Ratzinger o fra Dolcino? 3 parte

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“Nel 1931, l’allora ambasciatore degli Stati Uniti Sheldon Whitehouse designò come presidente del Guatemala il generale Jorge Ubico. In prima istanza Whitehouse aveva puntato sul generale Jorge Reyes, ex ministro della Guerra, diventato famoso per aver ordinato la fucilazione dell’intero corpo diplomatico accreditato presso il governo del Guatemala. Reyes era analfabeta e un gruppo di suoi oppositori sfruttò questa circostanza per recarsi da Whitehouse e convincerlo che in un paese dove gli analfabeti non avevano diritto di voto, un uomo che non sapeva leggere e scrivere non poteva diventare presidente della Repubblica.

Ubico si vantava di somigliare a Napoleone Bonaparte. Aveva anche un suo repertorio di frasi memorabili. “Il popolo va affamato,” soleva dire. “Un popolo che ha fame lotta per il pane e non ha tempo di combattere il governo”. Ma gli operai gli facevano paura. Dopo averne fatto giustiziare il leader, Pablo Wainwright, promulgò una legge che proibiva l’uso della parola “obrero” (operaio). L’unico termine consentito era “empleado” (lavoratore).

Nel 1936 scadeva il termine, previsto dalla costituzione, del mandato presidenziale di Ubico. Il generale fu convocato presso la sede della United Fruit Company. “Signor Ubico” gli disse il direttore, “se vuole restare presidente deve firmare una legge che annulli tutti i debiti contratti dalla United Fruit con il governo del Guatemala (da anni il monopolio non pagava le imposte) e proroghi le nostre concessioni fino al 1981.” Ubico fu ben lieto di firmare, assicurandosi la presidenza per altri otto anni. Il legale incaricato di redigere la legge altri non era che John Foster Dulles, allora avvocato della United Fruit e futuro segretario di stato degli USA.

Il generale provava un tale gusto nel governare che una volta, alla radio, dichiarò: “Se sarò costretto ad abbandonare il potere, me ne andrò, ma immerso nel sangue fino alle ginocchia”. Bisognerebbe provare a calarsi nell’atmosfera di un paese il cui presidente pronuncia alla radio simili dichiarazioni.

Come capo di stato, Ubico emanò gli ordini più strani. Fece catturare gli indios che vivevano nei boschi di Petèn, dopodiché, li fece esporre chiusi in gabbie di ferro, nello zoo La Aurora della capitale. Nel 1940 ordinò il censimento della popolazione. Quando glielo presentarono, depennò  dalla lista gli abitanti delle città e dei villaggi dove ricordava di essere stato accolto con scarso entusiasmo. Sottrasse il numero degli oppositori dalla cifra globale della popolazione e presentò la differenza come il risultato ufficiale del censimento.

Durante i quattordici anni della sua dittatura Ubico costruì ventisette chilometri di strade. Quattordici anni per realizzare un tratto di strada pari a quello che unisce Varsavia a Michalin. Ma il generale non aveva tempo: era troppo occupato a praticare la terapia del silenzio. Per questo ci è impossibile calcolare il numero delle sue vittime”. [20]

La grande rivoluzione cubana del 1956/61, il diffondersi a livello di massa nel continente di convinzioni anti imperialistiche, la lotta ed il sacrificio del Che in Bolivia, l’esempio individuale di preti eroici quali Camillo Torres, che prese parte in prima persona e fino alla sua morte al movimento di guerriglia in Colombia, costituirono un insieme combinato di fattori che aiutarono la progressiva formazione ed il consolidamento della Teologia della Liberazione sudamericana.

Fin dal 1958 iniziò a strutturarsi in Brasile un movimento di comunità ecclesiastiche di base (CEB), e sempre quasi nella stessa fase e nella poverissima regione del Nordest brasiliano un insegnante di Recife, Paulo Freire, sviluppò un nuovo metodo di alfabetizzazione attraverso il processo di presa di coscienza dei soggetti interessati, coinvolgendo anche ampi settori di studenti e dei lavoratori dell’Azione Cattolica locale.

Fin dal 1963, inoltre, l’opera del prete francese P. Gauthiet “I poveri, Gesù e la Chiesa”, venne tradotta in America Latina provocando subito un grande impatto ed influenzando direttamente l’elaborazione di G. Gutierrez, considerato il primo teorico sudamericano della teologia della liberazione; il fermento dal basso era ormai diventato tale da contagiare persino una parte minoritaria dell’alto clero sudamericano (H. Camara in Brasile, Oscar Romero in Salvador, ecc) e da condizionare parzialmente, seppur solo a livello formale, le conclusioni della conferenza dei vescovi latinoamericani di Medellin dell’agosto del 1968: in esso prevalse l’opzione della scelta preferenziale della chiesa “a favore  dei poveri”, senza tuttavia affrontare temi quali la lotta di classe e la scelta di campo a favore del socialismo.

Dopo alcuni anni di consolidamento, nell’agosto del 1975 si tenne  un congresso teologico in Messico, a cui parteciparono più di settecento sacerdoti e teologi ed in cui venne affrontata proprio la tematica della “liberazione e cattività”. Quasi subito dopo quell’incontro, il francescano brasiliano Leonard Boff pubblicò il libro “Teologia della cattività e della liberazione” (1976), che diventò una sorta di sintesi teologica e teorica dei cardini fondamentali della teologia della liberazione latinoamericana, entrata tra l’altro nel giro di tre anni in aperta collisione con le alte gerarchie vaticane e con l’arci-anticomunista papa Woityla.

