A PROPOSITO DI “ORMAI UNA SCELTA INELUDIBILE…VIA DALLA CGIL”

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di Angelo Ruggeri 

L’annuncio delle dimissioni di iscritti di vecchia data alla CGIL, titolato sul blog diIskra:Ormai una scelta ineludibile…VIA DALLA CGIL”, non può non stimolare la solidarietà con tali lavoratori e ulteriori riflessioni sullo snaturamento della CGIL che è una delle conseguenze traumatiche dell’abbandono da parte sia della CGIL che della “sinistra” della teoria marxista, che le porta ad assumere e a rubricare come “di sinistra” posizioni assimilabili a quelle della “sinistra borghese”, della liberale “sinistra storica” dell’800, quindi precedente al passaggio alla società di massa. 

Più del “distacco dalla CGIL”, quello che da più dolore, anche quotidiano, è sapere che, a parte il nome e la sigla, non è più il sindacato a cui ci siamo iscritti e che per molti è diventato un rifugio di tanti “tengo famiglia”, di un’aristocrazia sindacale burocratizzata e o anche peggio. 

Lo snaturamento in atto da un trentennio, accelerato e sancito col “golpe tecnico continuo” concordato col governo Amato e proseguito con la cancellazione del sistema sociale e politico fondato dalla Costituzione sul proporzionale e nato dalla Resistenza, è approdato al “Patto di Cartello” del 28 giugno, che, in primis, sancisce il predominio maggioritario dei c.d. sindacati “maggioritariamente rappresentativi”. Ora, dire che con il 51% si “cancella” o comunque si inibisce l’incisività del 49% di tutti gli altri sindacati e lavoratori, è uno dei tipici casi di scuola con cui si usa dimostrare che principio democratico e principio maggioritario non coincidono, il 51% che inibisce la volontà del 49% (o anche di una piccola percentuale) non c’entra nulla con la demo-kratia (potere di tutto), per cui il “Patto di Cartello”, simile a quello tra “corporation” o “mafie”, di cui anche noi avevamo scritto che dovevamo prepararci a restituire, in quanti più possibile, la tessera della Cgil (o di Cisl e Uil) per difendere il pluralismo e l’autonomia sociale dei lavoratori, associati in altre formazioni o singoli, negati dalla CUPOLA centralista e verticista della Triplice. 

Si può però continuare la lotta, cercando di ricostruire quel muro che è stato abbattuto dalla valanga che ha travolto il sistema sociale e non solo quello politico della democrazia sociale più avanzata del mondo, qual’è stata per decenni quella della nostra “Repubblica fondata sul lavoro”.

Si può continuare la lotta e per recuperare il potere e l’autonomia sociale dei lavoratori espropriati dai vertici sindacali, a partire da quello che è l’oggetto proposto in un recente Appelloper una legge elettorale ispirata al principio proporzionale integrale, per rilanciare il pluralismo sociale e politico necessario alla lotta contro il dominio capitalistico,. che é il primo “anello” della democrazia sociale,tirando il quale riemergerebbe tutta la “catena” nascosta dietro l’ipostatizzazione della c.d. seconda repubblica ispirata dalla massonica P2 di Gelli per il quale 40 miliardi bastavano per far emergere il trasformismo maggioritario di sindacati e “sinistra”.  Donde i “mattarellum”, “vassallum”, “sbarramenti”, e i vari “porcellum” praticati anche dentro il sindacato e i partiti che continuano a proporli al Paese a salvaguardia del potere di vertice dei gruppi dirigenti sindacali e politici anche della c.d. “sinistra”.

L’Appello è un’occasione per rivendicare il rilancio di una lotta efficace ed è da sottoscrivere non individualmente ma da soggetti collettivi, organizzazioni anche di base e territoriali di movimenti, partiti, sindacati, associazioni varie. 

