Contributi per incontro nazionale sabato 2 luglio

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In allegato tre contributi per il dibattito di sabato prossimo.

 

1) La risoluzione finale della precedente assemblea nazionale svoltasi a Livorno a gennaio

2) La risoluzione finale del convegno “I comunisti e la questione sindacale” svoltosi a Napoli a febbraio

3) Un contributo e proposte al dibattito sulla questione teorica e culturale di Sergio Manes

 

Fate circolare

 

Ci vediamo sabato!

 

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INCONTRIAMOCI A ROMA SABATO 2 LUGLIO 2011 ore 9. 30

c/o circolo ARCI “Centofiori”, via Goito 35/b ROMA (Stazione Termini)

 

Comunisti, insieme per l’opposizione di classe e l’alternativa di sistema

 

Ricostruire e rifondare il partito comunista – Rilanciare la sinistra anticapitalista

– Costruire un vasto fronte di resistenza alla crisi – Basta politiche governiste

 

Alcune compagne e compagni critici del PRC, del PdCI, il movimento dei Comunisti Uniti e altri della diaspora diffusa nel paese promuovono un incontro nazionale delle comuniste e dei comunisti ovunque collocati che riprenda il confronto unitario iniziato con l’assemblea di Livorno dello scorso gennaio.

 

Preso atto che i comunisti oggi sono sparsi in molte organizzazioni differenti, e che tantissimi sono ormai quelli “senza tessera” disillusi dai percorsi politici che abbiamo attraversato, pensiamo sia sempre più urgente un confronto e un’iniziativa dal basso che dia un segnale di “unità utile” alla prospettiva di ricostruzione di un Partito Comunista degno di questo nome e all’altezza dello scontro di classe oggi.

 

Questa per noi è l’unità nella lotta, nella costruzione di un’opposizione di classe contro le politiche antipopolari dei governi siano essi di centrodestra che di centrosinistra, contro il fascismo, contro le politiche liberiste della UE e contro le guerre imperialiste.

 

Per fare questo dobbiamo recuperare la nostra autonomia e non ripercorrere gli stessi errori (governismo e subalternità alle compatibilità) che ci hanno condotto alla attuale frammentazione e crisi di radicamento tra i lavoratori dipendenti, i precari, i pensionati, le donne, gli immigrati e tutte le fasce più fortemente colpite da questa crisi strutturale del sistema dominante.

 

Per favorire questo processo dobbiamo contribuire alla ricostruzione di un blocco sociale che sia antagonista agli interessi del capitalismo oggi.

 

Infatti, davanti a noi abbiamo una devastante crisi economica. Non è una semplice crisi finanziaria e nemmeno una normale crisi ciclica ma – su questo c’è ormai un consenso generalizzato, nonostante la propaganda dell’economia politica – una crisi più profonda e “di sistema”; probabilmente la crisi più grave di valorizzazione del capitale da molti decenni a questa parte.

I segnali di ripresa del conflitto sociale di questi ultimi mesi sono molteplici. La reazione operaia contro il Piano Marchionne; gli scioperi che hanno caratterizzato la risposta del lavoro salariato all’attacco di Governo, Confindustria e BCE; il moltiplicarsi delle lotte dei precari contro la crisi e l’austerity; l’esito delle ultime amministrative che ha visto non solo la sconfitta pesante delle giunte di destra ma anche il successo di liste e candidati identificati come elementi di discontinuità con gli apparati del PD; l’enorme successo della mobilitazione popolare referendaria che marca una forte inversione di tendenza all’egemonia ultradecennale dell’ideologia del libero mercato e del “privato è bello” che continua a caratterizzare molte politiche locali sia del centro-destra che del centro-sinistra.

 

Certo come comunisti non ci illudiamo. Ancora lunga è la strada nella ricomposizione di questo nostro blocco sociale di riferimento su una prospettiva anticapitalista, per un’alternativa di sistema e non per una mera alternanza di governo. Ed è forte il pericolo che questi movimenti siano ricondotti nell’alveo delle compatibilità e utilizzati nuovamente come massa di manovra elettorale per sostenere nuove suicide esperienze governiste. Ancora oggi infatti sembra che, anche nel campo comunista, ci sia chi non vuole cogliere questi segnali di resistenza e si propone di ripetere autisticamente gli errori del recente passato auspicando una nuova Unione anti-berlusconiana con quel PD che sta cercando in tutti i modi un’alleanza al centro col Terzo Polo.Aprendo così magari la strada ad un governo tecnico o di “unità nazionale” per fare le riforme “urgenti” per il padronato europeo in maniera condivisa e pacificata. Ossia che massacri, con largo consenso e con un nuovo patto sociale, i salari ed i diritti residui di lavoratori, precari e pensionati a basso reddito.