Nel suo libro del 1986 “La teologia, la Chiesa, i poveri”, Boff espose i principali risultati a cui era arrivata gran parte della teologia della liberazione asserendo che “oggi” ( nell’America Latina post- 1958) “viene elaborato, nella teologia latinoamericana, questo particolare momento, unitamente con i poveri e con le loro lotte, animate e illuminate dalla fede ecclesiale. Al teologo che si è unito a quanti compiono questo cammino si impongono così, con ogni evidenza, alcune importanti questioni: Quale immagine di Dio emerge dalla pratica di liberazione? A partire  dall’impegno con chi non ha avuto giustizia, quali aspetti del mistero di Dio sono più rilevanti? Rilevante è l’immagine del Dio dell’Esodo, che ascolta il grido dell’oppresso, del Dio che sta dalla parte dei giudei contro il loro oppressore, il Faraone, il Dio della tenerezza verso gli umili, come appare nei profeti, o il Dio della vita, che opta per i poveri perché vuole garantire loro la sopravvivenza. Sarà sempre il Dio del mistero, del quale quasi non possiamo pronunciare degnamente il nome, ma che non sarà mai un Dio distante dal dramma umano e indifferente al grido di Giobbe.

Qual’è l’immagine di Cristo che scaturisce dall’esperienza religiosa, dalle battaglie e dai martiri delle comunità impegnate nella lotta per la terra, nella denuncia delle violazioni dei diritti umani, nell’aiuto dato alle donne costrette alla prostituzione? Sarà un Gesù Cristo liberatore, il quale annunciò un messaggio ricco di speranza, con una pratica alternativa a quella vigente ai suoi tempi, rispetto a Dio, ai beni, ai poveri, alla violenza e all’uso del potere; che per fedeltà a Dio, al suo progetto e a coloro che lui amava, affrontò la persecuzione e la morte violenta e che, alla fine, resuscitò per rivelare il progetto di Dio, sulla creazione: la nascita dell’uomo nuovo del cielo e della terra della nuova creazione.

Evidentemente Gesù è tutto questo e ancora di più, in quanto è mistero da adorare. E inoltre quali caratteristiche di Maria sono amate dai cristiani delle comunità di base? E’ la Maria che cammina al nostro fianco, la professoressa del Magnificat, che non ha avuto paura di supplicare a Dio la cacciata dei potenti e l’esaltazione degli umili, la Maria sempre solidale con il destino di Gesù. La Vergine è venerata come liberatrice, rimanendo al tempo stesso colei la quale ci insegna l’atto di fede, e ad accogliere la parola di Dio, la totale disponibilità al progetto del padre.

Che modello di Chiesa sottostà alle pratiche di partecipazione comunitaria, con nuovi ministeri e con la responsabilità sociale in rapporto ai mutamenti necessari nella società? Sarà innanzi tutto una Chiesa interamente Popolo di Dio, piuttosto che una Chiesa rigidamente gerarchizzata e divisa in chierici e laici. I vescovi saranno sempre vescovi, ma assumendo decisamente una missione evangelica di animatori di fede e di speranza: più pastori in mezzo al popolo che autorità ecclesiastiche che tutto controllano e sole decidono. Il laico si sentirà componente vivo della comunità con la capacità di esternarsi, di collaborare nella costruzione del consenso e di assumere la sua parte di responsabilità nell’evangelizzazione.

Infine, dallo spazio sociale degli oppressi risalta con evidenza la dimensione pubblica e sociale della fede cristiana, si comprende meglio il carattere strutturale delle ingiustizie, la dimensione di tutti coloro i quali vivono il processo di liberazione, con le lotte e le difficoltà che gli sono inevitabilmente connesse. Non si tratta assolutamente di negare o di dimenticare il momento personale e intimo della fede, in quanto permane sempre, anche nel sociale, la dimensione irriducibile della persona umana. Ma l’interesse per la liberazione integrale, storica, a partire dagli oppressi, allarga l’orizzonte dei problemi umani e svela le ricchezze nascoste nel messaggio evangelico che, in altro modo, non potrebbero venire alla luce.

D’altro canto il superamento della povertà iniqua per mezzo dell’impegno sociale, ispirato dalla fede, richiede la scoperta di quei meccanismi che producono e riproducono la povertà. Il teologo prova l’urgente necessità di allargare il suo sapere al di là della pura teologia. Perché la sua teologia sia di fatto liberatrice, deve appropriarsi di categorie analitiche, generalmente ricavate dall’interpretazione storico-strutturale del conflitto (la povertà è sempre conflittuale). Deve apprendere le regole di una giusta articolazione tra discorso di analisi storico-sociale e discorso di fede, in modo tale che la teologia conservi la propria identità e mostri la sua efficacia storica.

La pratica cristiana della liberazione assieme ai poveri richiede riflessione. Da qui nasce un’idea teologica che si denomina liberatrice in quanto elaborata nell’interesse della liberazione degli uomini e a partire dagli oppressi. Chi può negare al cristiano questo diritto, e cioè di pensare la propria pratica di fede nel contesto sociale? [21]

Nella stessa opera, Boff affermò decisamente la necessità di “andare oltre le riforme sociali”, pur utili e necessarie, al fine di creare una nuova società “più diffusa ed egualitaria”. La scelta di campo filocollettivistica dell’autore – e di gran parte della teologia della liberazione – risulta chiara, seppur senza pronunciare apertamente la parola socialismo, assumendo tra l’altro un ampio respiro storico proprio recuperando e valorizzando la splendida figura di Francesco d’Assisi: la “linea rossa” religiosa aveva ormai accumulato una sua forte e sentita memoria storica, ben cristallizzata.