In questo momento non siamo certi di poter socializzare quello che stiamo scrivendo, a meno che, ci rimettano in funzione il server a cui, purtroppo, non si può dire quel che Marx rispondeva a chi affermava che i libri non vanno riempiti come lui faceva (e anche noi) di orecchie, appunti e commenti a margine, sottolineature, ecc.): “loro sono i miei schiavi, loro debbono servirmi non io loro”. Col server, una macchina, si rischia di diventare noi schiavi cibernantropi, sì che circa ogni 1 o 2 mesi, si rifiuta di “servirmi” e mi mette in riga, (producendomi, come forse anche ad altri, effetti depressivi).

Ma le macchine, come i computer come la rete e chi la gestisce, non crescono sugli alberi, sono opere di uomini, costruite e gestite da sistemi i cui fini sono anzitutto quelli di chi controlla la produzione già dal momento della progettazione, “cose” che la politica e i sindacati in generale, e persino la Fiom, che rischia di farsi egemonizzare dalle capre ignoranti dei no-global e dei centri sociali e dagli infiltrati Toni Negrini, hanno rinunciato a controllare, rinunciando al controllo sociale della produzione e alla programmazione economica. Rinunciando alla programmazione democratico-sociale, l’economia e la produzione viene programmata esclusivamente dai poteri d’impresa nazionale e multinazionale. 

Tutto si origina dall’abbandono delle motivazioni ideali e programmatiche che furono alla base della fondazione della democrazia-sociale della nostra Costituzione a cui la CGIL concorse per realizzare una versione istituzionale dell’antifascismo anticapitalista, fuori dagli schemi maggioritari-uninominali e antiproporzionali della liberal-democrazia su cui si reggono i sistemi istituzionali ed economici capitalistici e occidentali.

L’abbandono della strategia di programmazione economica e del controllo sociale delle imprese e dei Piani d’impresa (di cui all’art. 41 che vogliono cancellare) purtroppo accomunala Camusso con il segretario FIOM Landini. Il quale, come si è visto alla Fiat – da Pomigliano in poi -, anziché rivendicare – come da “sindacato della Repubblica fondata sul lavoro” – il potere e l’autonomia sociale dei lavoratori (come da art. 41) per elaborare, controllare e, quindi, contestare il Piano d’impresa Fiat, ha portato alla sconfitta invocando i “diritti della persona”. All’opposto di lavoratori e sindacati di base della Fincantieri che contestando il Piano d’Impresa hanno costretto a ritirare il Piano d’Impresa ed ora continuano con forza la lotta con modalità che altri hanno abbandonato da un trentennio. 

“Persona” è il lavoratore e “persona” sono anche il padrone o il manager.

Confondere e mescolare i diritti civili e i diritti dei lavoratori in un contesto di generici principi sulla “dignità della persona” benché notoriamente tra loro profondamente diversi, serve a nascondere la specificità dell’organizzazione capitalistica rispetto ad ogni altra forma di relazione sociale, mira a due obbiettivi convergenti:

1)  a parificare i diritti dell’imprenditore, dei dirigenti e dei lavoratori sotto l’asserito presupposto che tali figure sono tutte “persone”. Per questo fu invocata per primo da Cofferati (destra Pci come Napolitano), perché:

2) induce a subire la perpetuazione dello status di soggetto “minore” che il lavoratore ha sempre avuto a causa dell’inconfondibile natura delle relazioni interne all’organizzazione d’impresa capitalistica (non assimilabili alle relazioni cittadino—società), per rinunciare a organizzare quel conflitto autonomo senza del quale è destinata ad imporsi incontrastatamente la sovranità dell’impresa (come si è visto e si vede alla Fiat e non solo). 

Ma nonostante le sconfitte, si insiste ad invocare i “diritti della persona” come per primo fece Cofferati (destra Pci come Napolitano), così rinunciando a sottolineare l’incisivo significato classista dell’attacco, ma soprattutto eliminando, in linea di principio, ogni valore di classe al rapporto di lavoro, ovvero: invocando i “diritti della persona” e, quindi, equiparando la situazione di sfruttamento e di alienazione del lavoratore a quella di una qualsiasi “persona”, cittadino, che, invece, vive rapporti totalmente diversi da quelli vigenti nella fabbrica capitalista; rapporti che nella “società civile” non implicano una relazione “determinata” come quella che nasce all’interno dell’impresa capitalistica.

