Ricordo di M. SOLDATI “Grazie al PCI imparai il senso morale della politica e il senso della storia”

bandiera pci 1.jpgelab. MOWA

di Angelo Ruggeri

IN RICORDO DEL MIO AMICO E COMPAGNO MARCO SOLDATI

Nella notte tra martedì 6 e mercoledì 7 novembre è morto per infarto Marco Soldati. Era troppo uomo, troppo serio, onesto, poco esibizionista e grande per essere conosciuto e stimato oltre la cerchia di chi ha fatto e vissuto il 68 e di chi l’ha conosciuto direttamente e personalmente.

Con alle spalle una famiglia straordinaria, profondamente cattolica, che, come lui e grazie alla profonda pulizia morale e alla onestà e sincerità intellettuale, seppe, però, camminare e trasformarsi nel corso del processo storico, è stato uno dei pochi di una generazione che ha visto e vede molti tradimenti e persino troppi che hanno finito  con l’essere disonesti persino con se stessi e le proprie idee. 

Caro Marco, dai tempi di “Battaglia studentesca”, il giornalino che tu con Gandolfi, Carlo Stella, Bonoldi, per qualche tempo anche Laura Motta, e tanti altri, venivate a stampare nel 67-68 alla Federazione del PCI. Voi che comunisti non eravate o non eravate ancora, e vi differenziavate così da altri, come il “bravo” Chicco Gallina, Madera, Valerio Crugnola e altri allora “extraparlamentari”, che hanno poi, del resto, seguito strade divaricate, e si raccoglievano al Gramsci e nei cosiddetti gruppi maoisti. Non vi si disse di iscrivervi al PCI, memori forse di come Togliatti aveva già considerato “una risposta di comodo, troppo semplice, ma fasulla” dire a giovani che si dibattono tra ansie, domande e aspirazioni di voler fare qualche cosa di  utile nella vita: “iscriviti al partito e troverai la strada per andare avanti”. Vi iscriveste però, in seguito, alcuni, per conto vostro. Sempre nel  mezzo di discussioni accese, intense, appassionate e intelligenti come avveniva in quegli anni, sei stato fino all’ultimo uno dei pochi che ha avuto comportamenti di vita coerenti fino in fondo con te stesso. Generoso con gli altri fino alla morte e, anche nel caso, purtroppo, forse, troppo disinteressato verso te stesso. 

Caro Marco, forse sei caduto proprio per avere fatto tu quello che in “A zonzo nella memoria” avevi rimproverato a me: “il disinteresse per il personale, portato fino all’autolesionismo”. 

Caro Marco, sei uno dei pochi che vorrei che tutti sapessero che mi era amico e compagno, uno dei pochi che vorrei che tutti avessero conosciuto; uno dei pochi che vorrei si sapesse come era veramente e chi fosse; uno dei pochi per la cui morte, vorrei che tutti urlassero e si strappassero i capelli; uno dei pochi che mi lascia un vuoto che non so come riempire se non con queste frasi e parole così inadeguate, che, per chi non ti conosceva, suoneranno forse retoriche, forse persino patetiche..

La mia officina delle parole è così povera in momenti come questi, che non so fare altro che dare la parola a te stesso, attraverso l’unico tuo scritto che possiedo, quello pubblicato in “A zonzo nella memoria”. Nel rileggerlo ci trovo persino cose che mi sembra di non avere mai colto. E quella tua precisione nel cogliere l’anacronismo e l’astrazione – che oggi potrebbe persino suonare ironica e canzonatoria di tanti “no global” e pseudo-sinistra, ora che sono arrivati a fare quello che il ciellino Portatadino faceva oltre trent’anni fa – di chi, per cogliere le ragioni e le motivazioni politiche e ideali del proprio impegno, pensava di dover andare fino in Brasile, o nel “terzo mondo”.

In esso si ritrovano in filigrana l’aspirazione, l’ansia di conoscere, di sapere, di lavorare e costruire una vita degna di essere vissuta di una generazione.

Chi non ha sentito la necessità di ordinare le sue conoscenze in una visione complessiva del mondo nel quale viviamo e delle mete verso le quali marciamo, e la necessità di inserire in questa visione complessiva anche la propria esistenza, il proprio lavoro, le proprie scelte, non è mai stato giovane. Questa è una delle vie per cui si giunge ad essere comunisti, ma anche per cui si rimane tali, cioè a una visione rivoluzionaria della realtà e della vita. Tutte cose nostre, dei comunisti in primo luogo, intendo. In cui hai continuato a riconoscerti perché tu giovane lo sei stato e hai continuato ad esserlo. Per questo, anche senza partito, hai continuato ad essere quello che sei sempre stato.  Non a caso si dice che “il comunismo è giovane”  e ha davanti a se tutto il resto della storia.

