Soldati feriti dai “pacifici” dimostranti
Scrive Mark Anthony Jones:
La domanda è: i soldati sono stati provocati al punto di sparare sulla folla con munizioni vere? Chi ha iniziato la violenza sulle strade? Se vi sono prove a sufficienza per dimostrare che era la folla in rivolta che ha provocato le violenze (e ci sono ora prove sufficienti per dimostrare che questo è ciò che è realmente accaduto: da testimoni, sia esteri che nazionali, tra cui giornalisti occidentali; rapporti declassificati dei servizi segreti degli Stati Uniti e rapporti dell’intelligence cinese emessi per il governo nazionale, così come richiamato dai Tiananmen Papers). Se il caso era davvero questo, come gran parte delle prove suggerisce, allora la situazione èra molto più complessa e sfumata. La colpa degli eventi che hanno portato allo scoppio di violenza e allo spargimento di sangue deve quindi essere condivisa tra numerose parti – includendo gli studenti, che hanno incoraggiato i lavoratori e i cittadini a prendere le armi e combattere (Jones 2009).
Si dice nel documento del 4 giugno intitolato «Andamento della situazione nei distretti urbani di Pechino il 4», in «Importanti informazioni riservate» (Yaoqing), ministero della Sicurezza di Stato, pubblicato nei Tienanmen Papers:
Su viale Chang’an occidentale si è riunita una folla nei pressi del Palazzo delle Telecomunicazioni; all’incrocio Liubukou una fila di carri armati aveva isolato viale Chang’an. Soldati con fucili e manganelli stavano davanti ai carri armati. Le due parti si fronteggiavano a una distanza di circa un centinaio di metri. I dimostranti hanno iniziato a gettare mattoni contro i soldati, i quali hanno risposto a loro volta con mattoni e gas lacrimogeni. Le bombolette di gas somigliavano a bombe a mano, ma emettevano semplicemente fumo irritante. I mattoni erano inutili perché le due parti si trovavano a un’eccessiva distanza, mentre il gas era inefficace perché quella mattina c’era molto vento e la strada oltretutto era troppo larga. Tre camion dell’esercito di passaggio sono tornati indietro per sparare sulla folla dopo che qualcuno aveva gridato «Fascisti!». Otto dimostranti sono rimasti feriti. Su viale Taipingqiao14 vi erano otto camion dell’esercito che i dimostranti avevano fermato e incendiato. Un nono camion era sfuggito al fuoco solo perché era parcheggiato sotto un traliccio della linea elettrica; sul tetto era stato posto un cartello con la scritta: «Linea elettrica sopra, non incendiare questo camion». Alcuni dei trecento camion militari che erano stati bloccati a ovest dell’Istituto minerario di Pechino la notte del 3 giugno, non si erano ancora mossi. Dall’area di Jinsong a viale Chang’an orientale, più di cento carri armati, autoblindo e camion dell’esercito si dirigevano a ovest,15 carichi di militari. Sopra a ogni carro armato sedevano tre soldati armati di fucili e ognuno di loro guardava in una direzione diversa. Ogni qual volta qualcuno li derideva o gridava, aprivano il fuoco. Un soldato in cima a un carro armato, a Nanchizi, ha sparato e ucciso un cittadino. «Situazione dell’avanzata e delle perdite delle truppe della legge marziale», in «Bollettino» (Kuaibao), Comando della legge marziale, 4 giugno Più di cinquecento camion dell’esercito sono stati incendiati in corrispondenza di decine di incroci e, inoltre, in via Tiantan orientale, a Porta Tiantan settentrionale, all’entrata occidentale della stazione della metropolitana di Qianmen, in viale Qianmen orientale, in via Fuyou, a Liubukou, a Xidan, a Fuxingmen, in via Lishi meridionale, a Muxidi, a Lianhuachi, a Chegongzhuang, a Donghuamen, a Dongzhi- men, a Dabeiyao, a Hujialou, a Beidouge Zhuang e Jiugong Xiang nella contea di Daxing. All’incrocio Shuangjing, i dimostranti hanno circondato più di settanta camion blindati e si sono impossessati di ventitré mitragliatrici. Su viale Chang’an un camion dell’esercito si è fermato per un guasto al motore e duecento rivoltosi hanno assalito il conducente picchiandolo a morte. Nei pressi del Teatro della Capitale, a Xidan, i ribelli