“Ciò che caratterizza in modo ben definito la Chiesa latinoamericana è senza dubbio la sua opzione preferenziale e solidale a favore dei poveri e contro la povertà. Profonda è la fede del popolo povero. Questa fede, oltre a garantire la dimensione suprema della promessa di salvezza eterna, assume il significato di fortissima motivazione intesa a contestare la realtà iniqua sofferta dai poveri per la loro liberazione e per l’affermazione di forme di convivenza più partecipative  e generatrici di vita. Si è diffusa sempre più la convinzione che non sono più sufficienti le soluzioni tradizionali proposte dalla fede cristiana: soccorrere paternalisticamente il povero Lazzaro e fare del ricco epulone un buon ricco. E’ necessario andare oltre le riforme sociali, anche se queste devono comunque essere fatte, urge camminare nella direzione della liberazione di questo tipo di società, verso una società più diffusa ed egualitaria. Di questo progetto devono farsi carico le classi maggiormente interessate ai cambiamenti storico-sociali: gli oppressi e i loro alleati. La centralità del povero è fondamentale per una prassi corretta e liberatrice.

In questo contesto risalta la figura di Francesco d’Assisi. In America Latina egli è diventato un archetipo dell’anima popolare. E’ rappresentato in mille modi e ha dato il suo nome a un gran numero di luoghi, di città e di chiese. In lui i cristiani latinoamericani vedono soprattutto il Poverello, colui che amava i poveri, che si fece uno di loro. Infatti, san Francesco si presenta quale patrono dell’opinione preferenziale a favore dei poveri. Mai nessuno, nella storia della Chiesa, ha inteso così profondamente la solidarietà, anzi, l’identificazione con i poveri e con il Cristo povero. Vale la pena di tornare sulla sua vita e sul suo esempio per sviluppare le intuizioni della Chiesa latinoamericana (e anche quella di tutto il mondo) per quanto concerne la sua missione liberatrice in mezzo ai poveri e, a partire da essi, insieme a tutti gli uomini”. [22]

Secondo Boff, “di fronte a un sistema feudale centralizzato “sui maggiorenti”, Francesco si presenta come “minore”. Di fronte a una borghesia organizzata secondo le regole del plusvalore, Francesco si propone l’ideale della povertà radicale e della completa rinuncia all’uso del denaro. Di fronte alla Chiesa, dominata dall’egemonia del sacerdozio (clericalismo), si presenta come laico; e anche in seguito, il suo diventare diacono non si legherà a nessun beneficio, dato che si considerava frater, senza secondo alcun titolo gerarchico

Abbandonò una situazione e ne scelse un’altra con cui identificarsi: “Il Signore mi ha guidato tra i lebbrosi” (feci misericordium cum illis). Non optò semplicemente per i poveri, ma per i più poveri tra i poveri, per i lebbrosi, che chiamava affettuosamente “i miei fratelli cristiani” o “miei fratelli di Cristo” …

Osservato dal punto di vista del sistema vigente, sia esso feudale o borghese, il cammino di Francesco sembra una pazzia. Il Poverello ne ha chiara coscienza: “Il Signore ha rivelato essere suo volere che io fossi un pazzo nel mondo”. Ma questa “pazzia” fonda una nuova forma di convivenza, apre la prospettiva di un mondo nuovo nel quale gli uomini possono sentirsi fratelli … Francesco ha intuito, probabilmente in maniera non riflessiva, che il fondamento della nuova società nascente (borghese) era radicato nell’appropriazione basata sull’espropriazione. Il suo ideale era, secondo la formula di san Bonaventura, quello di vivere inpaupertate alltissimma et mendicatione humillima. La rinuncia ad appropriarsi di beni, e quindi all’espropriazione, è al servizio di questo ideale di identificazione con coloro che sono realmente poveri e con il Cristo povero. Francesco conosce la maniera sottile attraverso le quali lo spirito umano è coinvolto nel gioco dell’appropriazione, si impossessa di beni materiali, spirituali e religiosi. Tutte queste forme di proprietà sono rifiutate da Francesco. Materialmente i fratelli devono vivere come i più poveri, come coloro che non hanno nessun mezzo economico. Spiritualmente devono vivere come minori, rinunciando a qualunque tipo di potere, all’uso del proprio talento o di qualunque carica per autopromuoversi, superando ogni tipo di fariseismo che non significa altro che arroganza in base alle virtù conquistate. Religiosamente i fratelli non devono “gloriarsi né godere tra sé, né di esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere, anzi di nessun bene che Dio dice, o fa o opera talora in loro e per mezzo di loro”.

Eppure, malgrado questo radicalismo, la povertà non è mai pervenuta a rappresentare un valore assoluto. Essa è relativizzata in quanto rappresentata quale necessità vitale (necessaria vitae). La povertà ha come base la fraternità con i poveri e con coloro che seguono l’esempio di Cristo e della Vergine,  che furono poveri in questo mondo”.  [23]

Anche l’analisi dell’imperialismo effettuata da Boff risultò chiara e tale da non lasciare spazio ad equivoci, notando che “le antiche metropoli degli imperi coloniali si sono industrializzate, dato che furono le prime ad attingere ai benefici del progresso: la scienza, la tecnica e l’accesso alle ricchezze naturali, ovunque si trovasse. Le ex colonie costituiscono oggi la cintura dei paesi sviluppati. Tra sviluppo, da un lato, e sottosviluppo, dall’altro, vigono forti legami causali. Povertà e ricchezza non sono mai esistite una slegata dall’altra. Per sua propria natura storica l’una è connessa all’altra e vive dell’altra. Attualmente, i rapporti tra paesi ricchi (generalmente localizzati nel Nord) e paesi poveri (situati al Sud) non sono di interdipendenza, bensì di vera e propria dipendenza economica, politica, ideologica e, in certi casi, persino religiosa. Si mantengono i paesi poveri in una condizione di sottosviluppo; si cerca in mille modi di convincere i poveri che saranno sempre poveri e che la loro salvezza sta nell’accordo e nella lealtà nei confronti del blocco dei paesi sviluppati.