 

Ma tante comuniste e comunisti, indipendentemente dalla loro attuale collocazione, non la pensano in questo modo e devono urgentemente dotarsi di una piattaforma e di una prospettiva comune per:

 

– contribuire ad un vasto fronte di resistenza sociale alla crisi;

– costruire una prospettiva di uscita dal capitalismo (e non diventare ancora un suo puntello a sinistra);

– porre le basi per la ricostruzione di un soggetto politico che persegua coerentemente una linea di classe in questa direzione: il Partito Comunista.

 

Questa è l’unità utile a cui ambiamo ed il terreno di coltura per la ricomposizione in un Partito per tutti i comunisti ovunque collocati.

 

Non possiamo proclamare un nuovo ennesimo partitino, ma abbiamo bisogno di riprendere insieme la strada verso un grande Partito Comunista. Questo non può esser fatto per “decreto” né tantomeno dalla semplice sommatoria dei frammenti che compongono l’arcipelago comunista.

 

Per proseguire questo percorso, cominciare a decidere delle campagne politiche e una piattaforma comune proponiamo a tutti/e i/le compagni/e, alle forze comuniste e anticapitaliste e a tutte le realtà interessate un

 

INCONTRO NAZIONALE

delle comuniste e dei comunisti ovunque collocate/i

 

SABATO 2 LUGLIO 2011 ore 9. 30

c/o circolo ARCI “Centofiori”, via Goito 35/b ROMA (Stazione Termini)

 

L’incontro durerà tutta la giornata e alternerà due sedute plenarie e tre tavoli tematici per affrontare meglio risoluzioni comuni e delle proposte concrete:

 

1) la questione politica: percorsi per la ricostruzione del Partito Comunista; alleanze, sinistra anticapitalista ed elezioni; congressi PRC e PdCI e relazioni tra le aree comuniste;

2) la questione sindacale e la relazione coi movimenti: sindacato di classe e linea dei comunisti nei sindacati; fronte di resistenza alla crisi e blocco sociale; movimento referendario e lotte sociali; antifascismo e movimento contro le basi e la guerra;

3) la questione teorica e culturale: coordinamento degli strumenti di comunicazione; formazione quadri e pubblicazioni; iniziative editoriali e divulgative.

 

DIVULGATE QUESTO INVITO A CHI POTREBBE ESSERE INTERESSATO E COMUNICATECI LA VOSTRA PARTECIPAZIONE COSI’ CHE POSSIAMO ORGANIZZARE AL MEGLIO I LAVORI DELLA GIORNATA.

 

Per adesioni e informazioni: comunistinsieme@inventati.org

 

1) ASSEMBLEA di Livorno – 29 Gennaio 2010    RISOLUZIONE FINALE

      A 90 anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia, la drammatica crisi economica, il pesante attacco ai diritti, alla democrazia e alle condizioni di vita di milioni di persone, ripropongono l’attualità del comunismo e la necessità di ricostruire un Partito Comunista e di riaggregare una sinistra anticapitalista, costruendo un ampio Fronte di realtà sociali e politiche, capace di delineare una alternativa e dare rappresentanza ai diversi soggetti ed al movimento di lotta che anche il 28 Gennaio si è espresso con forza nello sciopero generale indetto dalla Fiom e dal sindacalismo di base.

            Dal dibattito e dagli interventi che hanno sviluppato i temi proposti nella convocazione e nella introduzione di questa assemblea, sono  emerse le seguenti esigenze:

  • agire per unire, collegare e salvaguardare le energie conflittuali, le militanze di compagni/e ovunque collocati/e, sia nei partiti comunisti della FdS e sia nelle altre organizzazioni;
  • difendere le comunità resistenti e le esperienze politiche, in particolare quelle di base, mettendo in contatto le diverse realtà critiche presenti nel paese, ancora scollegate e frammentate;
  • sviluppare tavoli di confronto permanenti tra tutte le esperienze comuniste ed anticapitaliste, sociali e politiche, disponibili ad una ricerca e ad un lavoro collettivo rigorosamente sul terreno dei contenuti, delle analisi e delle concrete esperienze nelle lotte sociali, convergendo su battaglie  e campagne comuni per costruire un processo di riaggregazione su contenuti di classe.