hanno picchiato a morte il capo di un plotone, poi hanno appeso il suo corpo a un autobus in fiamme, l’hanno sventrato e gli hanno cavato gli occhi. Sul cavalcavia Chongwenmen i ribelli hanno ucciso un soldato e, dopo averlo legato al parapetto, l’hanno inzuppato di benzina e poi l’hanno incendiato. Anche a Fuchengmen il corpo di un soldato assassinato è stato appeso alla ringhiera del cavalcavia. All’incrocio Cuiwei, un camion che trasportava sei soldati ha rallentato per evitare di colpire la folla. Allora un gruppo di dimostranti ha cominciato a lanciare sassi, bombe molotov e torce contro di quello, che a un certo punto si è inclinato sul lato sinistro perché uno dei suoi pneumatici si è forato a causa dei chiodi che i rivoltosi avevano sparso. Allora i manifestanti hanno dato fuoco ad alcuni oggetti e li hanno lanciati contro il veicolo, il cui serbatoio è esploso. Tutti e sei i soldati sono morti tra le fiamme. Un rapporto del 4 giugno del Comando della legge marziale stimò che in quel giugno a Pechino morirono circa venti ufficiali e soldati. Sulla base delle relazioni datate 4 giugno provenienti dagli ospedali della città, il governo di Pechino stimò che morirono più di duecento studenti e cittadini. Secondo statistiche incomplete, durante gli scontri persero la vita ventitré studenti universitari (Tienanmen Papers 2001, p. 405-6).
Jay Mathews del Washington Post scrive: “Noi non prendiamo abbastanza in considerazione il punto che anche i soldati morirono e parte della folla era composta da veri teppisti. Una delle storie che noi non abbiamo colto è che un sacco di gente che si trovava fuori di casa in quella notte era l’equivalente delle gang di strada, che erano fuori per il piacere di creare disordini” (Turmoil 1992). Dunque gli avvenimenti non solo non coinvolsero principalmente gli studenti di Piazza Tienanmen ma i manifestanti dei sobborghi di Pechino furono tutt’altro che pacifici. Una fonte che simpatizza per i manifestanti parla di una vera e propria insurrezione.
Proprio al bivio di Xidan, vicinissimo al posto in cui si trovano, poche ore fa, una riunione volante è stata tenuta dai delegati degli studenti di Tien An Men e da quelli del Sindacato Autonomo Unito dell’acciaieria. Sotto la barricata hanno distribuito a un migliaio di rivoltosi i mezzi di difesa e di resistenza da usare contro le truppe. Coltellacci da cucina, sbarre di ferro, vecchie spade, catene di ferro e bastoni di bambù sono stati scaricati dagli autocarri e consegnati ai cittadini. Hanno distribuito anche delle armi: la notte scorsa gli studenti avevano bloccato un camion e rimorchio carico di armi e munizioni che seguiva la colonna avviata verso Tien An Men nei pressi dello svincolo sul secondo anello del Fuxing Qiao, e quando stamattina un reparto di polizia lo ha recuperato, disperdendo i rivoltosi con i gas lacrimogeni, gran parte del carico era sparito. Durante la consegna di armi e oggetti contundenti a Xidan, gli organizzatori hanno incitato a picchiare sodo poliziotti e soldati. Il sindacato autonomo ha trasmesso da Radio Tien An Men un appello ai lavoratori, esortandoli ad unirsi agli studenti per abbattere con la forza il governo di Li Peng (Fiore 1989, pp.259-60).
Verso mezzanotte invece:
Pechino 4 giugno 1989. Un soldato bruciato sulla scalinata e uno impiccato dopo essere stato arso vivo dai “pacifici” manifestanti liberali
La battaglia per la conquista di Tien An Men, dall’estrema periferia ovest è arrivata nei pressi di Zhong Nanhai dove risiedono i capi del governo e del partito. Mancano pochi minuti a mezzanotte quando mia moglie telefona che sotto le loro finestre le truppe sono passate all’attacco. Prima di arrivare alla barricata di Xidan la colonna si è fermata, come per prendere fiato in vista dell’ultima carica. Gruppi di ribelli, dai tetti e dalle terrazze adiacenti all’Hotel Minzhù, in appoggio ai compagni in strada, hanno cominciato un lancio di sassi e di mattoni contro i reparti dell’Esercito che prima hanno ripiegato e poi hanno cominciato a caricare la folla con i lacrimogeni.
