sindaco “progressista”?

Sono certo che tra Milano e Napoli oggi si stia meglio a Napoli, almeno politicamente.

Saluti comunisti

Andrea

  

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BALLOTTAGGIO, PRIME PAROLE PISAPIA PER MILITARI FERITI IN AFGHANISTAN

 

Prime parole da sindaco per i militari coinvolti nell’attentato in Afghanistan per Giuliano Pisapia. Il nuovo sindaco è stato accolto al teatro dell’Elfo accolto dal grido “Vai Giuliano, libera Milano.  Pisapia ha esordito davanti a suoi sostenitori rivolgendo “un pensiero ed un abbraccio ai militari colpiti in Afghanistan”.(Omnimilano.it)

 

(30 Maggio 2011 ore 17:41)

Pisapia e Afghanistanultima modifica: 2011-06-02T02:11:00+02:00da iskra2010
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Un pensiero su “Pisapia e Afghanistan

  1. Cari compagniGiuliano Pisapia, come potete leggere dall’articolo de la Repubblica, qui sotto riportato, è stato il difensore di Robert Vanetucci, uno dei mandanti dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli.Credo che un avvocato abbia la possibilità di poter accettare o respingere la difesa di certi clienti.C’è una certa propensione per i Pisapia, come famiglia di penalisti, a favorire riforme dei codici vantaggiose per i poteri forti: il padre Giandomenico ha riformato il codice penale introducendo quei tecnicismi made in USA utili per garantire ad avvocati come Ghedini e Pecorella di avere una giustizia classista per garantire la miglior difesa possibile a clienti come Berlusconi, Previti. Ovviamente quella riforma classista del codice era condivisa dal figlio Giuliano che è difensore di De Benedetti, di società inquinatrici del gruppo Marzotto, di Scientology ecc.Giuliano Pisapia ha proposto l’abolizione del 41 bis, come chiesto da tutte le mafie del nostro Paese e la separazione delle carriere come dice il Piano di Rinascita della Loggia massonica P2 del venerabile Licio Gelli, per legare mani e piedi dei PM al potere economico-politico, togliendogli ogni autonomia e l’obbligatorietà dell’azione penale.Cari compagni di Milano è evidente che senza mettere in discussione la finta democrazia nata con il sistema maggioritario e con l’introduzione del Titolo V, si è di fatto smantellata gran parte della nostra Costituzione nata dalla Resistenza. I candidati sono frutto di quella finzione mediatica, prodotta dai sistemi di comunicazione capitalistici, che sono le primarie. Candidati che sono calati dall’alto dai vari anticomunisti come Piero Bassetti della Trilaterale, dai Romiti dei 14 mila licenziamenti alla Fiat ed anche da CL basta leggersi Vita il loro giornale che opera nel terzo settore. Chi impedisce, con le primarie, a quelli del centrodestra di andare a votare per il candidato sindaco più confacente ai loro bisogni politici?Se non ci riprendiamo la Costituzione del 1948 e il sistema proporzionale puro, passeremo sempre dalla padella alla brace, con l’unico risultato di alimentare delusione, creare qualunquismo e favorire quindi culture e movimenti reazionari.A Milano io avrei proposto: Renzo Canavesi o Corrado Delle Donne, due compagni che la lotta contro i capitalisti e le mafie la fanno da sempre, senza se e senza ma. Sarebbe stato un vero segnale di discontinuità.Compagni che seppero rifiutare 1 miliardo e 600 milioni da parte della Fiat e non hanno mai tentennato nella loro azione sindacale e politica nonostante pesanti minacce alla propria persona.Saluti comunistiRoderigo III di Castiglia________________________________________________________ERGASTOLO PER VENETUCCIla Repubblica — 06 marzo 1987 pagina 16 sezione: CRONACAMILANO – Robert Venetucci se ne sta in piedi dentro la gabbia dimesso e impenetrabile come sempre.Capisce poco l’italiano, e niente del tutto l’ italiano giudiziario della sentenza che il presidente della Corte d’Assise d’Appello sta leggendo. E’ uno dei suoi avvocati, Giuliano Pisapia, a comunicargli scuotendo la testa che anche questa volta è andata male. Ergastolo, ha confermato il processo d’ appello, per l’ omicidio di Giorgio Ambrosoli. Non c’ è giustizia in questo paese commenta Venetucci a dentri stretti, con la sua voce baritonale, porgendo i polsi ai ferri . Quelli che hanno fatto questa cosa sono fuori, liberi per la strada.Ma chi sono? Venetucci ha gli occhi lucidi, e scuote la testa: Non lo so, io non so niente di Ambrosoli. Io sono innocente di questa accusa. Sono le dieci e quaranta, e l’ aula si svuota in fretta. La