      Per fare questo  dobbiamo rafforzare, monitorare e collegare la presenza dei/lle compagni/e, dei circoli e sezioni di PRC e PdCI, delle varie forze e realtà comuniste nel conflitto sociale, agendo in maniera dialettica (impegno diretto, proposta, sintesi e orientamento politico nei/dei movimenti) con la necessaria chiarezza e coerenza tra impegno sociale e rappresentanza politico-istituzionale, per evitare contraddizioni che spesso rischiano di distruggere la credibilità dell’iniziativa politica.

      Va inoltre riaffermata la necessità di un partito comunista di quadri con un radicamento di massa, riempiendo questa enunciazione di contenuti concreti. C’è bisogno di una riflessione di fondo su questioni centrali come la linea politica, la democrazia interna, la forma partito, il contrasto alla formazione e alla separatezza dei ceti politici, la critica alla “doppiezza”, all’istituzionalismo, al governismo così come al settarismo dogmatico.

      Occorre altresì, una adeguata formazione teorica e pratica, la centralità del conflitto capitale/lavoro, una seria rielaborazione della questione giovanile e della questione meridionale, della differenza di genere, del rapporto tra ambiente e contraddizione di classe, del senso della militanza, della funzione indispensabile dell’opposizione, della gestione delle risorse, del diritto di cittadina agli immigrati. In evidenza la critica al federalismo e all’Europa della BCE e della moneta.

Per questo riteniamo si debba attuare una rottura con le politiche del polo imperialista della UE in sintonia con le battaglie dei comunisti greci e portoghesi, di pari passo con l’uscita dell’Italia dalla Nato e/o la fuoriuscita della Nato dall’Italia.

      Dobbiamo superare da comunisti, i limiti della sinistra italiana sulla questione dell’internazionalismo, utile a tal fine, è il lavoro di relazione e di studio per la solidarietà e l’unità tra partiti e movimenti, che sappia adeguatamente contrastare le manovre del capitale su scala planetaria.  Un altro elemento è il contrasto alla gestione del potere statale nelle  forme populiste e fasciste messe in campo dal capitalismo, la sua articolazione nei Paesi occidentali, al fine di elaborare strategie per la sua disarticolazione e dissoluzione. 

            Fermo restando la funzione storica e sempre attuale del Partito, una priorità assoluta ricopre il lavoro di riaggregazione di una sinistra anticapitalista, antagonista alle destre e alternativa al PD, unita su programmi e obiettivi concreti, al fine di fondare un ampio Fronte di realtà sociali e politiche presente nei luoghi del conflitto, con l’obiettivo di ricostruire una rappresentanza autonoma e indipendente della classe e favorire la costituzione di un Blocco Sociale antagonista agli interessi del capitalismo, con particolare attenzione alla necessità di ricostruire su precisi contenuti un sindacato democratico e di classe. Per questo va pianificata una decisa opposizione alla concertazione e al patto sociale, impegnandoci per la proclamazione dello sciopero generale. 

            Su obiettivi chiari e prioritari, ci impegniamo a dispiegare un lavoro capillare, realizzando una convergenza e un coordinamento nazionale articolato a livello territoriale, tra tutte le realtà comuniste e anticapitaliste interessate, ovunque collocate, per dare un concreto segnale di riaggregazione e di contrasto alla frammentazione, per riprendere un confronto politico-teorico e un lavoro comune sui temi e nelle lotte che caratterizzano lo scontro di classe in questa fase (lavoro, diritti, ambiente e territorio, beni comuni, antifascismo, antirazzismo, internazionalismo), per contribuire alla formazione di un ampio fronte di resistenza alla crisi e rafforzare la presenza dei comunisti nei luoghi di lavoro e nei conflitti sociali.

 

 

2) I comunisti e la questione sindacale

Napoli, 5 febbraio 2011

 

Il compito dei comunisti non è soltanto di difendere i diritti dei lavoratori o rivendicare una più equa redistribuzione del reddito, ma di impedire che quella ridefinizione dei rapporti sociali e politici continui ad essere sfavorevole alla classe lavoratrice. Pensiamo che per fare questo occorra prioritariamente mettere in collegamento, far confrontare e organizzare le avanguardie comuniste presenti nel sindacato e nei luoghi di lavoro. E’ quindi necessario mettere mano all’unico strumento veramente efficace per tutto questo e che manca ormai da troppi anni: un Partito Comunista degno di questo nome ed all’altezza dei compiti della fase. Non solo un Partito Comunista che possa unire, ma soprattutto in cui tutti i comunisti possano riconoscersi e vedere una prospettiva al di là della mera sopravvivenza.