L’operazione che mira a fare del potere e dei diritti dei lavoratori una variante dei diritti della “persona” umana, ci riporta a quando storicamente la borghesia capitalistica dello stato di diritto nelle forme dello stato liberale e costituzionale, in nome dei “diritti della persona” delegittimava la classe operaia persino nei più elementari diritti civili e politici, proprio perché in materia economico-sociale garantiva solo quei diritti della proprietà e quindi dell’impresa che, in verità, in tal modo si configurano più ancora come poteri. Come è accaduto e accade oggi alla Fiat e nei vari paesi dove i Parlamenti non eletti col proporzionale integrale sono Trade Union della borghesia capitalista. 

Insomma Landini e la Fiom, a cui pure riconosciamo una “diversità” dal vertice CGIL (che col “Patto di Cartello” del 28 giugno, usa lo Statuto dei lavoratori e della CGIL come fossero statuti del sindacato e della “cupola della triplice”), ha scelto di seguire i “diritti della persona” così come per non sottolineare l’attacco classista all’articolo 18, fece e indicò Cofferati. Il quale coerentemente col suo essere da sempre parte dell’antiberlingueriana “destra del P.C.I.”, con autoritarismo, “manovre” e violazioni delle regole interne (e col concorso della corrente di Patta) predispose a “segretaria nazionale” la Camusso, facendola restare “eletta” segretaria della Cgil-Lombardia, nonostante non avesse raggiunto il numero di voti richiesti.

Il punto è che non può esserci ne un sindacato democratico dei “lavoratori”, se nel Paese e nelle istituzioni mancano la democrazia sociale, il pluralismo sociale prima che politico che il proporzionale ha garantito dalla Liberazione in poi.            

Democrazia e pluralismo per le quali la CGIL non solo non si batte più ma è protagonista del suo snaturamento e del sovvertimento del sistema sociale e politico nato dalla Resistenza, per le ragioni di cui sopra. 

Donde che in CGIL, troppi ancora non capiscono che il sindacato è stato il primo a picconare il sistema sia sociale che politico, della Costituzione, da quando CGIL-CISL-UIL – dagli anni 80 circa – HANNO INIZIATO A FAR VALERE IL SISTEMA MAGGIORITARIO sia nei rapporti sociali e CON I LAVORATORI, tramite i c.d. SINDACATI MAGGIORITARIAMENTE RAPPRESENTATIVI; sia nel SISTEMA ELETTORALE INTERNO ALLA CGIL, vedi accordi di potere e di sedie tra i vertici della c.d. minoranza “pattista” di Patta, cioè Lavoro e società, col MAGGIORITARISMO Epifaniano e Camussiano.

Ma l’idea del maggioritario, in forma diversa, è insita anche nei Landini della Fiom che, come l’aristocrazia sindacale, specie quella socialdemocratica e tedesca, PROPUGNANO IL MAGGIORITARIO REFERENDARIO O IL REFERENDUM MAGGIORITARIO TRA I LAVORATORI.  

Ciò che sfugge a tutti quanti è l‘ABC del principio di democrazia che non coincide affatto con il principio di maggioranza che è solo una “tecnica” di decisione e non un principio di valore, tanto meno assoluto. La tecnica maggioritaria di decisione non può prescindere dai fini, dagli effetti e dal contenuto sostanziale di ciò che si decide con tale o qualsiasi altra “tecnica”.

Per tre giorni, in un seminario all’Aloisianum di Gallarate, presenti persone e studiosi di tutto il mondo (popolo e intellettuali), si analizzò e specificò la sostanziale differenza tra il principio di democrazia e quello del maggioritario. Persino Bobbio (e sottolineo persino) riassunse in dieci punti le ragioni per cui il maggioritario non coincide col principio di democrazia. 