Nel tuo scritto rivive, per altro, tutta una galleria di personaggi dell’epoca e l’epopea di un ‘68 visto e vissuto dagli onesti e “dal basso”, spesso tradito dai molti che l’hanno vissuto “dall’alto” o solo per arrivare “in alto”.

Rivivono le molte domande e i ragionamenti di una generazione che, poi, sarebbe stata tradita, in primo luogo, da se stessa: per ambizione personale; per la natura della classe di origine di molti; per una “musicistica” predisposizione al rovesciamento contrappuntistico delle posizioni; per l’aristocratico  e antiproletario modo di guardare al mondo e di intendere e vivere la vita; dalla voglia di trovare un posto nel Palazzo pasoliniano. Un altro grande, Pasolini, che ci ha lasciato un vuoto incolmabile e che anche tu, che pure come me non sei mai stato pasoliniano quando era in vita, sono certo, hai pensato e ricordato nei giorni scorsi. Solo ora mi sovviene che il suo anniversario ha preceduto la tua data fatidica per pochi giorni soltanto. Pochi giorni dopo il 2 novembre, quando, in quello di circa 25 anni fa, mentre io mi trovavo in “ritiro” solitario di 4 giorni a Sesto S. Giovanni, nella casa appositamente lasciatami da mia sorella (un’altra dello scientifico Galileo Ferraris già scomparsa),  per preparare una relazione al Comitato Federale del PCI (questo anche si faceva allora: ogni relazione, anche di una semplice riunione di Comitato provinciale, era il frutto di giorni di studio, riflessione e lavoro), accesi il Telegiornale delle 13,30 e fui colpito dalla sconvolgente notizia della brutale violenza, dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini.

Quanto vorrei diffondere a tutto il mondo questo TUO scritto; diffonderlo  almeno a tutti quelli che posso raggiungere, affinché tutti, anche quelli che non ti  hanno conosciuto e non sanno, possano almeno intuire se non pienamente avere, anche una sola e piccolissima milionesima parte di te e della tua umana rettitudine e coerenza, e della tua onesta pulitezza.

 

 

MARCO SOLDATI *

IL GIRO DEI PARTITI IN MOTORINO

                

COSI’ DA STUDENTE IMPARAI IL SENSO DELLA STORIA,  

IL SENSO MORALE DELLA POLITICA

E LA COSCIENZA DI CLASSE

 

Nino aveva una Lambretta. Una “centoventicinque primavera” così piccola che, se ci montavamo in due, i vigili ci fermavano perché pensavano fosse un “ cinquanta ”. Era, peraltro, una delle più belle moto fuori dal liceo scientifico Galileo Ferraris, allora in via XXV aprile.

Con quella Lambretta, Nino ed io facemmo, un giorno, il giro delle sedi dei partiti politici esistenti in Varese, chiedendo i loro programmi, perché volevamo capire dove poter orientare una certa nostra ansia di impegno sociale e politico.

Questo desiderio nasceva, probabilmente, da un clima generale di movimento che si respirava in quegli anni (mi riferisco al 1967, inizio ’68) e dai fermenti che in particolare si agitavano nella scuola.

Le prime e più appariscenti contraddizioni che vivevamo erano quelle fra le dotte spiegazioni che ci venivano impartite sulla socialità, in astratto, e la realtà effettiva in cui ci trovavamo immersi, per quel che ricordo, all’interno delle mura scolastiche. Non è per fare il “ vecchio ” o per instaurare dei raffronti con un oggi, che del resto non conosco bene, ma allora lo studio era duro e la selezione, dichiarata, era pesante. Ce ne accorgevamo con il passare degli anni, quando vedevamo assottigliarsi il nucleo di origine dei ragazzi che si erano iscritti al primo anno. A scuola, inoltre, si doveva andare con la giacca!

In compenso era molto forte e piacevole il rapporto di amicizia e di solidarietà che esisteva fra compagni di classe. Ad esempio, noi tutti volevamo un gran bene e stimavamo il Carlo Stella, “capoclasse” suo malgrado. In questo clima di solidarietà nascevano le prime esperienze di aggregazione anche all’esterno della scuola, proposte, in quel momento, da G.S. (gioventù studentesca).