Oggi nelle fabbriche, nei call center, nella grande distribuzione, nelle cooperative sociali, come in altri luoghi di lavoro, esistono situazioni diversificate dovute alle tante tipologie contrattuali che hanno lo scopo di rendere il lavoro e la vita precaria, determinando il totale asservimento dei dipendenti alle logiche di impresa. Questo ha provocato la frammentazione dei lavoratori e la loro potenziale e costante contrapposizione.

Il tema del sindacato, dello snaturamento della sua funzione, della sua progressiva istituzionalizzazione, della continuità con un sistema di relazioni concertative, sembra essere l’unico motivo di tutto quello che sta accadendo. Ma non possiamo pensare che un soggetto quale il Sindacato, che per sua natura ha funzione di contrattazione e mediazione per condizioni favorevoli a tutto il lavoro salariato, possa essere la causa di tutto ciò. E, di contro, non è possibile che l’inizio di una nuova stagione conflittuale, nelle condizioni citate, possa risolvere tutti problemi. Non possiamo riversare che il vuoto della risposta politica e di classe possa essere stato causato unicamente da linee sindacali errate. E allo stesso modo non possiamo pensare che questo vuoto venga colmato da una linea sindacale eventualmente corretta.

È sicuramente vero che la degenerazione sindacale, anche morale, ha prodotto la sfiducia, provocando la perdita, indispensabile per un Sindacato della forza per essere controparte, riducendosi sempre più a centro di servizi, ma non possiamo addebitare al sindacato la responsabilità del fatto che in questo paese non c’è più una politica capace di risvegliare passioni ed entusiasmi attorno ad un progetto di trasformazione radicale della società. Possiamo dire che le nuove generazioni, ma anche quelle precedenti, siano cresciute e stiano seguendo modelli dettati dal potere reazionario ed economico.

La Fiom, grazie alla battaglia che, non da sola, sta conducendo in questi ultimi tempi, viene avvertita come ultimo baluardo di democrazia e di difesa dei diritti. C’è, da parte di tanti altri sindacati extraconfederali, un’azione simile, una battaglia talvolta anche più dura. Ma non si riesce ad unire la lotta nemmeno verso uno sciopero generale di tutti i principali sindacati che rappresentano la classe. La risposta che è solo per la resistenza della Cgil non è sufficiente. Esiste una condizione sfavorevole dal punto di vista della cultura dominante e della consapevolezza diffusa tra le lavoratrici ed i lavoratori. E d’altra parte sarebbero i lavoratori stessi, se consapevolmente convinti, a spingere le loro organizzazioni verso la mobilitazione generale. E in piccola parte questo sta avvenendo, ma purtroppo è ancora il corporativismo, il ceto a prevalere sulla base.

I Comunisti devono battersi con fermezza e determinazione perché i sindacati assolvano sino in fondo il proprio ruolo. Devono quindi essere presenti, con avamposti organizzati e coordinati tra loro, in tutti i sindacati in cui è utile difendere le condizioni, i diritti ed in ultima analisi il salario della classe lavoratrice. Lotte di questo tipo e l’esistenza di sindacati più radicali, possono creare un clima propizio per la modifica dei rapporti di forza col padronato e tendenzialmente anche sul piano politico nei confronti dei nostri nemici di classe. Una classe attiva nel sindacato guadagna spazio, visibilità, fiducia in sé stessa, e crea oggettivamente le migliori condizioni per la crescita dei comunisti.

Del resto, la coscienza sindacale, la volontà cioè del lavoratore di difendere collettivamente posto e salario, costituisce il primo gradino necessario, ma non sufficiente, per una presa di coscienza politica: la comprensione che nella società capitalista e la lotta per difendere lavoro e salario non avrà mai fine se non si lotta per una società nuova. Da una massa di lavoratori privi di coscienza sindacale non ci si può aspettare in alcun modo una coscienza più avanzata di carattere politico.

Militare nei sindacati di massa è utile ai comunisti per “tenere i piedi per terra”, per tenere il polso della propria classe, misurandone anche l’eventuale grado di arretratezza ideologica e politica e per influenzarne larghi numeri. I comunisti, ovviamente, lottano contro ogni limitazione della libertà di organizzazione sindacale, contro ogni tutela e controllo da parte dello Stato, dei capitalisti, della Chiesa e dei partiti della classe dominante. Inoltre considerano una priorità assoluta costruire sindacati in tutti quei settori della classe lavoratrice che ne sono privi e si impegnano a ricostruirli dalla base quando questi vengono distrutti. Non solo. Laddove la deregolamentazione e la sottomissione completa del mercato del lavoro alle esigenze del rilancio del processo di accumulazione capitalistica impone condizioni lavorative nuove, i comunisti devono provare tutte le strade più adeguate anche se non sono quelle classiche. La crisi ed il processo di delocalizzazione, decentramento, precarizzazione e esternalizzazione dei processi produttivi ha portato a estendere il peso della sottoccupazione e a imporre una manodopera estremamente flessibile. Mentre prima avevamo sostanzialmente una forma contrattuale classica, la disoccupazione e il lavoro nero oggi le forme dello sfruttamento salariato hanno allargato una fascia di generazione precaria che coinvolge milioni di persone tra lavoratori cosiddetti atipici, a tempo, immigrati, ecc…

