Sei tesi per una discussione su un’unità utile per tutti i comunisti ovunque collocati

Abbiamo raccolto una prima serie di contributi alle sollecitazioni arrivate alle riflessioni che in queste settimane stanno circolando in rete.

Riteniamo utile proseguire questo dibattito e vi invitiamo a intervenire liberamente scrivendo alla mail: contributi@comunistiuniti.it

Comunisti Insieme per ----.jpg

Quali proposte per fermare la crisi e la frammentazione, riaggregare le forze e riprendere il percorso della costruzione di un’alternativa di sistema al capitalismo in crisi

“…sempre, dopo ogni rovescio, occorre prima di tutto ricercare le responsabilità dei dirigenti, e ciò in senso stretto (per esempio: un fronte è costituito di più sezioni e ogni sezione ha i suoi dirigenti: è possibile che di una sconfitta siano più responsabili i dirigenti di una sezione che di un’altra, ma si tratta di più e meno, non di esclusione di responsabilità per alcuno, mai). Posto il principio che esistono diretti e dirigenti, governanti e governati, è vero che i “partiti” sono finora il modo più adeguato per elaborare i dirigenti e la capacità di direzione (i “partiti” possono presentarsi sotto i nomi più diversi, anche quello di antipartito e di “negazione dei partiti”; in realtà, anche i così detti “individualisti” sono uomini di partito, solo che vorrebbero essere “capi partito” per grazia di Dio o dell’imbecillità di chi li segue).” Antonio Gramsci, [Q. 15, p. 1752]

Premessa. Crisi e debito, un’occasione per i comunisti?

In diversi paesi le politiche di massacro e di ingiustizia sociale stanno provocando una resistenza sociale diffusa e dei veri e propri terremoti politici. A delle condizioni oggettive teoricamente favorevoli a un cambiamento sociale, però non corrispondono delle condizioni soggettive, e di coscienza di classe, sufficienti a porre la questione di un’alternativa credibile al modello economico-sociale dominante.

Tutto questo avviene in un contesto internazionale di crisi organica del capitalismo non risolvibile con semplici palliativi di sostegno al consumo o nuove regole per contenere la competizione tra poli e interessi capitalistici concorrenti. Le ipotesi socialdemocratiche e neomoderate non sono in crisi perché siamo in presenza di una situazione soggettivamente pre-rivoluzionaria ma, al contrario, perché il capitale non ha oggi il “surplus” da redistribuire ed è anzi in preda a una feroce guerra internazionale tra potenze e frazioni della borghesia per accaparrarsi fette dei profitti una a danno delle altre.

Questa crisi di sovrapproduzione internazionale, infatti, spinge le maggiori potenze a cercare di imporre la propria posizione di predominio sugli alleati e sui rivali concorrenti. Tale tendenza sta portando tre effetti molto pericolosi: 1) l’aumento delle contraddizioni ed un ridisegno coatto delle gerarchie sia all’interno dei poli esistenti che tra di essi a livello internazionale, 2) la ripresa delle politiche di aggressione militare da parte delle potenze imperialiste nelle aree geo-strategiche più importanti, 3) il dilagare di politiche draconiane all’interno dei paesi capitalisti tese a comprimere i salari sotto il livello di sussistenza e a concedere mano libera per licenziamenti (e disoccupazione) di massa.

Dentro questo solco, nel nostro paese il governo Monti sta procedendo spedito nel suo programma di smantellamento dei diritti e del welfare, di attacco ai salari, concessione al padronato della mano libera sulla manodopera salariata e di limitazione della democrazia alla funzione di servizio alle esigenze del grande capitale. Con il ricatto del debito si sta procedendo a un ulteriore gigantesco spostamento coatto di ricchezza dal lavoro al capitale per tamponare gli effetti della crisi e il restringimento dei profitti. Tutto questo avviene con un tentativo di alimentare la passivizzazione, la sfiducia e la guerra tra poveri nei diversi settori del complesso corpo sociale salariato per renderlo “informe” e docile alle esigenze del capitalismo.