Il principio maggioritario è’ solo una “tecnica di decisione”, usata anche nei sistemi e in regimi totalitari e autoritari, la cui decisione può essere opposta e negare del tutto il Principio di democrazia.

Viceversa, è quasi senso comune che il maggioritario non abbia aporie e non sia soggetto a limitazioni assolute, dimenticando che non coincide col principio di democrazia, come quando la decisione del 51% coinvolge in modo irreversibile il resto del 49% della popolazione, come nel caso della guerra; o quando in base a quella che è solo una tecnica di decisione, il 51% decide che il 49% non ha più diritto di parola o di incidere sulle decisioni di un contratto o accordo o di continuare a metterlo in discussione continuando la lotta.

Nel caso, il principio di maggioranza non solo coincide ma contrasta e rinnega il principio di democrazia.

In tal guisa, contrasta col principio di democrazia anche il decidere da parte dei sindacati c.d. “maggiormente rappresentativi” se superano il 51% come organizzazioni (neanche di lavoratori) tutti gli altri sindacati e i lavoratori stessi non hanno più diritto di rimettere in discussione certi accordi o certe intese e PATTI DI CARTELLO con le “corporation” padronali, con imprese, confindustrie e governi.

 

In verità, non coincide col principio di democrazia nemmeno stabilire tutto ciò tramite un referendum tra i lavoratori. Referendum che anche Landini e Rindaldini dimenticano che è uno dei principali strumenti della politica liberale (e i pannelliani che lo sanno bene, esultano ogni volta che vi si ricorre), che lo mistifica come “democrazia diretta”. Mentre storicamente, non solo per la tradizione socialista ma anche per quella democratica del movimento operaio, LA DEMOCRAZIA DIRETTA E’ LA DEMOCRAZIA DI BASE ORGANIZZATA, l’organizzazione della democrazia di base e del potere dal basso esercitato quotidianamente – e non con l’una tantum e il sì o il no del referendum – con Consigli di fabbrica, di territorio, di zona, di quartiere, per fare qualche esempio, e cosi via.

La democrazia diretta organizzata e il potere dal basso, sociale e permanente, sono cose ben diverse ed opposte dell’esprimere un Sì o un No su quanto deciso da vertici sindacali, politici o istituzionali che siano – con l’una-tantum referendaria, su dei quesiti decisi in alto e calati dall’alto.

Anche da ciò si desume che il sindacato (anche la CGIL) non solo non è più quello dei Consigli di Fabbrica e nemmeno quello a cui ci siamo iscritti (io a 15 anni), quando ancora – come ho potuto sperimentare personalmente già praticamente da adolescente – nessun sindacalista veniva, come molti oggi, promosso a capo di imprese o del personale o di società o a posti di sottogoverno di sinistra e destra o, ancora, a direttore generale delle FFSS.

Venivano prima minacciati e poi “puniti”, discriminati anche nella loro professionalità (non solo ovviamente nel mio caso), isolati e messi nei “reparti confino”, ecc. 

In tal modo, come i tellettual-in (che troppo poco e da pochi vengono denunciati come tali), anche i funzionari del sindacato tendono a presentarsi come “parte integrante” della classe dominate: i tellettual-in grazie al possesso di “capitale culturale” che è una forma di potere inferiore solo al potere del “capitale economico” e i sindacalisti come “possessori” di un “potere di controllo” sui lavoratori, credono di essere partecipi della “classe dominate”.

Ma, in effetti, sono spesso dei “tengo famiglia” e dei burocratizzati che si ergono in alto come nani sulle spalle di un gigante,cioè sulle spalle del proletariato che viene quotidianamente crocefisso sul GOLGOTA dei lavoratori della “sinistra” come una nuova Mahagonny(di Brecht e Kurt Weill), e di cui i SINDACATI MAGGIORITARIAMENTE RAPPRESENTATIVI e la sinistra che è tutta antiproporzionalista sono la punta di lancia conficcata nel costato della classe operaia: vale a dire dei soli ed unici “produttori” di risorse e di ricchezza che in numero sempre minore mantengono tutti e tutta la società col plusvalore che viene loro estorto e che crede sempre meno a dei sindacati che asseriscono di volerla “difendere”.