La crisi fa comprendere meglio come la condizione di “precarietà” in realtà sia una condizione “tipica” del capitalismo da sempre che “garantisce” una vita dignitosa solo in subordine alle proprie esigenze di accrescere i profitti.

Quindi questi lavoratori possono e debbono essere organizzati nella lotta nello stesso sindacato assieme ai propri colleghi con contratti a tempo indeterminato per una unica lotta che stabilizzi e unifichi salario e diritti. E già questo piano apparentemente semplice da comprendere i sindacati tutti stentano a perseguirlo. In altri casi, poi, questi lavoratori sono eccessivamente dispersi, individualizzati nel rapporto di lavoro e inquadrati con un lavoro falso autonomo che li esclude dalle tutele sindacali di legge. Se non si cercano strade, a volte da sperimentare, che facciano convergere queste differenti forme in un’unica lotta, l’indignazione e la sete di dignità che molti di questi lavoratori intermittenti provano rischiano di trasformarsi in divisioni interne alla classe.

I comunisti devono cercare – in ogni condizione data – di trasformare la sete di dignità in un progetto di società differente oltre ogni confine di contratto, di categoria o di nazionalità.

Le vicende della lotta di classe hanno fatto sì che si sedimentassero in ogni Paese diverse organizzazioni sindacali. La frammentazione è particolarmente accentuata in Italia. In queste condizioni si pone il problema di quale organizzazione i comunisti debbano scegliere per investire le proprie energie. Secondo noi i criteri di scelta non devono in alcun modo dipendere da una linea più “radicale” di un sindacato rispetto a un altro. Come abbiamo visto la linea sindacale dipende largamente dallo stato della coscienza delle masse oltre che dalla posizione dei propri dirigenti. I comunisti devono scegliere il sindacato che a partire dal proprio posto di lavoro, poi dalla propria categoria e quindi dall’insieme della classe lavoratrice, permette loro di stare più a contatto con le larghe masse. Ciò può significare in molti casi militare in sindacati apertamente concertativi e neo-corporativi, a patto che non si perda mai la direzione verso un progetto comune di tutti i comunisti, se questi raccolgono la massa dei lavoratori di una certa fabbrica, o categoria, o classe.

Così come può significare il dover cercare altre strade di organizzazione dei lavoratori nei settori “atipici” (lavoratori intermittenti, immigrati, ecc…) dove gli strumenti classici non riescono ad arrivare. Ne deriva che i comunisti non devono coltivare alcuna adesione “politica” o identificazione sentimentale con il sindacato al quale appartengono. Non alimenteranno in alcun modo lo spirito di corpo, la divisione tra sigle, il patriottismo organizzativo ed altri sentimenti che, pur comprensibili, non fanno altro che aumentare il settarismo tra sindacati e la divisione delle lotte. L’identificazione completa dei comunisti con un certo sindacato è frutto della frustrazione, del disorientamento e della perdita incipiente di identità politica nonché della capacità di incidere nei processi reali della lotta di classe.

I comunisti devono lottare instancabilmente per l’unità della classe lavoratrice e il lavoro nei sindacati deve tendere a favorirne le condizioni. Questa lotta può prendere varie forme a seconda della congiuntura e delle condizioni ambientali. All’interno del posto di lavoro significa privilegiare sempre l’azione degli organismi di rappresentanza eletti dai lavoratori (in Italia le RSU ma anche i comitati spontanei di lotta e sciopero) rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali o a quelle imposte dai vertici burocratici. Nella categoria significa ricercare instancabilmente occasioni di lotta unitaria tra sigle diverse rifiutandosi di avallare scelte suicide come l’indizione di scioperi in date diverse per la stessa vertenza. E’ meglio un’unica manifestazione con piattaforme diverse che diverse manifestazioni, perché questo solo fatto disorienta e demoralizza i lavoratori e ringalluzzisce i nostri nemici di classe. Quando la frammentazione non è all’interno del proprio posto di lavoro ma tra una categoria e l’altra, i comunisti devono battersi per superare i confini di categoria e fondare camere del lavoro, coordinamenti e istituti di lotta dove siano rappresentati tutti i lavori. A livello dell’intera classe i comunisti devono lottare strategicamente per l’unificazione di tutte le organizzazioni sindacali verso un Sindacato di classe. Più linee sindacali possono convivere all’interno della stessa sigla sindacale e confrontarsi liberamente dividendo gli spazi in maniera proporzionale al consenso.