L’analisi mostra in maniera convincente che dei benefici dell’immenso processo di sviluppo se ne appropriano i paesi già ricchi o, nei paesi poveri, quelle classi sociali ugualmente ricche e legate alle classi dominanti dei paesi ricchi; i danni, intanto, sono addebitati ai paesi poveri (in realtà impoveriti) e ai settori più deboli della popolazione dei paesi periferici.

Questo tipo di rapporto asimmetrico e ingiusto provoca nel Terzo Mondo un crescente processo di impoverimento, ai danni della stragrande maggioranza della popolazione”. [24]

In sostanza quasi tutta la teologia della liberazione, a partire da Boff, avrebbe potuto condividere la vibrante dichiarazione fatta da Frei Betto in un suo serrato dialogo con Fidel Castro del 1985, su cui ritorneremo in seguito, quando il padre francescano notò che “il dio” (con la lettera minuscola, si noti bene) “che negate voi marxisti-leninisti è lo stesso dio che nego io, il dio del capitale, il dio dello sfruttamento, il dio nel nome del quale fu promossa l’evangelizzazione della Spagna e del Portogallo in America Latina, con il conseguente genocidio degli indios; il dio che giustificò e benedisse i vincoli della Chiesa con lo Stato Borghese; il dio che oggi legittima dittature militari come quella di Pinochet. Questo dio che voi negate e che Marx a suo tempo denunciò lo neghiamo anche noi. Non è il Dio della Bibbia, non è il Dio di Gesù”.[25]

L’ampio processo di elaborazione teorica della teologia della liberazione si trasformò anche in  pratica politica-sociale di carattere collettivo, oltre che in appoggio diretto alle forze della sinistra antimperialista operanti all’interno del continente sudamericano, influenzandole in modo a volte diretto e multilaterale.

Ad esempio il Fronte Sandinista nicaraguense, che riuscì a cacciare la dittatura di Somoza nel luglio del 1979 dopo una lunga lotta armata iniziata nel 1961, ebbe a partire dalla fine degli anni Sessanta numerosi sostenitori tra i cattolici locali legati alla teologia della liberazione, tra i quali assunse un notevole peso la celebre figura di padre Cardenal e del prete cattolico Miguel d’Escoto Brockmann. Non solo quest’ultimo divenne il ministro degli esteri del nuovo governo sandinista, partendo dal luglio del 1979 fino al febbraio del 1990, ma contribuì sensibilmente al processo di elaborazione della teoria sandinista rispetto al rapporto dialettico sussistente tra religione e sfera politico-sociale, che trovò il suo punto di sintesi nel documento approvato dal Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale nell’ottobre del 1980. In esso si rilevava apertamente che “alcuni autori” (Marx, e non solo) “hanno affermato che la religione è un meccanismo di alienazione degli uomini e serve per giustificare lo sfruttamento di una classe sull’altra. Tale affermazione possiede, certamente, un suo valore storico, dal momento che in alcuni periodi storici la religione ha svolto il ruolo di supporto teorico del potere politico. Basta ricordare il ruolo svolto dai missionari durante il processo di dominazione e di colonizzazione degli indios nel nostro paese. Noi sandinisti, però, affermiamo, sulla base della nostra esperienza, che quando i cristiani, basandosi sulla loro fede, sono capaci di andare incontro ai bisogni del popolo e della storia, sono le loro stesse convinzioni religiose che li portano alla militanza rivoluzionaria. La nostra esperienza dimostra che si può essere cristiani e, nello stesso tempo, rivoluzionari coerenti e che non esiste contraddizione insanabile tra le due realtà”. [26]

La religione “oppio dei popoli”? Per molti cattolici nicaraguensi era stato invece vero proprio il contrario, con una pratica di massa (anche armata…) che il Fronte aveva sintetizzato correttamente sul piano teorico alla fine del 1980.

Anche in Salvador, nel 1978/89, si sviluppò l’impegno di molti credenti e di alcuni sacerdoti a fianco della forte guerriglia del Fronte Farabundo Marti, mentre una parte del clero si schierò apertamente a fianco dei lavoratori e delle masse popolari del paese: a partire dall’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, che venne ucciso dagli squadroni della morte nel 1980 proprio a causa del suo coraggioso impegno politico-sociale e della sua aperta simpatia per la teologia della liberazione.

Una settimana prima di essere assassinato, Romero rivendicò il suo legame profondo con il popolo salvadoregno affermando che “sono stato spesso minacciato di morte; devo dir loro che come cristiano non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccideranno, risorgerò tra il popolo salvadoregno. Dico questo senza nessuna millanteria, ma con profonda umiltà. Come pastore sono obbligato, per mandato divino, a dare la mia vita per quelli che amo, che sono tutti i salvadoregni. Anche per quelli che mi vogliono uccidere. Se riusciranno a mettere in atto le loro minacce, già fin da ora offro a Dio il mio sangue, per la redenzione del Salvador. Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare; comunque, se Dio accetta il sacrificio della mia vita, possa il mio sangue essere seme di libertà e segnale che la speranza sarà presto una realtà. La mia morte, se è accettata da Dio, sia per la liberazione del mio popolo e testimone della speranza per il futuro. Possiamo dire che, se arriveranno ad uccidermi, io perdono e benedico quelli che lo faranno”. [27]

Dopo il lungo riflusso e la “glaciazione decennale” seguita sia al crollo del muro di Berlino che alla simultanea sconfitta del processo antimperialista in Nicaragua, la “linea rossa” religiosa in America Latina prese un nuovo slancio a partire dal dicembre del 1998 e con la vittoria politica-elettorale ottenuta in Venezuela dal cattolico praticante Hugo Chavez e dal suo movimento bolivarista, permeato allo stesso tempo dalle tesi principali della teologia della liberazione e da una forte carica antimperialista ed anticapitalista, vicino simultaneamente al cristianesimo rivoluzionario ed al marxismo, depurato ovviamente dalla concezione del mondo materialistico-dialettica ed atea.