Difenderla? In realtà se è solo per difenderla c’è la magistratura a cui – anziché al sindacato – sono andati sempre più rivolgendosi i lavoratori. Ragion per cui anche il sindacato vuole ridurre gli spazi per la giurisdizione del lavoro e il diritto pubblico dell’economia e del lavoro, con arbitrati privati e privatizzazioni che sottopongano i rapporti di lavoro al codice civile ( la cui radice originaria è nella corporativa “Carta del lavoro” fascista del 1927, travasata nel Codice civile del 1942) che tutela l’impresa anziché il lavoro su cui si fonda il diritto pubblico dell’economia che nasce dalla Costituzione della nostra Repubblica fondata sul lavoro, appunto.

Nell’interdipendenza tra lotta sociale e proporzionale integrale, si coglie un parallelismo di comportamenti tra I LAVORATORI rispetto al maggioritario sindacale della Triplice come ai sistemi di voto interni e allo strumento referendario, e un ELETTORATO POPOLARE che con progressiva autoesclusione dal voto e astensionismo, escluso per mancanza del proporzionale dall’arena e dalla rappresentanza politico-istituzionale RIFIUTA DI DARE FIDUCIA AD UN SISTEMA NEL QUALE I PROCESSI DI DEMOCRATIZZAZIONE RISULTINO SVILITI DA PARTE DEI VERTICI DELLE FORMAZIONI POLITICHE DIVENTATI, COME ANCHE I VERTICI DEI SINDACATI, INTERPRETI DI UN NUOVO TRASFORMISMO.

Un trasformismo ravvisabile nel fatto che comunque un nucleo ristretto di tali vertici “OCCUPA” un posto di privilegio nel “PALAZZO” politico-istituzionale-sindacale, che hanno attribuito ai lavoratori anziché a loro stessi (per la loro abiura dei valori ideali e programmatici posti alla base della nascita di partiti, sindacati e della Repubblica) una “sconfitta” della quale si mostrano incuranti, in termini reali, ponendola interamente a carico dei lavoratori e di gruppi sociali e popolari, in nome dei quali solo verbosamente tali vertici dichiarano di partecipare sia al “gioco” parlamentare di destra/sinistra che della Triplice sindacale Cgil-Cisl-Uil.

Contando tutti sul fatto, per l’appunto, che tramite il principio maggioritario (di cui sono solo variabili tecniche del maggioritario il sistema tedesco, spagnolo, francese, gli sbarramenti, ecc. di cui parlano senza mai nominare il sistema italiano del proporzionale integrale, con cui si è votato dal giorno della Liberazione fino al 1993) si garantisce che la selezione della rappresentanza avvenga esclusivamente all’interno di una sola classe, della borghesia; così occultando, dietro il gioco tra maggioranza e minoranza in Parlamento, il conflitto e gli opposti interessi di classe che vigono nella società dove si ampliano le disuguaglianze e si aggrava la “questione sociale” in Italia e in tutta l’Europa di una UE dei riformisti e dei liberisti che l’hanno costruita a loro immagine e somiglianza e in modo del tutto opposto alla “civiltà democratica” codificata dal moderno costituzionalismo democratico nella nostra Costituzione che ha fondato il sistema sociale e politico sulla dialettica politica e sociale di classe del sistema proporzionale puro che, non per caso, il fascismo aveva affossato prima e per arrivare a cancellare la sovranità popolare.

A PROPOSITO DI “ORMAI UNA SCELTA INELUDIBILE…VIA DALLA CGIL”ultima modifica: 2011-10-18T01:00:00+02:00da iskra2010
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