Mia moglie aggiunge che non si sono uditi finora colpi d’arma da fuoco, anche perché tutte le case sul viale hanno dovuto chiudere le finestre, nonostante l’afa notturna, per non respirare i fumi dei candelotti a gas.
Nella zona est sulla circonvallazione poco prima del viadotto dell’Osservatorio, una colonna di cinquanta autocarri è bloccata da molte ore. Un gruppo di automezzi scoperti con giovani in borghese ma dotati di elmetto ha trovato identico disco rosso di folla e di autobus messi di traverso all’inizio della salita che sbocca sul viale di Changan. Dopo pochi minuti, i soldati hanno cominciato a gettare i manganelli alla gente in strada, poi sono scesi lasciando gli autocarri a disposizione dei giovani. Che fossero soldati si è visto quando si sono diretti al rifugio del circolo aeronautico. Erano in abiti civili forse perché appartengono a quei reparti che ieri notte sono stati spogliati e disarmati. I camion vuoti sul ciglio del viale sono stati incendiati con un lancio di bombe molotov e questa è stata la prima scena dello scontro di cui sono stato testimone. La seconda l’ho osservata sul viale di Changan est, quando è passata una autoblindo seguita da un migliaio di giovani in bicicletta provenienti da Tien An Men. Un quarto d’ora dopo il veicolo, con matricola 339, è ripassato davanti al mio ufficio in direzione della piazza, sempre seguito dalla coda di dimostranti (Fiore 1989, pp.260-61).
C’era un elemento nuovo che non avevo notato prima, molto di giovani criminali decisamente meno simili agli studenti in apparenza Al posto di fasce e camicie firmate con emblemi universitari indossavano vestiti economici, malandati n poliestere e giacche a vento larghe. Sotto le luci, gli occhi scintillanti di malizia, hanno rivelato sfacciatamente nascoste bottiglie molotov. “chi erano questi giovani delinquenti in pantaloncini e sandali, che portavano bombe molotov?”. La benzina era strettamente razionata, in modo che non si poteva venire in possesso di queste cose spontaneamente. Chi ha insegnato loro di fare le bombe e a chi erano destinati i dispositivi incendiari?[2]Qualcuno ha gridato che un altro APC si stava dirigendo verso la nostra strada. Accellerai il passo mentre mi avvicinavo al veicolo fermo, contagiato dalla gioia tossica della folla, ma poi mi sono trattenuto. Perché correre verso i guai? Perché c’erano tutti gli altri? Ho rallentato trottando al seguito di una mandria tonante… Rompendo con il gruppo, ho smesso di correre. Qualcuno ha gettato una bomba Molotov, mettendo a fuoco l’APC . Le fiamme si sono diffuse rapidamente sopra la parte superiore del veicolo e sul marciapiede. […] La folla urlò vittoriosamente e si avvicinò, i volti infuriati erano illuminati nel bagliore arancione. Ma aspettate! Ho pensato, c’è qualcuno ancora lì dentro, la macchina non è vuota! Ci devono essere persone all’interno. Questo non è l’uomo contro il dinosauro, ma l’uomo contro l’uomo! Qualcuno in modo protettivo mi ha tirato via per raggiungere una manciata di studenti con la bandana in testa che hanno cercato di esercitare un certo controllo. Hanno speso quel poco di capitale morale derivante dallo sciopero della fame e hanno difeso il soldato. “Lasciate che l’uomo venga fuori”, gridarono. “Aiutate il soldato, aiutatelo a uscire!”. Il gruppo agitato era in vena di misericordia. Arrabbiate, da far gelare il sangue, le voci rimbalzavano intorno a noi. “Uccidi il figlio di puttana!”, Disse uno. Poi un’altra voce, ancora più agghiacciante della prima gridò: “Lui non è un essere umano, è una cosa.” “Uccidetelo, uccidetelo!” gridarono, l’entusiasmo sanguinario ora montava ad un passo elevato. “Stop! Non fategli del male!”. Meng supplicò, lasciandomi dietro mentre cercava di ragionare con i vigilantes. “Stop, è solo un soldato!” (Bearcanada 2011)
Ancora Fiore ci racconta la battaglia di strada:
Da un bollettino radio notturno si è saputo che le truppe del quartier generale per la legge marziale hanno ricevuto l’ordine di partire alle dieci, obiettivo Tien An Men. I venticinque chilometri che li separano dalla piazza avrebbero potuto essere percorsi in meno di un’ora, ad andatura normale di mezzi blindati. Ma le prime raffiche di mitragliatrice in provenienza da Tien An Men le abbiamo udite poco prima dell’una, e questo vuol dire che le colonne hanno incontrato resistenza lungo il cammino. E l’ultima barricata è stata quella di Xidan, dove lo scontro sembra particolarmente violento. Una telefonata di pochi minuti fa mi informa che tutto il quartiere tra Xidan e Liubu- kou è teatro di una vera battaglia di strada. Esauriti i pochi lacrimogeni, le truppe sono passate all’uso delle armi e lo scontro sta prendendo dimensioni terrificanti.
