Per un’efficace protesta Caro Gramsci

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Caro Gramsci                              

Angelo Ruggeri

In una fase di crisi economica del capitalismo e di lotte sindacali corporative, nemmeno salariali ma per la sola assistenza e le rispettive “elemosine” di stato alle imprese e ai ceti deboli, è utile ricordare che l’importanza raggiunta nel mondo dal pensiero di Antonio Gramsci, sta nel fatto che egli ha spiegato sia le ragioni della forza del liberalismo e del capitalismo, sia le vie con cui un movimento rivoluzionario può crescere anche quando il vecchio regime sembra saldo al potere.

Una specie di “Che fare?” in quelle che Gramsci chiama le democrazie moderne e che assume la  lezione del “Che fare?” di Lenin, non per adesione ma per sua riflessione. 

A differenza degli antideologici no-global, che come i locali e presunti globali movimenti statunitensi si sperdono in gruppetti che si muovono su tutto e non cambiano niente, Gramsci ha colto l’importanza del momento ideologico dello Stato e della cultura, sviluppando la concezione “dell’egemonia”(rintracciata in Machiavelli), con cui un sistema sociale ed economico, anche se in crisi, può conservare il consenso, e la classe operaia può stabilire la sua superiorità culturale e morale ed espandere la sua influenza senza stare al governo, come  è avvenuto in Italia fino alla metà degli anni ’70.

Gramsci ha infatti analizzato come il dominio di una classe, oltre che il prodotto del suo potere economico o della coercizione, è dovuto più alla capacità di persuadere il dominato, ad accettare il sistema di credenze della classe dominante e a condividerne i valori sociali, culturali e morali. Tanto che molti, che appaiono o vorrebbero essere suoi oppositori, finiscono in realtà con l’esprimersi nell’ambito di valori, forme filosofiche e di linguaggio dei dominanti.  Da qui la necessità di una riforma anche culturale e morale per realizzare la rivoluzione e la centralità dell’istruzione e della cultura.

Con studi storici più profondi di ogni altro, Gramsci ha dimostrato l’importanza che ha un’élite intellettuale – ad es. come la “classe” sacerdotale medioevale – nel mantenimento di un sistema politico e sociale. Da questo delineò in teoria e in pratica il ruolo del partito, trovando anche una variazione rispetto a ciò che Lenin aveva sperimentato in realtà diverse.

Un partito “crogiolo dell’unificazione di teoria e pratica intesa come processo reale”, un “intellettuale collettivo” che  trovò un’attuazione nella dottrina del “partito nuovo” di Togliatti, del partito comunista di massa, saldamente organizzato, capace di condurre una battaglia per esercitare ed allargare l’influenza politica, sociale e culturale della classe operaia in un sistema politico ed economico di capitalismo avanzato, in grado di collegare l’attività quotidiana con l’obiettivo finale del socialismo, combinando rivendicazione immediata e prospettiva strategica.

Invece della “dittatura” del partito in nome del proletariato, Gramsci ha indicato una tensione dialettica tra chi guida e chi è guidato, con la partecipazione delle masse alle decisioni politiche del partito e delle istituzioni. Un partito di teoria e organizzazione, ma chiedendosi: “quale organizzazione?”.

Ciò anche per il concetto gramsciano di “società civile”, come sindacati, partiti e associazioni che cercano “il consenso” delle masse, luogo di lotta per l’egemonia di un gruppo sociale sulla società, in cui gli intellettuali hanno un ruolo fondamentale. Chi vuole persuadere con il consenso e l’egemonia, dice Gramsci, deve farsi portatore di un progetto universale, chiarendo perché chi ha abbandonato il progetto del socialismo oggi perde credibilità,  egemonia e consensi.

In contrasto con la politica, o lo stato, intesi come comando, coercizione o anche, dice Gramsci, dittatura, qui c’è il principio del “consenso”,  un pensiero, specie dei Quaderni,  ed una esperienza storico-politica del partito comunista fondato da Gramsci, diversi, alternativi ed incompatibili con l’ortodossia stalinista.

I diessini ex-ex Pci, evidentemente, usavano strumentalmente Gramsci – per molti il teorico più importante dai tempi di Lenin -, in quanto, per essi, la sola scelta restava o quella stalinista o il revisionismo ex-riformista a cui si sono rivolti. Entrambe fondate sul comando burocratico dall’alto, che esclude ogni vera dialettica masse-partito, base-vertice. Sicché hanno introdotto il “culto della personalità” e il presidenzialismo “de facto”, con maggioritario e nome del candidato-presidente sulle ultime schede elettorali. E, anziché “il consenso”, praticano il comando coercitivo del vertice sulla base nelle loro organizzazioni, trasformate – con finanziamenti ai vertici della diade destra/sinistra – da “società civile” in organismi parastatali di dominio sulla società, in lotta per la mera gestione del potere.  A conferma che la lezione di Gramsci risulta fondamentalmente tradita.

Per un’efficace protesta Caro Gramsciultima modifica: 2011-12-23T08:02:00+01:00da iskra2010
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