sentenza stilata in tre giorni di camera di consiglio conferma in pieno, salvo alcune leggere diminuzioni di pena, il verdetto di primo grado sugli anni più foschi dell’ epopea sindoniana, quelli seguiti al crack, quelli delle intimidazioni mafiose, delle manovre occulte e dell’ assassinio. Morto Sindona, ucciso dal cianauro nella maniera misteriosa e spettacolare che si conosce, il suo complice Robert Venetucci è rimasto solo ad affrontare l’ergastolo. Degli altri imputati, soltanto il vecchio Luigi Cavallo, il giornalista primattore di mille intrighi, èvenuto ad ascoltare la sentenza. Tre anni e due mesi per lui, che è a piede libero, contro i quattro anni del primo verdetto. Protettori politici Minime le variazioni anche per gli altri. Piersandro Magnoni, genero di Sindona, è stato condannato a tre anni e mezzo: uno sconto di sei mesi. John Gambino, il boss mafioso di New York, ha avuto quattro anni e mezzo: diciotto mesi in meno. Francesco Fazzino, uno di quelli che andarono a incendiare la porta di casa a Enrico Cuccia, s’è visto ridurre la pena da cinque anni a tre anni e mezzo. Posizioni marginali le loro, tutto sommato. La Corte d’ Assise d’Appello ha confermato poi la condanna a tre anni inflitta a Roldolfo Guzzi, l’ex-legale di Sindona, e quella a due anni e mezzo per Maria Elisa, figlia del banchiere. Ha resistito quindi, nei due grandi giudizi, la ricostruzione che il sostituto procuratore Guido Viola e il giudice istruttore Giuliano Turone misero insieme con un’inchiesta lunga e puntigliosa.Giusto un anno fa, il 18 marzo, la Corte d’Assise condannò Michele Sindona e Robert Venetucci all’ergastolo per l’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore che lavorando sul crack della Banca Privata Italiana aveva messo a nudo gli intrighi e le truffe del finanziere. E che, soprattutto, si era opposto nella maniera più ferma ai tentativi di accomodamento, ai progetti disalvataggio che Sindona stava orchestrando con l’ aiuto dei suoi protettori politici, Giulio Andreotti in testa.La morte ha tolto di scena i due protagonisti. Prima William Joseph Arico, il killer mafioso che la notte dell’11 luglio 1979 sparò tre colpi di 357 Magnum contro Ambrosoli. Arico morì tentando di evadere dal Metropolitan Correctional Center di Manhattan: precipitò mentre si calava da una finestra insieme con un trafficante di cocaina. Una morte strana, mai chiarita. La sua morte, però, tolse il vincolo del segreto sulle rivelazioni che Arico aveva fatto dopo l’ arresto, in un tentativo di patteggiamento con le autorità mai andato in porto. Cordoglio per i familiari Ai magistrati americani Arico aveva confessato di aver ucciso Giorgio Ambrosoli su incarico di Michele Sindona. Il tramite fra i due era stato Robert Venetucci, un italoamericano con il quale Arico lavorava. Le confessioni del killer costituivano la conferma di quello che un pentito, Henry Hill, aveva già raccontato ai giudici. Hill aveva detto di aver raccolto in carcere le confidenze di Arico sull’omicidio Ambrosoli. Sindona e Venetucci hanno sempre negato. Il primo, fino alla morte nel supercarcere di Voghera, nella sua maniera torrenziale, ipotizzando congiure nei propri confronti, ribaltando sospetti sul suo ex-braccio destro Carlo Bordoni. Il secondo con il silenzio. Dapprima un silenzio totale, in istruttoria,per evitare che la sua voce potesse essere riconosciuta come quella dell’ignoto picciotto che aveva minacciato Enrico Cuccia. Tentativo fallito, perché ad accusarlo di quell’episodio era venuta la deposizione di un poliziotto americano e dello stesso figlio di William Arico, che era presente e aveva anche lui minacciato Cuccia da una stanza dell’Holiday Inn. Ma anche durante i due processi Venetucci s’è rifiutato di entrare nei particolari della faccenda. Ha risposto laconicamente alle domande della Corte, protestandosi innocente. Morto Sindona ci si aspettava che almeno al processo d’appello aprisse qualche spiraglio, mostrasse di voler, se non confessare, almeno dare un contributo al chiarimento degli aspetti ancora dubbi della vicenda. Ma non è stato così. Venetucci, con la sua solita espressione impenetrabile, ha detto di non aver niente da aggiungere. Prima che i giudici entrassero in camera di consiglio ha espresso cordoglio per i familiari di Giorgio Ambrosoli. Troppo poco, ha decretato la Corte, anche per una sola attenuante. – di FABRIZIO RAVELLI

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