Nei vicoletti dietro l’Hotel Minzhù la sparatoria è continuata con raffiche in tutte le direzioni, come se le truppe dessero la caccia a gruppi di rivoltosi ritiratisi dal viale, a loro volta apparentemente armati e in grado di rispondere. Il collega della «Tanyug» mi riferisce di aver fatto una telefonata all’ospedale del quartiere di Fuxing, nella zona di Radio Pechino, e di aver parlato con la sorella di uno studente che vi lavora da infermiera. L’ospedale ha il pianterreno pieno di morti e di feriti. I cadaveri sarebbero almeno una trentina. Morti e feriti sono caduti sulla barricata del Fuxing Qiao, il ponte con l’uscita sul secondo anello periferico in direzione sud e nord. E in questo punto che le colonne blindate in marcia verso Tien An Men hanno trovato resistenza prima del blocco di Xidan.
Dal balcone dove mi trovo, Tien An Men dista meno di quattro chilometri. Sono le due di notte e la battaglia è in pieno svolgimento. In direzione della piazza si vedono bagliori rossastri in una nube di fumo che fanno pensare a qualche incendio. Da sud, dietro il quartiere della Stazione Centrale, giungono rumori di raffiche automatiche intervallate da isolati colpi di fucile. La colonna blindata che stazionava nei giorni scorsi presso l’aeroporto militare di Nanyuan per arrivare in città deve percorrere la strada che costeggia il parco del Tempio del Cielo: la violenta e lunga sparatoria fa supporre che le truppe corazzate siano state oggetto di un tentativo di blocco da parte dei rivoltosi nascosti nel parco (Fiore 1989, pp.260-61).
Ancora Fiore ci racconta la continuazione della storia:
La prima colonna ad arrivare sulla piazza era anche la più forte, con gli effettivi blindati appartenenti ad almeno due divisioni. Partita verso le dieci di sera ha percorso i primi dieci chilometri senza incontrare resistenza. Giunti alla piazza detta della Tomba della Principessa in località Gongzhufen, i carristi si sono trovati davanti le barricate costruite dai ribelli, annidati dietro i cespugli soprelevati che fanno da corona all’antica tomba. Dalla parte opposta i ragazzi avevano preparato un camion di mattoni spaccati in due e trasferiti sulla trincea dietro i cespugli e gli alberi della rotonda. Un altro gruppo, pochi secondi prima che la colonna di T.59/62 giungesse a tiro, ha incendiato i due autobus messi di traverso per impedire il passaggio dei carri. Lo scontro è durato a lungo e secondo le notizie del quartier generale una dozzina di veicoli, compresi un carro armato e due autoblindo, sono stati incendiati e distrutti.