Anzi, come elemento di contrasto della divisione tra sigle e categorie e terreno di coltura per un vero sindacalismo di classe, le comuniste ed i comunisti devono favorire il collegamento sempre più esteso dei lavoratori attraversi istituti consiliari e assemblee autoconvocate che, nelle condizioni dell’attuale contesto del mercato del lavoro, sfuggano al controllo di questa o quella sigla sindacale. Anche al di là delle volontà dei propri sindacati, occorre ripartire dalle “piattaforme unitarie” che dentro il movimento dei lavoratori diano un’anima ricompositiva, ovunque ci siano gli elementi del conflitto, sui punti più avanzati, aggregativi, di ricostruzione della capacità assembleare di decidere insieme e via dicendo, cercando di andare a riflettere anche sulla composizione sociale di questi punti avanzati di conflitto. Un sindacalismo di classe che oggi, necessariamente, ha una sola anima conflittuale ma due gambe organizzative (nella FIOM e nella sinistra CGIL da un lato, nel sindacalismo di base dall’altro).

E’ la risposta di unità dal basso, spesso incompatibile con i limiti imposti dal padronato, contrapposta a quella tra le burocrazie sindacali, spesso utile alla compatibilità (vedi nuovo Patto Sociale). Insomma, il Sindacato di classe resta la forma più alta di organizzazione e di resistenza all’interno delle leggi del capitalismo; il Consiglio rimane la forma più incompatibile di organizzazione contro il capitalismo (e in determinate condizioni, come dimostrò Lenin, la base per lo sviluppo di un nuovo modello economico-sociale “oltre” il capitalismo); il Partito la forma più alta di organizzazione per combattere il capitalismo ed avviare una radicale trasformazione sociale.

A ognuno il suo compito. Ai comunisti quello di legare il tutto con una linea politica coerente.

 

3) Senza teoria rivoluzionaria, niente partito rivoluzionario

 

Sergio Manes, direttore editoriale delle Edizioni “La Città del Sole

 

La rottura della “catena imperialistica” nel suo punto più debole e l’instaurazione del potere sovietico, seppure nell’immaturità delle condizioni strutturali, avevano avviato una stagione eroica di lotta e di sperimentazione di una transizione verso il socialismo. Alla metà degli anni ’50 il confronto con l’imperialismo fu spostato dal piano della lotta politica a quello della competizione economica: svuotato dei suoi valori e delle idee forza, sempre più incapace di utilizzare le proprie categorie per interpretare e trasformare la realtà, in oggettiva difficoltà nel forzare ulteriormente le leggi ferree dell’economia – ancora allora caratterizzate dai rapporti di produzione e di scambio del capitalismo –, il comunismo novecentesco conobbe da allora una lunga e penosa deriva involutiva in cui al decadimento politico verso l’opportunismo è corrisposto nel tempo il degrado culturale e il lento ma inesorabile distacco dal pensiero critico marxista. La perdita di egemonia, il crollo del “socialismo reale” e lo scioglimento di partiti comunisti furono l’esito di questo doloroso percorso di decadenza, paradossalmente proprio nel momento in cui il nuovo impetuoso sviluppo delle forze produttive cominciava a mettere definitivamente in crisi – a livello epocale e su scala planetaria – i vecchi rapporti di produzione.

In Italia – senza una capacità di autocritica e di analisi, senza una forte capacità propositiva all’altezza dei cambiamenti in atto, senza più strumenti teorici e ormai indifferenti alla formazione, sotto la direzione di gruppi dirigenti mediocri già incapaci di comprendere e contrastare il processo degenerativo – nel campo comunista si scelse il più piatto continuismo con il politicismo emergenziale e governista.

Lo sciagurato nuovismo bertinottiano, che mirava a “gettare il bambino con l’acqua sporca”, hanno poi consumato definitivamente il rapporto fiduciario con la classe e con le masse, estirpando i comunisti dalla realtà sociale e relegandoli, in posizione sempre più marginale e subordinata – finché è durata – nei soli ambiti istituzionali. L’incapacità di analisi e la mancanza di autonomia e di proposta hanno finito per disgregarli progressivamente anche sul piano organizzativo accreditando per un verso derive pragmatiche e opportuniste, per altro esasperando e moltiplicando scissioni politiciste e contrapposizioni settarie e personalistiche.