Chavez costituisce una nuova figura di leader anticapitalista che “agita un crocefisso  mentre cita Che Guevara e Mao Tse-Tung”, hanno notato giustamente C. Marcano e A. Barrera Tyszka in una biografia dedicata alla sua figura”. [28]

La sintesi effettuata da Chavez tra Gesù e Marx è emersa con particolare evidenza in un suo discorso del 31 maggio del 2009, che concentra la costante pluridecennale delle sue riflessioni rispetto alla relazione tra religione e socialismo. Dopo aver citato il Marx della Critica al programma di Gotha e Simon Bolivar, Chavez ha rilevato che “queste sono le ragioni per le quali, mentre più studiamo la storia delle idee, mentre più approfondiamo e comprendiamo i grandi pensatori della e per la umanità, da Cristo a Fidel, ogni giorno, con maggior forza e radicamento, la nostra rivoluzione è più Bolivariana che mai!

Ho detto Cristo, e dico Cristo, senza dubbio.

Gesù era un vero pensatore socialista. E qualcosa di più importante fu conseguente lottatore socialista fino al suo ultimo canto: “Tutto è compiuto”.

Da una vecchia enciclopedia che mi accompagna dai miei giorni di tenente colonnello del Battaglione Blindato  Bravo di Apure, in quei giorni nei quali un piccolo gruppo di giovani ufficiali patrioti dell’Esercito cominciavano a creare le prime cellule del Movimento Bolivariano, estraggo quanto segue:

“In tempi di grande tensione interna ed esterna, alla vista della crescente miseria dei poveri e della massima concentrazione di ricchezza in poche mani, apparvero i grandi profeti ed esortarono alla reversione in quelle condizioni.

Nell’anno 765 prima di Cristo, apparve il più antico e forse il più grande di quei profeti, Amos, e lanciò il nome di Geova la sua maledizione contro i ricchi:

“Voglio inviare a Giuda un fuoco che annichilirà i palazzi di Gerusalemme… per lui, perché vendettero il giusto per denaro e al povero per un paio di scarpe. Mettono la testa dei poveri nel fango ed impediscono il passo ai miseri” (Amos, 2, 5/7)”.

E più avanti si può leggere:

“Toni identici troviamo in Oseas e, soprattutto, in Isaia: Guai a coloro che aggiungono una casa all’altra ed un campo all’altro, fino a che termini lo spazio impadronendosi di tutta la terra! (Is., 5, 7)”.

Dopo arrivò Cristo a condannare i ricchi. Qui nel sermone della Montagna:

“Siate benvenuti voi, i poveri, perché vostro sarà il regno di Dio. Siate benvenuti, voi, gli affamati perché sarete saziati. Siate benvenuti voi, quelli che hanno pianto, perché riderete… Ma, al contrario, guai a voi, i ricchi!… guai a voi, che siete sazi, perché patirete la fame. Guai a voi che adesso ridete, poiché piangerete ed urlerete”. (Luc., 6, 20.25).

A te, compatriota, uomo, donna, giovane, che mi leggi in queste linee domenicali, l’ultimo giorno di questo mese di maggio, ti dico: Chi ha gli occhi per vedere che guardi e chi ha orecchie per sentire che ascolti!” [29]

Da Amos al Venezuela del 2009/2011, senza soluzioni di continuità: come con Boff, la tendenza antagonista di matrice cristiana dimostrò anche grazie a Chavez di avere ormai una memoria storica consolidata e condivisa ampiamente, almeno in America Latina.

L’esempio del cristiano-marxista Chavez e del suo dirompente movimento bolivariano è stato sicuramente contagioso, tanto che nel dicembre 2009 Walter Altmann – pastore protestante e presidente della chiesa evangelica della confessione luterana – ha notato giustamente che ormai “l’influenza della teologia della liberazione va ben al di la del campo della chiesa. Abbiamo già parlato del suo contributo al rovesciamento delle dittature militari in America del Sud e alla fine dell’apartheid in Sud Africa. Oggi, contribuisce a forgiare gli sforzi politici dell’America latina per stabilire un modello di democrazia che elimini la povertà e le ingiustizie sociali. Diversi presidenti latinoamericani – Lula in Brasile, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Equador, Daniel Ortega in Nicaragua e Fernando Lugo in Paraguay – hanno tutti avuto, in vari modi, stretti contatti con comunità di base cristiane e con teologi e teologhe della liberazione.

Ma, al di la di tutto, la teologia della liberazione resta viva e vegeta e ben integrata nei movimenti della società civile e nelle comunità cristiane di base”. [30]

Ne fanno parte il presidente ecuadoregno R. Correa, (che si autodefinisce umanista e cristiano di sinistra, oltre che fautore di un “socialismo del XX secolo”), il presidente peruviano O. Humala, il presidente (ed ex vescovo cattolico) del Paraguay F. Lugo.