La colonna ha ripreso poi la marcia verso il luogo della seconda battaglia nel tratto del viale dove sorgono il grattacielo della CCTV, il Museo Militare e le residenze del quartiere di Muxidì. Qui, il viale dalla sede di Radio Pechino fino al viadotto di Fuxing Qiao era occupato dalla resistenza: migliaia di persone erano appostate sul lato sinistro lungo l’enorme edificio a dieci piani usato dal ministero per le Relazioni Economiche con l’Estero. Sul viadotto, una barricata eretta da un capo all’altro del ponte, con altri autobus piazzati in senso trasversale e trincee di mattoni, al cui riparo i ribelli hanno opposto una coraggiosa ma vana resistenza. Dalle torrette dei carri armati e delle autoblindo hanno aperto il fuoco i cannoncini e le mitragliatrici che sgranavano nastri di pallottole del massimo calibro in uso – 12,8 mm. — al ritmo di quattrocento al minuto. Ne è seguito uno scontro durissimo, anche perché a rispondere al fuoco c’erano pattuglie di operai del Sindacato Autonomo. Ad un certo punto della sparatoria, i rivoltosi sono riusciti a impadronirsi dell’automezzo dov’era montata una stazione radio mobile col codice militare della colonna. Più di trenta veicoli sono stati incendiati; il numero delle vittime è stato altissimo, tanto da riempire di morti e feriti il vicino ospedale di Fuxing.
Terza e ultima battaglia alla barricata di Xidan, quella più tragica perché deve aver fatto tremare i vetri delle residenze dei capi a Zhong Nanhai, distanti mezzo chilometro in direzione di Tien An Men. I ribelli di Xidan erano probabilmente i meglio organizzati e armati. Sul lato nord diversi autocarri avevano scaricato in tempo una montagna di mattoni e quando con bombe molotov i ragazzi hanno incendiato gli autobus della barricata per impedire il passaggio dei mezzi blindati, i mille artiglieri con i mattoni hanno cominciato il loro rudimentale bombardamento. I carristi si sono fermati a pochi metri dalle fiamme e hanno girato le armi delle loro torrette in direzione di Fuchen- gmen, a nord, rispondendo con una serie di raffiche implacabili e prolungate. Fra i mille di Xidan c’erano molti studenti che ore prima avevano abbandonato Tien An Men per organizzare la resistenza sull’ultima barricata.
Un episodio di particolare crudeltà è accaduto al carrista della prima autoblindo: i ribelli hanno aspettato che terminasse le munizioni della sua mitragliatrice e poi l’hanno stanato incendiandogli il veicolo. Il primo che è saltato giù per salvarsi dalle fiamme è stato catturato e linciato seduta stante dalla folla inferocita uscita dal vicoletto di sinistra. Sul cadavere è stata cosparsa della benzina e il corpo del disgraziato è rimasto orrendamente bruciato. Poco più a nord sul cavalcavia di Fuchengmen un altro carrista che aveva inseguito un gruppo di ribelli in fuga è stato ucciso e il suo cadavere appeso alla spalletta del soprapassaggio. Al di là del bivio, accanto al cinema Shoudu, un ufficiale dei carristi è stato ucciso a bastonate da un’altra banda di ribelli che gli avrebbero poi squarciato il ventre a coltellate seviziandolo e buttandone il cadavere tra le fiamme dell’autoblindo. Non si hanno notizie esatte sui morti, ma lo scontro di Xidan è stato certamente il più feroce, col più alto numero di vittime: almeno una mezza dozzina di militari e molte decine di ribelli.Espugnata l’ultima barricata, la colonna ha avuto via libera: il sordo fragore dei cingolati, la sparatoria continuata con salve di raffiche in aria, il bagliore degli incendi degli automezzi bruciati hanno accompagnato i militari nel loro passaggio davanti all’ingresso principale di Zhong Nanhai fino alla vicina Tien An Men (Fiore 1989, pp.260-61).
La cosa stravagante è che per i tifosi occidentali i rivoltosi che attaccano le truppe sono pacifici mentre i soldati che hanno fatto di tutto per non sparare contro gente che dichiarava di volere rovesciare con la violenza il governo (lo abbiamo visto nel comunicato in Piazza fatto dagli altoparlanti di cui ha parlato lo stesso Fiore) sono gli autentici criminali.