Proprio perché ci interessava la questione sociale e poiché la matrice cattolica era ovviamente diffusa, anche se, a mio parere, in fase di largo declino, andammo a riunioni presso la sede di G.S. Non resistemmo molto!

I “raggi”   (cosi venivano definite le varie riunioni) erano una sorta di sedute psicanalitiche collettive, sfogatoi di ansie religiose e sociali che non avevano alcun concreto seguito. C’era in questi cattolici, forse proprio perché tali e restii a disfarsi di una certa cultura della beneficenza – un gran parlare di “terzo mondo” e delle sue sofferenze, nonché delle spoliazioni che avvenivano ai suoi danni. Fu nostro professore supplente di storia e filosofia per molti mesi, dolce e anche stimato, l’ora onorevole Costante Portatadino, che tornava da un’esperienza in Brasile, ed anche lui tendeva a trasmetterci quest’ansia terzomondista..

“Terzo mondo” va bene, ma qui? Le contraddizioni si precisavano ed alla loro precisazione diede, sia in positivo che in negativo, un contributo determinante il nostro professore di italiano e latino, Livio Ghiringhelli, che in seguito divenne preside dellostesso Liceo scientifico.

Questo bendett’uomo, di area socialista – come si usa dire oggi – (mi pare, fosse anche uno degli animatori di in circolo culturale chiamato “Astrolabio”) oltre ad insegnarci – alla luce del poi devo dire bene –  il latino e l’italiano, ci faceva discorsi interessanti; anche lui sul terzo mondo, naturalmente, ma anche qualche cosa di più. Ad esempio, che per mantenere il nostro studio ci sono dieci operai che lavorano; …l’imprescindibile necessità della cultura;… le discussioni sull’essenza della democrazia;…sulla Resistenza, e via dicendo. Interessante. Senonché era proprio lui che ci faceva venire a scuola in giacca, e passi, ma ben peggio, era proprio lui che, più tardi, ci negava la possibilità di tenere l’assemblea degli studenti nella scuola della cui formale dignità si faceva depositario, non proprio in coerenza coi suoi discorsi sulla democrazia.

Il giro con la Lambretta per le sedi dei partiti lo facemmo in quei momenti.

Cresceva intanto fra gli studenti un fermento generale: si ricominciava a discutere ed a verificare il concetto che la scuola era “classista”. Alle “superiori” andavano in pochi e ce ne accorgevamo; i licei erano in gran misura frequentati da borghesi, mentre, per gli “altri”, c’erano gli istituti tecnici e ce ne accorgevamo; la scuola era selettiva e ce ne accorgevamo. Inoltre i contenuti ci sembravano stretti rispetto a tutto ciò che si stava muovendo intorno a noi e gli stessi metodi di insegnamento ci pesavano. Chiedevamo, insomma, una diversa apertura verso il mondo circostante, innanzitutto quello del lavoro; chiedevamo, insomma, scuole più aperte, non solo allo studio, ma anche alla possibilità di incontri fuori dalle ore di studio. Non chiedevamo affatto il “sei” politico, ma il modo di sviluppare, nella scuola, forme di studio e di confronto diverse da quelle tradizionali, e questo ci veniva categoricamente negato!

Incominciammo allora a riunirci fuori dalla scuola, in grandi assemblee di studenti (ci accoglievano, fra gli altri, i frati della Brunella) e a far circolare la voce con il nostro primo volantino.. un foglietto tirato con il ciclostile ad alcool dell’Alberto Paronelli.

Allo Scientifico quelli più fervidi di idee erano il Gianvittorio e la Tata. Gianvittorio Gandolfi di Cassano Valcuvia veniva a scuola con i quotidiani e l’“Espresso”; interloquiva duramente con il professore su argomenti di politica; ci commentava Bocca! La Tata (Laura Motta), di Tradate, era “grande” in quanto frequentava già l’ultimo anno; era di una simpatia travolgente, molto preparata e metteva inoltre una grande passione in quello che diceva. Sinceramente la ricordo con profonda emozione per le vicende che ha dovuto passare in seguito. La ricordo felice e libera, come lei era, un pomeriggio su un prato al Brinzio, con il suo uomo di allora che le diceva: “passami la cartuccera ”, che era poi una bottiglia di Coca Cola tipo familiare. Allora si diceva di ogni sorsata di Coca Cola: “é una pallottola sul Vietnam ”.