Le esigenze oggettive di una realtà in tumultuosa trasformazione, la condizione esangue di ciascun raggruppamento, il giudizio severo di militanti e masse (e, dunque, anche dell’elettorato), nonché la non sopita conflittualità sociale – che, tuttavia, si esprimeva autonomamente e in forme autorganizzate –, hanno imposto a tutti  un astratto bisogno di riaggregazione: la ricostruzione del partito comunista è oggi, al punto più alto della sconfitta, obbiettivo che tutti (o quasi) pongono all’ordine del giorno. Ma, naturalmente, senza un’autocritica, senza l’indispensabile recupero del pensiero critico marxista, senza proposte capaci di ricostruire un rapporto fiduciario con le masse lavoratrici, si rischia una pulsione “unitaria” piuttosto astratta – preda spesso del mero recupero di una visibilità istituzionale – che si manifesta in modo unilaterale, autoreferenziale, minoritario e settario rischiando di restare fatalmente nel regno delle buone intenzioni.

Nondimeno è il terreno ineludibile su cui i comunisti debbono misurarsi, a condizione di ripartire dal recupero di identità e autonomia culturale, dalla ricerca – teorica e sul campo – e dalla formazione per assicurare l’indispensabile cambio generazionale alla direzione del partito da ricostruire.

* * *

Non partiamo da zero: nonostante sottovalutazioni e indifferenze di tanti anni, pur se in solitudine, un grande lavoro è stato fatto sul fronte culturale che oggi è indispensabile ricondurre a unità e intersecare col processo di ricostruzione del partito. È possibile mettere in campo, “investire”, un grande patrimonio di potenzialità e opportunità che è stato accumulato e che esiste oggi – anch’esso –  in modo parcellizzato: fior di intellettuali (soprattutto giovani), associazioni e centri culturali, strutture bibliotecarie e archivistiche, case editrici, periodici, siti web e una concreta progettualità per il recupero delle categorie interpretative, per ricostruire una autonomia di pensiero e di proposizione, per formare una nuova generazione di quadri comunisti.

Questo impegno è stato giustamente indicato anche dai Comunisti Uniti e dai compagni critici presenti nel PRC e nel PdCI come uno dei tre terreni su cui deve essere concentrato lo sforzo di riunificazione dei comunisti.

Guai a sottovalutarlo nuovamente e a trascurarlo: nel degrado culturale è la radice del decadimento e solo il lavoro culturale può orientare la lotta sui terreni della politica e delle lotte di massa.

Partendo da noi, “La Città del Sole” di Napoli mette al servizio del processo di ricostruzione del partito le strutture e le relazioni di cui dispone per stimolare e realizzare una grande aggregazione con altre iniziative similari.

Invitiamo i compagni ad appropriarsi di questi strumenti e a proporre concreti percorsi di lavoro che li vedano protagonisti in prima persona.

Si tenga conto anche che sul piano della ricerca teorica, del dibattito e della formazione è possibile realizzare confronti e collaborazioni spesso ancora impraticabili in ambiti più direttamente politici: l’impegno sul terreno culturale può, dunque, essere propedeutico a rapporti e collaborazioni politiche più ravvicinate.

Il Centro Culturale

È, naturalmente, materialmente collocato a Napoli – in una grande sede in un palazzo monumentale del centro antico –, ma abbiamo in programma di renderne fruibili in rete i materiali e le attività. L’idea è di farne il primo snodo di una rete di analoghe strutture associazionistiche con cui costruire un vero e proprio circuito culturale nazionale. Speriamo di poter definire da subito intensi e concreti rapporti di collaborazione con organismi similari già esistenti e operanti, e a dare tutto il sostegno possibile alla formazione di nuove strutture. Avviare insieme percorsi di ricerca, aprire una stagione di rigorosi dibattiti sulle principali questioni dello scontro di classe, realizzare comuni programmi di formazione: sono attività irrinunciabili che è possibile e necessario realizzare.

Il Centro opera intorno ad una biblioteca – intitolata a Concetto Marchesi – di oltre 12.000 volumi e riviste, prevalentemente di filosofia, storia e politica. Sono presenti anche volumi in lingue diverse che costituiscono il fondo iniziale di una biblioteca internazionale a disposizione degli immigrati che sarà intitolata a Patrice Lumumba.