Fiore ha raccontato anche la storia di una delle foto più famose della “repressione” di Tienanmen. Nella foto di vede una scia di sangue di un corpo travolto da un carro armato. In realtà come precisa Fiore era un automezzo per il trasporto truppe: “Da est, la colonna impiegata era in gran parte formata da automezzi per il trasporto truppe. Dal viadotto di Da- beiyao, dove un gruppo di veicoli militari è stato intercettato, fino al viadotto dell’Osservatorio, non si sono avute grandi sacche di resistenza, perché il quartiere orientale, come ho già detto, doveva essere il meno coinvolto nell’intera operazione. Proprio sul ponte dell’Osservatorio di Matteo Ricci l’autoblindo matricola 339, ritornando verso Tien An Men, ha travolto e ucciso un dimostrante. La gente si è raccolta intorno al cadavere: i primi raggi di sole dell’alba battono sulla chiazza di sangue lasciata dal morto sull’asfalto del viale”(Fiore 1989, p.268). I mezzi militari dovevano procedere velocemente perchè erano a rischio di essere intercettati e colpiti dalle molotov. Inoltre come ci dice Fiore che ne è stato testimone proprio questo blindato era stato preso di mira dagli insorti.
Vidi un intero convoglio militare, composto da 30 camion per il trasporto di truppe e da vari veicoli di supporto, bruciare in mezzo a un grande viale poco lontano da Haidian. Gli studenti del vicino istituto di lingue dissero di avere udito un nutrito scambio di colpi di arma da fuoco al calar della sera, vale a dire un paio d’ore prima del nostro arrivo, e poi le esplosioni dei serbatoi di carburante dei camion. Le testimonianze di altri studenti e la vista di gruppi di uomini che si nascondevano dietro i muri delle case circostanti al passaggio dell’automobile sulla quale viaggiavo, testimoniavano dell’esistenza in alcune parti della città di una resistenza organizzata contro il colpo di mano militare. Ognuna delle grandi vie di comunicazione che percorremmo, dove il traffico è di solito intenso a ogni ora del giorno, ci apparve completamente deserta. Agli svincoli più importanti erano stati dati alle fiamme camion da trasporto, autobus e filobus, mentre piccoli gruppi di persone, appena nascoste dietro i muri delle case, rimanevano di vedetta in attesa del passaggio di convogli militari. Le truppe in assetto di guerra erano dislocate solo in alcuni punti strategici. Ne vedemmo un grosso concentramento allo svincolo dell’autostrada numero due che conduce al quartiere delle ambasciate. Qui, venimmo a sapere da testimoni oculari, si era verificata all’alba una battaglia tra gruppi di studenti e operai armati e l’esercito. I parabrezza di due jeep militari erano crivellati di colpi d’arma da fuoco. C’erano divise inzuppate di sangue sui sedili delle due auto, che ancora bruciavano assieme a tre camion per il trasporto delle truppe (Pecora1989).
I cancelli di accesso al complesso residenziale di Jianguomenwai erano stati sbarrati da pattuglie dell’esercito, impedendo la fuga a quanti, terrorizzati dalla sparatoria, volevano abbandonare i loro appartamenti. Ufficialmente, ci fu spiegato in seguito da un portavoce del governo, l’esercito voleva snidare alcuni cecchini che, infiltratisi nel complesso di palazzoni, prendevano di mira i militari dai tetti. A chi fu testimone di quella mattinata di terrore parve invece che le migliaia e migliaia di colpi esplosi contro i grandi alberghi di lusso, gli uffici delle grandi società occidentali e le case degli stranieri avessero il solo scopo di spaventare coloro che, con la loro stessa presenza in Cina, erano una delle fonti principali di quello che i guardiani dell’ortodossia avevano battezzato «inquinamento spirituale» (Pecora1989).
Lasciamo perdere la dietrologia risibile, “spaventare gli stranieri”, quando in realtà la politica di apertura continuò in maniera ancora più spedita dopo la repressione, questo fatto ci dice che ci fu una resistenza armata contro l’esercito e che probabilmente questi furono gli stessi che iniziarono i disordini. Il governo cinese era così intenzionato a spaventare gli stranieri che quando le gradi aziende decisero di rimanere, la notizia fu data con grande risalto dalla Tv di stato: “Una settimana dopo l’esodo, almeno tre grandi aziende dell’Europa occidentale, le tedesche Volkswagen e Siemens e l’italiana Fiat, fecero sapere tramite i loro rappresentanti in Cina che la loro presenza nel paese sarebbe comunque stata assicurata. La politica interna cinese non interessa alla Fiat, che ha comunque intenzione di rimanere in Cina, disse il rappresentante della casa automobilistica torinese in un’intervista alla televisione centrale di Pechino, trasmessa in apertura di telegiornale il 15 giugno” (Pecora1989). Fiore, che sembra meglio informato, è del parere opposto: “La manovra per l’occupazione di Tien An Men avviene soprattutto da ovest perché il grosso delle truppe che vi partecipano è quello che era accampato nei dintorni dell’acciaieria di Shijingshan. Fonti militari occidentali avevano già rivelato ieri che l’attacco era pianificato da ovest proprio per risparmiare danni alla comunità straniera le cui case, ambasciate e uffici sono tutti nel quartiere orientale” (Fiore 1989, p.261).
