Bernard Henri-Lévy il guerrafondaio

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Bernard-Henri Lévy e il banchiere Guy de Rothschild

Cari compagni ecco un bell’esempio di “intellettuale” al servizio dell’imperialismo anglo-franco-sionista. Lévy dovrebbe essere processato da un tribunale internazionale proletario per istigazione alla guerra e al terrorismo internazionale.

Questo “cialtrone”, già protettore di agenti internazionali travestiti da “rivoluzionari” come Toni Negri (1), Cesare Battisti e oggi sostenitore del mascherato “combattente siriano”, ci fa capire con estrema chiarezza l’esistenza di un nesso storico tra l’estremismo borghese nostrano di destra e di “sinistra” e l’eterodiretto terrorismo imperialista nel nostro paese.

Perché Lévy non ci spiega il ruolo avuto dalla finta scuola di lingue parigina Hyperion, dalla Francia, dagli USA, dal sionismo e quindi da Israele e dai loro amici della NATO come Kissinger, nell’assassinio di Moro, che non era certamente sulle posizioni di Lévy in politica estera. Come non lo era Enrico Berlinguer, anche lui morto al momento giusto.

Lévy ha sempre fatto il piazzista di quei vertici economici e politici che usano il terrorismo, compreso quello psicologico, come strumento politico.

Il terrorismo, da non confondersi con la Resistenza, non è nient’altro che una variante della politica borghese fatta con altri mezzi.

Infatti, chi ha difeso in Francia Antonio Negri, frequentatore di kibbutz (2) israeliani con Gianni Alemanno? E’ Negri stesso a dirlo, in una conversazione con Anne Dufourmantelle:

Chi la difendeva?

Mi difendevano degli avvocati straordinari: Spazzali in Italia, Kiejman in Francia. Mi sosteneva anche un comitato internazionale e una serie di avvocati parigini: Badinter non poteva difendermi perché era stato nominato ministro, ma ci siamo scritti. C’erano gli amici, i colleghi universitari e tanti altri”.

Toni Negri in rapporti epistolari con l’ex ministro della Giustizia, Robert Badinter, che lo avrebbe difeso se non fosse stato ministro della Giustizia francese?

Ma cosa ha fatto Robert Badinter per i terroristi, o per meglio dire agenti segreti al soldo degli interessi complessivi dell’imperialismo?

Nel 1982 quando era ministro della giustizia del primo governo Mauroy, annunciò una nuova politica di estradizione in riferimento ai reati di natura politica. Il ministro spiegò che, nonostante la difficoltà di distinzione tra fenomeni di terrorismo ed opposizione politica, la Francia ribadiva la sua intenzione di ‘essere terra d’asilo’ per tutti coloro che fossero stati accusati nei loro paesi di reati che potevano essere considerati di natura politica” (3).

Questa è la copertura politica data dall’imperialismo francese ai terroristi.

Robert Badinter inoltre è legatissimo ai banchieri Rothschild e al sionismo e come Bernard-Hénry Levy è un avversario politico della Siria, dell’Iran, della Giorgia e dell’Armenia.

Questo è il mondo che si muove attorno a certi intellettuali tutti di un prezzo.

Saluti comunisti

Lo staff di ISKRA

 

(1) http://iskra.myblog.it/archive/2010/08/06/biografia-di-toni-negri-prima-parte-toni-negri-potere-operai.html

(2) http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=6&sez=120&id=21251&print=preview

(3) http://diplomaziaparallela.daonews.com/la-dottrina-mitterrand-una-soluzione-politica/

 

 

Corriere della Sera

29 maggio 2012

Esteri

L’appello

Le opzioni per agire sono già sul tavolo: non attendono che un Capitano. Perché prima di salvare l’euro occorre salvare un popolo

Lettera a Hollande: la Francia saprà Fare come in Libia?

di Bernard-Henri Lévy

A Cannes, alla presenza di due combattenti siriani usciti clandestinamente dal loro Paese, è appena stato proiettato il film che ho girato durante i sette mesi di campagna per la liberazione della Libia.

Proprio mentre le immagini scorrevano sullo schermo, a Hula, in Siria, era in corso uno dei più orribili massacri mai perpetrati dall’ inizio di quest’altra guerra, che dura da più di un anno, condotta da Bashar Assad contro il suo popolo.

Ecco la dichiarazione resa in quell’occasione da uno dei due combattenti siriani, davanti ai giornalisti, con il volto coperto dalla bandiera della rivolta: «Ho appena visto il film del nostro amico francese sui miei fratelli libici, sulla guerra di liberazione, sull’aiuto che hanno ricevuto e senza il quale sarebbero morti. Io sono un militare, e ho pianto. Le mie lacrime erano dovute all’emozione, ma anche alla rabbia. Noi siriani stiamo morendo. Dove sono gli aerei francesi, gli aerei inglesi, gli aerei dei Paesi “fratelli”? Dove sono le armi che arrivavano da tutto il mondo ai combattenti nel deserto libico? Dove siete, amici della libertà? Perché i vostri governi non ascoltano più la vostra voce, i vostri appelli? Perché hanno paura di Assad, loro che non hanno avuto paura di Gheddafi? Perché? Perché? Possiamo vincere la battaglia della libertà, insieme a voi. Aiutateci, vi prego. Grazie alla Francia».