Mi ricordo ancora di Laura Motta sulla mia moto mentre andavamo a qualche riunione, poi, quando discuteva con Claudio Donelli le sue perplessità a restare legata al P.C.I. Non la vidi più; ne ho seguito le dolorose vicende sulla stampa o nei lontani racconti di alcuni comuni amici di allora.

La Tata, il Gianvittorio ed io tiravamo un po’ il gruppo allo “scientifico”, ma non mi sembra si potesse parlare di “leadership”, perché il movimento era reale e spontaneo; tanti i compagni, i ragazzi che, in triodo crescente, e spesso tumultuoso, partecipavano, discutevano.

Partecipazione, voglia di discutere, di essere protagonisti delle scelte (nello specifico dello studio) che si facevano sulle nostre teste. Ci rendemmo conto di vivere in una società sostanzialmente repressiva ed autoritaria, dentro un “sistema” che difendeva duramente le proprie scelte politiche, culturali e produttive. Capimmo, poi, che  questo sistema si chiamava “ capitalismo ” e che quanto accadeva nella scuola era ancora poco rispetto a quello che accadeva nelle fabbriche.

Questo fu il mio modo di vedere e di vivere il ‘68.Ritengo offensive pertanto certe ricostruzioni che, a vent’anni di distanza, cercano di presentarcelo come un conflitto generazionale, legato ad un momento di agitazione studentesca destinato, in quanto tale, ad estinguersi con il crescere fisiologico dei partecipanti! Non mi sento un reduce e credo che, come me, siano tanti quelli che, in tale frangente, hanno profondamente maturato una propria coscienza di classe che, se accompagnata ad onestà intellettuale, non farà perdere facilmente i valori che si sono acquisiti in quei momenti.

All’ansia di libertà e di partecipazione che nasceva dai luoghi di studio e di lavoro, si rispondeva in sostanza in termini repressivi. Era uno scontro  una società autoritaria, una lotta al dispotismo nella scuola e nelle fabbriche.

Autoritarismo del sistema! Quel sistema, per capirci, che uccideva i braccianti ad Avola e a Battipaglia, che scatenava i celerini a Roma a Valle Giulia, quel sistema che consentiva (se non addirittura vezzeggiava) ai fascisti di presidiare a Milano San Babila, pestando tutto ciò che vi passava di rosso o in “ eskimo ”, e corso Matteotti a Varese. Era quel sistema che inventava ed alimentava gli “opposti estremismi”; quel sistema che produceva le stragi di innocenti con le bombe tra la folla (ricordiamo piazza Fontana e quel che ne e seguito), scatenando la caccia all’anarchico e suicidandone qualcuno (ricordiamo Pinelli!).

Fuori dallo Scientifico e anche nelle altre scuole c’erano dei buoni movmenti. Ricordo gli incontri con il Chico Gallina, con il Valerio Crugnola ed il gruppo che al Liceo classico cresceva con Cesare Revelli: fra gli altri ricordo quello che vorrei fosse ancora mio amico il Tonino  Conti.

C’erano gli studenti degli istituti tecnici che scoprivano la loro condizione, in particolare quelli delle serali: esperienza forte di lavoro, di cui ci parlavano e di studio che costava loro un grande sacrificio.

Fra le tante supplenze di matematica e scienze degli ultimi due anni di liceo, ce ne fu una in qualche modo per me determinante: quella di Nini Cassani. Nini, fra professori titolari e supplenti, era quello che, con più chiarezza, ci raccontava alcune cose, compreso quello che stava succedendo nelle università a Milano: la cattolica e la statale.

Non ricordo se fu per questo, o per qualcosa l’altro, che la sua supplenza fu sospesa.

Vivemmo tutti, sia pure con diverse opinioni circa la capacità di docente di Nini Cassani, come un ulteriore sopruso ed una ingiustizia il

suo allontanamento dalla scuola.