La “linea rossa” religiosa ha trovato realmente una sua precisa sponda e dei referenti politici in molte nazioni del continente sudamericano del terzo millennio, anche se il processo di transizione al socialismo è solo nella fase iniziale persino nelle “punte avanzate” del Venezuela e della Bolivia: si tratta di fenomeni politico-sociali importanti ma ancora fragili e reversibili, sempre sottoposti alla continua pressione e dalle controffensive dell’imperialismo statunitense e delle borghesie autoctone, supportate molto spesso – vedi Venezuela – dall’alta gerarchia cattolica locale. In ogni caso, tuttavia, essi rappresentano fin da ora un tassello importante ed un indiscutibile salto di qualità nella storia ormai plurimillenaria della tendenza collettivistica all’interno della sfera religiosa del mondo occidentale, in una dinamica complessa ed articolata che – con alti e bassi, vittorie e sconfitte – continuerà a nostro avviso a svilupparsi ed evolversi anche nel futuro e per  il Ventesimo secolo, apprendendo dall’esperienza concreta e dai suoi multiformi lati positivi/negativi.

Non è certo casuale che nel  2007 il congresso continentale della teologia della liberazione si sia tenuto a Caracas e che proprio Raul Baduel, ministro della Difesa venezuelana, vi abbia tenuto un discorso di ampio respiro storico-teorico, con numerose citazioni bibliche e frequenti riferimenti alla buona novella annunciata da Gesù; o che alla testa del Paraguay vi sia dall’aprile del 2008 un ex-vescovo, Fernando Lugo, da sempre in piena sintonia con le posizioni della teologia della liberazione ed amico di Frei Betto, non a caso attaccato per la sua scelta politica dal Vaticano e dal papa Ratzinger proprio all’inizio del 2008. [31]  

Da Amos fino a Chavez e Morales. Un lungo viaggio che merita un tentativo di sintesi e di approfondimento teorico, visto che nel corso degli ultimi tre millenni la presenza concreta della “linea rossa” in campo religioso è stata quasi costante e relativamente consistente  all’interno del mondo occidentale, fatto testardo che pone seri problemi alle “classiche” tesi del materialismo storico.

A nostro avviso il marxismo ha fornito una risposta corretta alla principale questione legata al  fenomeno religioso, alias la derivazione/non derivazione di quest’ultimo dalla pratica umana:  l’uomo ha creato le multiformi divinità e non invece il contrario, cosicché l’umanesimo ateo-collettivistico corrisponde e riflette la dinamica reale dell’universo filtrata dall’esperienza scientifica e storica della nostra specie. Vanno in questo senso non solo alcuni tradizionali punti di forza dell’umanesimo ateo, quali il problema del male (“se Dio è buono, perché tanta sofferenza”), il silenzio della natura e l’estinzione di circa il 99,9% delle specie animali riprodottesi sulla terra a partire da quasi quattro miliardi di anni orsono, ma anche il processo di estinzione e scomparsa di gran parte delle religioni in cui avevano creduto gruppi più o meno vasti di uomini, dal medio paleolitico fini all’ultimo millennio.[32]

Il meraviglioso culto della Dea, sorto circa trentamila anni fa, è rimasto solo un ricordo di un lontano passato …

La religione degli aztechi, ha subito la stessa sorte …

Catari e Bogomili: come sopra, e l’elenco potrebbe essere notevolmente allungato.

In secondo luogo, il marxismo ha sicuramente colto nel segno quando ha sottolineato con forza il collegamento dialettico , ma innegabile, via via formatosi e riprodottosi costantemente dopo il 3700 a.C. tra le alte gerarchie ecclesiastiche (con rarissime eccezioni, che confermano pienamente la regola) e la riproduzione delle società classiste, a partire da quella teocratica che contraddistinse la prima fase di sviluppo dei sumeri fino ad arrivare ai nostri giorni.

Il pensiero sociale contemporaneo del Vaticano, per fare solo uno degli esempi più pregnanti, nacque quasi simultaneamente allo sviluppo dell’imperialismo. Il rapporto della chiesa cattolica col capitale è descrivibile come una dialettica in cui da un lato (principale) vi è l’alleanza e la difesa dei principi del capitale, “in particolare in funzione di conservazione di un ordine sociale che consenta alla chiesa di mantenere il suo potere, che verrebbe compromesso dalla vittoria di una lotta di classe egemonizzata dai comunisti, dall’altro permane una sorta di atteggiamento di “distacco” e “superiorità” della chiesa rispetto al capitale, più sul piano ideale che non su quello reale, (in quanto l’opera della chiesa è comunque situata all’interno della realtà del modo di produzione capitalistico), che porta a denunciare i “mali” e le “storture” del capitale stesso. I due lati della contraddizione non hanno però la stessa forza proprio per la sussunzione della chiesa alla realtà mondiale del capitale e perché l’eventuale alternativa, nascente dalle contraddizioni del modo di produzione dominante, sarebbe peggiore dell’alleanza che permette alla chiesa di conservare la sua autorità contribuendo al mantenimento dell’ordine capitalistico.

Agli “eccessi” del capitale la chiesa supplisce col principio della “sussidiarietà”. Innovazione che viene introdotta da Pio XI nella nuova fase dell’imperialismo, quella del capitalismo monopolistico di stato, in cui con un’organica collaborazione con lo stato capitalistico (nella forma corporativistica fascista) vengono delegate ai corpi intermedi della società una serie di funzioni economiche, assistenziali ed educative dando così ampio spazio a scuole, ospedali, sindacati, assicurazioni, banche legate alla chiesa. Da qui in avanti la sussidiarietà costituirà un elemento fondamentale del corporativismo cattolico …”  [33]

L’alleanza tra “trono ed altare” (neocristiano) continua ancora all’inizio del terzo millennio, seppur con un margine d’autonomia e di critica delle alte gerarchie ecclesiastiche rispetto al “trono” capitalistico.