Voglio riferirle queste parole, presidente Hollande, mentre si aggrava, di ora in ora, il bilancio di questa carneficina compiuta a sangue freddo, con l’uso di armi pesanti, a Hula. Voglio portare alla sua attenzione questa richiesta di soccorso, mentre arrivano le immagini di quei 32 bambini con il cranio fracassato, il volto ridotto in poltiglia, nel piccolo obitorio della città.

E voglio rivolgerle a mia volta una domanda molto diretta. La Francia farà, per Hula e Homs, quel che ha fatto per Bengasi e Misurata? E lei, signor presidente, si avvarrà della sua forte credibilità personale, e di quella del nostro Paese, per tornare dai nostri alleati di ieri e, con loro, con la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Lega Araba e la Turchia, concordare una strategia che vada al di là del «pieno sostegno al piano Annan» di cui si parla nel comunicato diffuso domenica, alle 18, dall’Eliseo?

Farà in modo che il gruppo di Paesi amici del popolo siriano nel quale noi godiamo, in virtù del ruolo di primo piano che abbiamo svolto in Libia, di un’ influenza decisiva, rifletta sulla rapida messa in atto di una o più delle opzioni già presenti sul tavolo e che aspettano solo un Capitano: i perimetri di sicurezza, al confine con la Giordania o con la Turchia, proposti dal Qatar; l’idea delle «no-kill zones», formulata dal ministro degli Esteri turco, con la conseguente protezione, nel cuore del Paese, degli elementi dell’Esercito siriano libero dotati di armi difensive; zone vietate, nel cielo, agli elicotteri della morte e, sul terreno, ai convogli blindati che trasportano truppe e attrezzature materiale militare?

Oppure si lascerà vincere dal disfattismo dei Norpois (personaggio della Recherche di Proust, ndr) che si sono sempre sbagliati; che, la vigilia della caduta di Tripoli, prevedevano ancora un «pantano»; e che farfugliano ovunque che la-Siria-non-è-la-Libia, che Assad-non-è-Gheddafi o che la-Russia-e-la-Cina-metteranno-inevitabilmente-il-loro-veto, per cui non facciamo niente, non rischiamo niente, e restiamo a braccia conserte di fronte alle atrocità?

So bene, signor presidente, che lei ha altre priorità, un’altra agenda, impegni che ha assunto e che deve rispettare. Ma che cosa era più urgente: andare in Afghanistan a preparare i ritiro anticipato dei nostri soldati o prendere l’iniziativa in Siria?

Che cosa è più importante: annunciare la riduzione dello stipendio dei suoi ministri e il congelamento del prezzo dei carburanti o la presentazione al Consiglio di Sicurezza di una risoluzione che autorizzi il bombardamento dei carri armati schierati all’esterno delle città, in posizione di tiro?

Rinsaldare il tandem franco-tedesco, farsi conoscere meglio da Angela Merkel, salvare l’euro, sono obblighi imprescindibili; ma non lo è anche salvare un popolo? E perché la tragedia greca impedirebbe di alzare la cornetta per spiegare, come fece il suo predecessore, al suo omologo russo e quello cinese che il loro cieco sostegno al terrorismo di Stato siriano li disonora e li indebolisce?

Ci siamo incontrati, su suo invito, il 27 gennaio scorso, all’inizio della campagna elettorale. Le avevo ricordato che Nicolas Sarkozy, il 10 marzo 2011, di fronte agli emissari libici venuti a chiedere aiuto alla Francia, aveva confidato che, se il Consiglio di Sicurezza avesse bloccato una risoluzione tesa a far rispettare «la responsabilità di proteggere», che è uno degli obblighi delle Nazioni Unite, avrebbe ripiegato su una istanza di legittimità di formato più ridotto, con il sostegno dell’Unione europea e della Lega araba.

Quel giorno ho avuto l’impressione che, con il senno di poi, anche lei giudicasse quell’iniziativa ragionevole. Ho avuto la sensazione, soprattutto, che condividesse l’idea che Assad non è più forte di quanto non lo fosse Gheddafi; e che in realtà egli è forte solo della nostra astensione, del nostro lassismo, della nostra vigliaccheria.

È questa una delle ragioni che mi hanno spinto a votare per lei. Spero di non essermi sbagliato. Come diceva quel combattente siriano dal volto coperto: non dobbiamo avere paura di una tigre di carta.

(Traduzione di Enrico Del Sero)

Bernard Henri-Lévy il guerrafondaioultima modifica: 2012-06-01T08:15:00+02:00da iskra2010
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