Fu così che indicemmo il primo sciopero di studenti allo Scientifico. L’adesione fu, per quella prima volta, “non affollata” e non mancarono gli episodi grotteschi. Mi pare infatti che proprio il Gianvittorio fu chiuso dai suoi genitori in camera senza vestiti affinché non si compromettesse con lo sciopero, mentre alcune mamme in pelliccia inseguivano, a fini dissuasivi, i figlioli fin verso i giardini pubblici, dove eravamo riuniti in assemblea. “Arriverà’ la polizia?… ”. La polizia non arrivò proprio. Arrivarono invece le espressioni irose ed irate dell’autorità scolastica: “avete scelto una via che non porta al confronto! ”

Arrivò la solidarietà dei compagni di scuola. Nacque l’esigenza di organizzarci e di diffondere le idee.

Dove?

Non fu solo un fatto logistico, comunque, quello che ci fece varcare la soglia della federazione comunista in via Monterosa.

“ Abbiamo bisogno di aiuto… ” dicemmo. “ Un posto per riunirci ”. E loro ce lo diedero.

La prima figura che ricordo di via Monterosa, il primo impatto con il P.C.I., è quella di Italo Segato. Italo vestiva con uno stile che riconoscerò poi in tanti sindacalisti e funzionari di partito.

Forse diverso da quello ci immaginavamo, ma “incredibile”, egli ci ascoltava, ci ascoltava veramente e ci offriva le prime prospettive e soluzioni organizzative.

Caro Italo, forse non ti ricordi di me e di noi, ma sicuramente con quella tua disponibilità hai svolto un ruolo dirigente, quale ho riscontrato, poi, in pochi funzionari di partito e quei pochi, a dire il vero, appartenevano soprattutto alla tua generazione.

Dopo Italo, l’incontro con tanti altri, di cui divenni poi compagno, e che hanno avuto un ruolo anche più determinante nella mia formazione di comunista.

Incontrammo, io e gli altri ragazzi che erano con me, l’Amedeo Bianchi.

Che pazienza, che dolcezza!

Un maestro… (so che mi leggi Amedeo!, ma non importa, è quello che penso sia vero). Ci insegnava… Con lui ho imparato a fare un giornale, il menabò, il contarighe, i caratteri, gli spazi per i titoli, le “giustezze” delle righe di piombo.

Ci insegnava il marxismo, ci parlava del materialismo storico e ci racontava le storie… la storia. Mi viene in mente, fra l’altro, quando ci raccontava di lui e non mi ricordo più chi altri, che occuparono, appena finita la guerra, il Golf di Luvinate, chiedendone la trasformazione in azienda agricola. Follie di gioventù? Ci sarebbe da pensarci ancora oggi.

Poi Amedeo, con la misura ed il senso della storia che gli sono propri, concludeva dicendo con ironia, forse per minimizzare l’iniziativa, che l’occupazione finì insieme ad una damigiana di vino, che il circolo di Luvinate aveva offerto ai protagonisti di quelli “ riforma agraria ”.

Incontrammo altri “ funzionari ” della federazione comunista:

Donelli, Battistella, Morandi, Gatti; conobbi poi la Vera Bossi e quello strano gruppo così simpatico di compagni che stavano intorno al circolo di Belforte. Si discuteva della Cecoslovacchia; forse in quel momento non capivo molto, ma intanto ci si nutriva il cervello.

Conobbi, poi, quei giovani, della mia stessa età, insieme ai quali ho fatto un po’ di strada: era un bel gruppo, formato fra gli altri da Rocco Cordi, Sergio Lucchina, Nedo Montagna, Remo Agosti e da altri un po’ più  grandi come Palmina Magni ed Enrico Mozzini. Tirava il gruppo un giovane, instancabile promotore di continuo entusiasmo e discussione: Angelo Ruggeri. Instancabile fino ad essere rompiscatole, ci insegnò allora il primato della “politica” con un vissuto che ne faceva fede. Quello che colpiva in lui era il disinteresse del “personale”, portato fino all’autolesionismo.

Caro Angelo, anche se adesso tu pure hai ceduto un pochino al “personale”, cosa che del resto ti umanizza di più, penso proprio che i tempi siano cambiati o sono cambiato io, ma quel primato in “politica” lo vedo sempre più lontano.

Quel gruppo di giovani fu mandato per le sezioni e nella mia sezione, la “ Fratelli Cervi ”, trovai altri uomini, altri compagni che replicavano la disponibilità trovata in federazione.