Come ha rilevato giustamente Fidel Castro, nel suo affascinante dialogo con Frei Betto, “non si può negare che storicamente la Chiesa – diciamo almeno una certa Chiesa – sia stata a fianco dei conquistatori, degli oppressori e degli sfruttatori. Non c’è mai stata una condanna precisa e categorica della schiavitù dei negri e degli indios, e nemmeno della sterminio di popolazioni autoctone, e di tutte le atrocità quali l’esproprio delle terre, delle ricchezze, della cultura e della vita. Nessuna Chiesa ha condannato questo sistema che si è protratto per secoli. Forse in futuro, tra cento o duecento anni, qualcuno lamenterà come per secoli le Chiese dei capitalisti non hanno condannato il sistema capitalistico, né l’imperialismo, come oggi dobbiamo riconoscere che non hanno condannato la schiavitù, lo sterminio degli indios e il sistema colonialista “. [34]

Focalizzando l’attenzione sul Vaticano e le alte gerarchie cattoliche, nel periodo seguente al crollo del muro di Berlino, risulta facile notare come nell’enciclica Centesimus Annus (1991) prodotto da papa Woityla il capitalismo venga accettato senza troppe riserve, purché temperato e rivolto al “bene comune”. Il socialismo veniva considerato una dottrina “sommamente ingiusta” nella sua volontà di sopprimere la proprietà privata, anche astraendo dal suo ateismo, mentre per quanto riguarda i “principi” del capitalismo e del liberalismo, Woityla affermò chiaramente che la chiesa cattolica non condannava assolutamente “l’economia di mercato, la proprietà della terra o il concetto di mercato”, purché fossero strumenti rivolti al “bene dell’uomo” (nessun capitalista sano di mente lo negherebbe). Si criticavano gli “eccessi”, non certo la struttura fondamentale e le sue dinamiche principali di sviluppo del capitalismo su scala planetaria. [35]

Una linea di tendenza iperegemone ed innegabile, che è proseguita e si è espressa con chiarezza anche nella enciclica “Caritas in veritate” scritta da papa Ratzinger e pubblicata nel 2008, nella quale certo si critica la speculazione finanziaria e “l’avarizia umana” che hanno portato ad avviso del Vaticano alla gravissima crisi economica planetaria del 2007/2009, ma senza mai mettere in discussione (non diciamo effettuare una diversa ed alternativa scelta di campo socio produttiva…) il sistema capitalistico nel suo complesso come fonte inevitabile del processo di sovrapproduzione di capitali e merci, dello sfruttamento imperialistico di un pugno di nazioni avanzate rispetto a gran parte delle altre, di guerre e folli spese per gli armamenti (Stati Uniti in testa, ma non solo…), della devastazione dell’ambiente ecc.

Papa Benedetto XVI si è limitato ad aggiungere che la ”libertà nell’economia”, alias la logica del profitto, deve essere “inquadrata in un solido contesto giuridico ed ancorata a precisi valori etici e religiosi”, specialmente “la  carità sociale” e “l’etica della responsabilità”, mentre a giudizio del Vaticano la proprietà privata “si giustifica moralmente nel  creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti”. [36]

Il “capitalismo democratico” (Nowak), temperato da saldi etico-religiosi, rimane l’obbiettivo centrale del Vaticano all’inizio del  terzo millennio, mentre il profitto capitalistico continua a rappresentare per l’alta gerarchia cattolica un “mezzo utile”, purché orientato “per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società”. [37]

Non a caso B. Nogara, il grande finanziere che riorganizzò la struttura economica della chiesa in senso pienamente capitalistico a partire dalla fine degli anni venti dello scorso secolo, venne quasi subito soprannominato il “banchiere di Dio” inviato dalla Provvidenza ad esaltare i capitali della Chiesa, in qualche modo diventato membro della santa casta, come benefattore, ma  anche ovviamente usufruttuario di parte di quelle ricchezze, delle quali non è lecito  saper l’entità.

Anche perché Nogara impegna in questa grandiosa operazione finanziaria personalità laiche della Santa Sede, a cominciare da quando, il 4 giugno 1929, dà vita alla società di assicurazioni Praevidentia con i senatori fascisti Stefano Cavazzoni e Giuseppe Bevione, Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Consiglio nazionale fascista, nonché uno dei sequestratori di Matteotti, e il conte Franco Ratti, nipote di Pio XII; da qui sorgerà la prima società per la produzione di gas liquido. Tutto in un forte rapporto che si viene a creare tra la Santa Sede e il regime fascista. Di seguito gli uomini della Santa Sede entrano nei consigli di Breda, Dalmine, Reggiane e Ferrorotaie, Società elettriche Italia centrale, Società agricola lombarda di Milano; e sono sempre i Pacelli a essere presenti, con i nipoti del segretario di Stato, Carlo, Marcantonio e Giulio, che sono la crema laica della santa casta.

