Crisi? Quale crisi?

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EDITORIALE. L’Unità dei comunisti – 27 luglio 2011 

 

Il numero completo alla pagina:

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La fase attuale è caratterizzata da una profonda crisi del sistema capitalistico nel suo complesso. Tale crisi è generata dalla sopravvenuta incapacità del mercato di valorizzare tutta la massa di capitali investiti e, conseguentemente, di smaltire l’enorme quantità di merci in eccesso. Il motivo fondamentale è dato dalla necessità, per il capitalismo, di massimizzare i propri profitti e procedere nell’accumulazione, senza soluzione di continuità, semplicemente per il proprio tornaconto e senza alcun tipo di razionalizzazione teso al benessere sociale. Questa crisi di sovrapproduzione è arrivata poi nel mercato finanziario che nel frattempo si era ingigantito in virtù dello spostamento di masse crescenti di capitale dagli investimenti industriali alla speculazione pura. Sostanzialmente di fronte ad un restringimento dei profitti dovuti alla crisi di valorizzazione di capitale in campo manifatturiero, i capitalisti hanno gonfiato un’enorme bolla speculativa fatta di quantità enormi di denaro che non hanno ricadute immediate nella produzione materiale. E’ chiaro quindi come questo castello sia fragile, ma per i capitalisti il problema è ricavare profitto, accrescere il denaro investito e poterlo reinvestire per accrescerlo ulteriormente, non importa se attraverso una produzione concreta o se con mere speculazioni. L’andamento di questa crisi ha portato, e porta, ad una accelerazione dei conflitti anche sul piano militare proprio a causa del fatto che la competizione tra i capitalisti per accaparrarsi quote maggiori di profitti a scapito dei propri concorrenti si intensifica passando per la lotta per la conquista del controllo delle materie prime e per la conquista di nuovi posizioni di egemonia nel mercato mondiale. Questa concorrenza internazionale tende, quindi, ad aumentare ferocemente a causa del restringimento della “torta” complessiva del plusvalore da spartire e spinge i poli imperialisti ad una feroce competizione globale che incentiva guerre e conflitti di varia intensità. Non è un caso che le missioni e le spese militari sono le uniche voci nei bilanci degli stati che tendono ad aumentare anche in un regime di feroci tagli come sta accadendo oggi.

Questo andamento della crisi capitalistica produce degli “effetti collaterali” che invece di risolverla la approfondiscono ulteriormente: più i paesi imperialisti fanno ricorso alla guerra ed alle soluzioni di forza, più aumenta la resistenza dei popoli e delle classi lavoratrici e, esponenzialmente, anche l’aggressività delle altre potenze concorrenti. Più aumenta la concorrenza tra imprese e tra stati capitalisti, più si immiseriscono i popoli e le classi lavoratrici con il conseguente restringimento della base dei consumi. Maggiori sono le necessità del capitalismo di aumentare la militarizzazione e la competitività delle proprie economie per essere all’altezza di tale feroce concorrenza, maggiore è il restringimento delle quote di profitto da spartirsi.

Come comunisti dobbiamo capire che è questa la strada da cui arriva l’attuale crisi e non da mere speculazioni borsistiche su titoli spazzatura statunitensi come favoleggiato nei media internazionali. E questa situazione critica, che ha sconvolto e peggiorato la vita di milioni di persone, non è passeggera, come molti governi dei paesi capitalisti occidentali cercano di farci credere. Siamo di fronte a una crisi “di sistema”: è probabilmente la più grave crisi di valorizzazione del capitale da molti decenni a questa parte, e la sua globalizzazione mondiale è l’indice dell’impossibilità per i paesi capitalisti di uscirne con semplici mezzi di sostegno al consumo o con altri palliativi, com’è accaduto nelle crisi del passato, essendosi infatti assottigliato troppo quel livello di sovrapprofitti che permetteva di redistribuire una piccola parte della ricchezza per tenere buone, con politiche riformiste, le classi subalterne. Dalla mancanza di redistribuzione, ancorché minima, della ricchezza si è generato un restringimento della base sociale e la conseguente crisi internazionale dei partiti socialdemocratici, soprattutto europei. Questa crisi ci mostra dunque un sistema capitalista che non può più offrire un futuro dignitoso ai lavoratori ed ai popoli del mondo, incapace ormai di dare la benché minima prospettiva futura di miglioramento del benessere delle persone. Per riprendere un ciclo di accumulazione di profitti adeguato i capitalisti hanno deciso di percorrere la strada di una vera e propria guerra al lavoro salariato e alle risorse del pianeta che produrrà l’azzeramento dei diritti delle forze produttive, la distruzione dell’ambiente, la competizione internazionale e le guerre. Non sono un caso le forti riprese delle lotte sociali e sindacali nei paesi imperialisti, e in vasti strati sociali del mondo capitalista, là dove i governi attuano feroci politiche di austerity di concerto con istituzioni internazionali come FMI e BCE. L’Europa del Trattato di Lisbona e di Maastricht usa il debito pubblico come una clava che danno in mano ai governi nazionali per cancellare diritti e salari. Di fronte a questo panorama è evidente quindi che non serve auspicare ancora il “meno peggio”, ma servirebbe una svolta dettata da un’alternativa di sistema. Il capitalismo è la causa e va combattuto tanto nelle piazze che nelle istituzioni. Di fronte a queste condizioni oggettive il movimento comunista però è in molti paesi, come il nostro, al minimo storico per capacità di incidere politicamente. Ecco quindi che di fronte all’immiserimento di massa, e alla blindatura autoritaria della democrazia per contenere i conflitti, l’unica risposta che sembra oggi avere una certa presa è quella dell’ anti-politica e dell’indignazione etica di fronte alla corruzione di questo sistema politico. Ma se è il modello economico-sociale a essere in crisi non basta reclamare una politica più “efficiente”, più “pulita” e qualche legge contenitiva che sostenga parziali elementi di welfare state per i più marginalizzati. Bisogna sostenere queste rivendicazioni dentro un programma complessivo che metta in discussione gli assi portanti stessi del capitalismo che ci ha portato sull’orlo del baratro. Tutto il resto ci porta sempre al punto di partenza e a nuovi arretramenti: ad un apparente e superficiale cambiamento, rimarrebbe immutata la sostanza e la causa dell’attuale conflitto che sarebbe, di conseguenza, destinato a ripetersi entro breve tempo ed in forma sempre più grave. Dobbiamo dire apertamente che il problema non è solo Berlusconi, contro il quale continueremo a lottare tenacemente finché non sarà uscito di scena, ma dobbiamo dire che l’obiettivo finale dei comunisti resta l’uscita di scena definitiva del capitalismo intero dalla storia.

Crisi? Quale crisi?ultima modifica: 2011-07-31T20:15:00+02:00da iskra2010
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