Toruccio (Salvatore Sesto) ascoltava e godeva (come con i suoi figli) della compagnia dei giovani che stimolavano ancora la voglia di fare e riprendere un’attività sopita e con lui Imer Greghi dal saggio pessimismo e dalla caparbietà di comunista riconosciuto e rispettato in paese; Silvio Basso mi insegnava con le sue intuizioni quello che Angelo Ruggeri chiamava il “ fiuto di classe ” e c’era poi il Giovannino Martinoli, iscritto dal ’21…

Tutti ascoltavano, tutti raccontavano ed intorno a questi uomini sono cresciuti quei giovani della mia stessa età.

L’incontro, la conoscenza di questi compagni, determinò la scelta, non facile, di stare con la sinistra “storica”. Non facile, dico, perché il richiamo di altre posizioni era forse più suggestivo, mostrava delle “possibilità rivoluzionarie” più immediate. Il richiamo di gruppo (o forse anche di classe) era più forte: tutti giovani e tutti studenti con dei problemi “più nostri” da risolvere…, con il presidente Mao, la rivoluzione culturale, o Arafat con ulivo e pistola all’O.N.U., indicati come riferimenti decisamente più affascinanti del gruppo dirigente sovietico.

Ho provato a prendere del fascista perché dichiaratamente militante (brutta parola ma in voga) nella F.G.C.I (federazione giovanile comunista); più tardi siamo stati molte volte vicini alla rissa con “altri compagni”, perché distribuivamo  – o almeno tentavamo di farlo – l’Unità nell’atrio dell’Università!

Ma la scelta del P.C.I. nasceva proprio dalla sensazione che qui si era nella continuità della storia. Qui il confitto perdeva l’aspetto generazionale che ci veniva di continuo rinfacciato, qui prendeva corpo l’idea delle alleanze, aveva più logica una protesta che precisava lo scontro di classe che era in atto e la fisionomia della classe operaia, non metaforicamente, ma fisicamente, fatta di donne e uomini veri, era dentro al P.C.I. e mostrava – con tutti i limiti e ritardi che si vollero, vogliono e vorranno trovare –   la sua reale capacità dirigente.

Erano storie di uomini veri che davano a noi, allora giovani, un senso di continuità a quello che si stava facendo. Non era solo storia studiata (mai abbastanza!), ma era “fisicamente” sentirsi attaccati ai vecchi iscritti dal ’21 (Gramsci); a chi aveva fatto la Resistenza ed aveva prima digerito e poi capito il 25 aprile (Togliatti); a chi era stato pestato ed anche arrestato dalla polizia di Scelba e di Tambroni.

E’ necessario evitare, in omaggio alla continuità, anche se è una categoria caduta in disgrazia, il rischio della commemorazione o dell’elencazione di nomi o ricordi di episodi che, una volta alzato il tappo, affollano il collo del cervello.

Per concludere, devo dire che quello che ho imparato dall’incontro con quei comunisti, è stato il senso della storia, una capacità profonda ad ascoltare i propri interlocutori (senza poi aver bisogno di questionare), un senso profondo della tolleranza senza venire meno ad una radicata coscienza di classe, ad un profondo senso morale nello svolgere l’attività politica.

Quanto cioè ci ha fatto vivere quella meravigliosa stagione che ha avuto in Enrico Berlinguer, la sintesi più alta.

Sinceramente, oggi non ritrovo più i valori a cui sono stato formato.


M. SOLDATI (*) questo suo scritto è tratto dal libro collettaneo “A zonzo nella memoria- Racconti e testimonianze  di 64 comunisti varesini dal 1945 al 1989″ a cura di G. Aloardi e A. Bianchi, Ed. Città Futura, 1989: dove, per inciso, nelle 600 pagine del volume, non c’è neanche uno solo che citi o motivi il suo essere comunista con l’esistenza dell’URSS (ma tutti lo sono per motivi di giustizia sociale, di uguaglianza ed emancipazione dei lavoratori e del popolo italiano e di tutti gli uomini del mondo, dallo sfruttamento)  che in quei giorni  Occhetto prendeva a pretesto per coprire la decisione di abiurare e sopprimere il PCI, già presa ben prima della caduta del “muro di Berlino”  e dell’Urss. 

* Iscritto al PCI dal 1969. Oltre che attivista della organizzazione giovanile comunista, è stato dirigente provinciale della Alleanza contadini, consigliere provinciale e comunale a Luvinate, negli anni ‘70. Ha fatto parte anche della Comunità montana della Valceresio.

 

 

 

Ricordo di M. SOLDATI “Grazie al PCI imparai il senso morale della politica e il senso della storia”ultima modifica: 2011-11-23T09:30:00+01:00da iskra2010
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