Disponiamo anche di una cineteca con centinaia di films ancora in via di catalogazione.

Tutti questi materiali – in copia elettronica o, quando presenti, quelle doppie – sono disponibili per incrementare fondi esistenti o crearne di nuovi. Obbiettivo è quello di arrivare nel tempo a costituire un grande centro culturale diffuso sul territorio e collegato in rete. Stiamo lavorando per andare a costituire, in questa direzione, una fondazione.

Recentemente abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Associación Nacional de Redes y Organizaciones Sociales (ANROS) per un intenso scambio di attività e iniziative culturali con organismi politici, culturali e accademici venezuelani.

 

L’Archivio storico del movimento operaio

Dispone di miglia di documenti, opuscoli, periodici e “materiale grigio” – prevalentemente sugli anni ’60 e ’70 – che, però vanno ancora in gran parte catalogati e ordinati.

 

Le Edizioni “La Città del Sole”

Hanno un catalogo attivo di circa 500 titoli, prevalentemente di filosofia, storia e politica. Operano per la ripresa del pensiero critico e annoverano tra gli autori intellettuali italiani e stranieri di grande prestigio, ma sono aperte soprattutto alla produzione di giovani autori.

Particolare attenzione è dedicata, naturalmente, alla riproposizione dei classici del marxismo e, in quest’ambito, ha ripreso la pubblicazione – in collegamento con il progetto MEGA2 tedesco – delle opere complete di Marx ed Engels interrotte dagli Editori Riuniti dopo l’uscita di 32 volumi sui 50 previsti. È di prossima pubblicazione una nuova edizione altamente qualificata del “Capitale” di Marx.

Pubblica regolarmente in lingua francese in coedizione con due importanti case editrici di quel paese. Prossime pubblicazioni in Francia sono due antologie, una di Gramsci e l’altra degli illuministi napoletani.

Stiamo lavorando alla traduzione e pubblicazione – per la prima volta – di Gramsci in lingua araba, in coedizione con un editore egiziano e con la cura di Samir Amin.

L’accordo con i compagni venezuelani dell’ANROS prevede una intensa collaborazione anche  sul piano editoriale con la pubblicazione in lingua spagnola e per la diffusione in tutta l’America Latina di classici del marxismo, a partire dalle opere di Gramsci.

Recentemente è stata presa in carico la pubblicazione della rivista “Marxismo oggi” con il preciso impegno di ristrutturarla e farne la rivista teorica marxista indispensabile al processo di ricostruzione del partito.

Intendiamo proporre e lavorare – insieme con i compagni concretamente impegnati in quelle lotte – alla realizzazione di un foglio di agitazione e dibattito di avanguardie e movimenti impegnati in ambito sindacale e sociale.

La casa editrice è cresciuta moltissimo e ha troppe concrete opportunità di ulteriori sviluppi per poter operare sulle attuali basi troppo anguste. È stato deciso, quindi, di andare ad un allargamento e ad un rafforzamento con la costituzione di una nuova società in cui possano affluire nuove risorse economiche e umane per adeguare la struttura alle nuove necessità di crescita.  Chiediamo a tutti compagni di partecipare – individualmente o i forma associata – a questo salto di qualità.

È, infine, possibile lavorare alla creazione nel tempo di un “polo editoriale” insieme con altre iniziative similari di area.

Anche in questa prospettiva, e in stretto collegamento con il circuito culturale da costruire, è concretamente possibile dar vita ad un circuito di diffusione militante della stampa comunista – come nella nostra passata tradizione – che avrebbe numerosi vantaggi: diffusione del pensiero critico, del punto di vista e delle proposte dei comunisti; contatto regolare con una platea di interlocutori “attivi”; autofinanziamento. Sarebbe possibile, infatti – e non solo da “La Città del Sole” – avere il 50% del prezzo di copertina delle pubblicazioni vendute. Questi introiti potrebbero, in una prima fase, anche essere finalizzati ad acquisire partecipazione alla nuova società.

 

Altri rapporti con i compagni venezuelani

Nell’accordo sottoscritto con l’ANROS è prevista anche la possibilità di realizzazione di alcuni particolari scambi “commerciali” tra il Venezuela ed enti pubblici italiani. È percorso ancora tutto da costruire, ma che potrebbe essere un importante fattore di definizione di interessanti e diversi rapporti politici internazionalisti di tipo solidale, ed anche fonte di introiti da reimpiegare nelle attività editoriali, culturali e politiche. 

 

Contributi per incontro nazionale sabato 2 luglioultima modifica: 2011-07-01T00:25:00+02:00da iskra2010
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