Tra gli studenti in piazza e i manifestanti non c’erano solo ingenui difensori della democrazia. Il movimento fu infatti, fortemente appoggiato da Taiwan e dai servizi segreti occidentali che facevano capo ad Hong Kong (Egido 2004). Si può addirittura affermare che si sperimentò allora lo schema della famigerate “rivoluzioni colorate”. L’esperto di geopolitica F. William Engdahl individua nel Colonnello Helvey che aveva operato in Birmania per la Defense Intelligence Agency – Agenzia di Intelligence per la Difesa colui che allenava gli “studenti” di Tienanmen. Egli aveva addestrato studenti cinesi ad Hong Kong alle tecniche delle dimostrazioni di massa che furono poi applicate a Pechino per poi diventare consulente del Falun Gong. Nella sua relazione all’Albert Einstein Institution del 2004 ammette di stare addestrando i separatisti tibetani (Engdahl 2008). Secondo i dirigenti cinesi a quanto rivelano i Tienanmen papers l’uso da parte dei manifestanti di gas asfissianti o velenosi e soprattutto l’edizione-pirata del «Quotidiano del popolo» dimostrano che gli incidenti non siano una vicenda esclusivamente interna alla Cina (Nathan e Link 2001, 391).
Lo stesso Ilario Fiore , per simpatizzando con gli studenti, scrive alcuni giorni prima del 3 giugno:
A Hong Kong il governo centrale mantiene l’equivalente di un’ambasciata che ufficialmente appare sotto l’etichetta dell’ufficio dell’agenzia «Nuova Cina». Il direttore della sede non è naturalmente un corrispondente ma un funzionario governativo col rango di ambasciatore straordinario. La sua agenzia non ha certo mancato al suo compito di informare il governo sulle voci che corrono e sulle iniziative che si prendono a sostegno della protesta. Di qui la campagna dei servizi di sicurezza per identificare gli agenti segreti che sarebbero arrivati a Pechino e a Shanghai da Hong Kong e da Taiwan. Va anche detto che non si tratta di una battuta contro i fantasmi per due ragioni particolari: la prima è che nella confusione delle ultime settimane il controllo degli arrivi e delle partenze negli aeroporti, più che rilassato, si è letteralmente disintegrato, non solo per i documenti ma anche per i bagagli. Chiunque può arrivare da Hong Kong con documenti falsi e valuta estera col minimo rischio di essere scoperto. La seconda ragione sta nel fatto che molte iniziative di solidarietà e di appoggio materiale sono state rese pubbliche sui giornali, alla televisione e durante le manifestazioni che i cinesi di Hong Kong hanno organizzato a favore degli studenti di Pechino. E dunque possibile che oggi a Pechino si muovano “i clandestini” nella loro assurda missione di spingere la protesta popolare verso la controrivoluzione armata (Fiore 1989, p.250).
[2] In una nota del redattore si afferma: “Chi poteva fornire agli studenti, le stufe a gas Coleman, i manuali, le istruzioni, la formazione, la strategia e tattica, la logistica e molti altri elementi, non c’è dubbio i fornitori non erano cinesi”.
Mackinnon, Rebecca. 1999. “Zhu Muzhi.” CNN. http://articles.cnn.com/1999-06-03/world/9906_02_tiananmen_MacKinnon_zhu.muzhi_1_stray-bullets-relatives-common-people?_s=PM:WORLD.
Pecora, Giulio. 1989. Tiananmen : morire per la libertà. Milano: G. Mondadori