Per altro la Santa Sede non si limita a partecipare, ma dà vita ad iniziative proprie, come la Società Romana di Finanziamento e l’Istituto Centrale di Credito, forte dell’appoggio del regime fascista in qualche modo interessato a certe operazioni di mercato. È cosi che la Santa Sede riesce a fronteggiare il crack nel quale si trovano coinvolte negli anni Trenta le banche cattoliche, ovvero il Banco di Roma, il Banco di Santo Spirito e il Credito Sardo, oltre alle due laiche Comit e Credito Italiano. Il governo fascista interviene trasferendo i titoli bancari vaticani nel nuovo Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), pur avendo un valore superiore a quello di mercato, come viene rilevato in una nota dell’istituto: “il valore che venne così accreditato alle banche era superiore, evidentemente al valore attribuibile alle partite trasferite all’IRI; la differenza  tra il valore riconosciuto e il valore delle posizioni trasferite costituì la perdita dell’operazione di risanamento addossata all’Istituto”. E tutto per altro a ricasco dei lavoratori italiani, sui quali nel 1934 finisce addossata la perdita delle speculazioni della Santa Sede, con un costo per l’IRI di 6 miliardi di lire, pari a 4272 miliardi di euro odierni”. [38]

In ogni caso l’esperienza mostra come il marxismo abbia colto nel segno su due questioni fondamentali nel processo generale di analisi del fenomeno religioso, ma che tuttavia non lo esauriscono di certo. Esse costituiscono il 60% della tematica in oggetto, lasciando tuttavia scoperto il rimanente 40% e molti nessi di notevole rilevanza, sia teorica che direttamente politica, sui quali purtroppo il marxismo ha commesso finora dei seri errori: partendo  dai “padri fondatori” e via via proseguendo nella sua tendenza largamente egemone, con l’eccezione parziale di pensatori “eretici” come E. Bloch e W. Benjamin.

Vi sono cinque punti sui quali è necessario impostare un processo di autocritica e rielaborazione da parte dell’umanesimo ateo e del materialismo storico, basandosi proprio sul processo di accumulazione di dati empirici e di “fatti testardi” (Lenin) effettuato nei precedenti capitoli.

Primo snodo e nuova coordinata di riferimento teorico: la religione non costituisce solo una sovrastruttura delle/nelle società classiste, ma anche e soprattutto una pratica umana che tenta di soddisfarne soprattutto un particolare bisogno sociale dell’uomo, alias in rapporto della nostra specie con la morte, comparso e riprodottosi sia nelle società collettivistiche che in quelle classiste.

Bisogno sociale formatosi storicamente centomila anni orsono, con il processo di sviluppo delle capacità mentali e cognitive del genere umano; non eterno dunque, e modificatosi con l’evoluzione della società e delle forze produttive; ma bisogno collettivo e pratica collettiva intermodale e trasversale a tutte le diverse tipologie di formazioni economico-sociali comparse e prodotte dal genere umano, dal medio paleolitico fino ai nostri giorni ed al terzo millennio, visto che il  fenomeno religioso, inteso in senso lato, esisteva e si è riprodotto per decine di migliaia di anni nelle società collettivistiche del medio paleolitico  (culto dei morti, animismo e mana, ecc).

Il fenomeno religioso, inteso in senso stretto, (culto della Dea), esisteva e si è riprodotto nelle società collettivistiche del paleolitico superiore.

Il fenomeno religioso, sempre inteso in senso stretto si è riprodotto anche nelle società collettivistiche neolitiche, contraddistinte da agricoltura/allevamento/artigianato specializzato/proto urbanesimo (Gerico, Catal Huguk, Ubaid, Yangshao, ecc.).

Il fenomeno religioso si è riprodotto a sua volta anche nei diversi modi di produzione classisti: (in quello asiatico, schiavistico, feudale e capitalistico), fino a continuare a diffondersi anche nelle metropoli imperialistiche del terzo millennio (chiesa cattolica/Vaticano, chiese protestanti e fondamentalistiche, chiese ortodosse, Islam ed induismo, ecc.), in esso si è peraltro riprodotto anche nelle società collettivistiche (deformate) sorte dopo l’Ottobre Rosso e la rivoluzione d’Ottobre, fino ad interessare attualmente la Cina (prevalentemente) socialista del Ventunesimo secolo – circa un terzo della popolazione cinese si professava religiosa, nel primo decennio del secolo attuale -, Cuba socialista, Laos, Vietnam e Corea del Nord.

 

[20] . Kapuscinski, “Cristo con il fucile in spalla”, pag. 108/109, ed. Feltrinelli

[21] L. Boff, “La teologia, la Chiesa, i poveri”, pag. 12/14 ed. Einaudi

[22] Op. cit., pag. 161/162

[23] Op. cit., pag. 168/169

[24] Op. cit., pag. 162/163

[25] Fidel Castro, “La mia fede”, pag,  215 ed. Paoline

[26] Op. cit., pag. 282

[27] Boff, op. cit., pag. 149

[28] C. Marcano e A. Barrera Tyszka, “Hugo Chavez, il nuovo Bolivar”, pag. 9, ed. Baldini Castoldi

[29] H.Chavez, 31 maggio 2009, “Bolivar, la misteriosa incognita”, in www.resistenze.org, Venezuela

[30] W. Altmann, “La teologia della liberazione è viva e vegeta”, in www.riforma.it

[31] T. Martana, 5 maggio 2008, “Un teologo della liberazione alla testa del Paraguay”, in blog.robinedizioni.it

[32] Minois, op. cit., pag. 159

[33] Maurizio Brignoli, “Chiesa e capitale – encicliche sociali, corporativismo e imperialismo”, in “La Contraddizione”, n. 128, 2009, pag. 72.

[34] Fidel Castro, op. cit., pag. 242

[35] B. Leconte, “Giovanni Paolo II”, pag. 407/408, ed. Baldini e Castoldi

[36] G. Gavazzi, “La ricetta del Papa: l’etica sia il centro dell’economia”, 14 giugno 2009, la Stampa

[37] D. Tettamanzi, “Etica e capitale”, pagg. 22 e 159, ed. Rizzoli

[38] C. Rendina, op. cit., pag. 120/121

Ratzinger o fra Dolcino? 3 parteultima modifica: 2012-02-29T11:00:00+01:00da iskra2010
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