Quello di Monti non è un governo meramente “tecnico” né provvisorio, ma è un esecutivo apertamente “politico” a favore degli interessi del capitalismo monopolistico e finanziario nostrano ed internazionale. Sta ponendo le basi costituenti quindi di una nuova fase, dettando la linea programmatica (anticipata dalla lettera Draghi-Trichet dell’agosto scorso) per i governi futuri e di cui il PD è uno dei puntelli strutturali e non accidentali.

Parlare del rilancio del ruolo dei comunisti, di quali alleanze e coalizioni, senza tenere in considerazione questi elementi rischia di essere un mero esercizio di stile. La crisi economica del capitalismo, il basso livello di credibilità dell’attuale sistema economico-sociale e gli attuali stravolgimenti politici possono essere un’occasione per i comunisti per invertire il processo di marginalizzazione in cui siamo costretti. Altrimenti, la coazione a ripetere di formule già sperimentate e fallimentari rischia di portare i comunisti a un’autoconsunzione piuttosto che a una vera sconfitta nello scontro di classe. 

Da queste premesse nel nostro dibattito abbiamo sviluppato alcune tesi di discussione che vi sottoponiamo e a cui vi chiediamo di rispondere per rilanciare un confronto politico oggi troppo relegato agli equilibri elettoralistici che mirano alla mera sopravvivenza.

Sei tesi di discussione per fermare la frammentazione e rilanciare un fronte di classe

1) Contro Monti e contro tutte le forze che lo sostengono. Lottare per la caduta del governo Monti è un passaggio indispensabile e ineludibile in questa fase. Ma proprio per il carattere “costituente” di cui parlavamo prima, l’opposizione a questo esecutivo rischia di non essere sufficiente se non si prova a spezzare il quadro politico e ad affrontare la questione dei rapporti di forza nei confronti del padronato. A nostro avviso l’opposizione a Monti va legata, quindi, in maniera altrettanto “costituente” a una battaglia serrata contro tutte le forze politiche e le ideologie liberiste che lo sostengono, per costruire un polo di classe alternativo ad esse e per sostenere la ricomposizione un blocco sociale antagonista agli interessi del capitalismo come obiettivo fondamentale.

2) Dal “menopeggismo” all’anticapitalismo. Per compiere questo passaggio sarebbe necessario un maggiore coraggio nel segnare un processo di discontinuità con un passato caratterizzato dal “meno peggio” e dalle alleanze col csx a tutti i costi. Processo di revisione che è stato abbozzato ma mai perseguito fino in fondo dai gruppi dirigenti della FdS e a fronte del quale nessuna nuova aggregazione della diaspora comunista ha saputo costruire un’alternativa credibile e non minoritaria. Caduto lo spauracchio Berlusconi (ma non decaduto con lui un certo sovversivismo delle classi dirigenti), rompere con le politiche reazionarie del capitalismo oggi significa rompere col PD non sulla base di meri calcoli elettoralistici (che hanno una loro importanza se non sono il punto di partenza ma di approdo di una linea politica) ma di una precisa posizione di classe. In questa direzione, pur ancora con dei limiti e delle difficoltà, il tentativo del movimento No Debito può essere un luogo dove sperimentare una linea unitaria di questo tipo, soprattutto se non ci si caccerà nell’angolo del minoritarismo ma si saprà essere al centro di vaste alleanze politiche e sociali a sinistra del PD.

3) Per un programma minimo di classe. Per rompere definitivamente con il governismo e con la subalternità al’ideologia dominante bisogna quindi riportare al centro della proposta un “programma minimo anticapitalista” attorno al quale definire quali alleanze (prima di tutto sociali e conseguentemente elettorali) sono utili per rilanciare un punto di vista di classe nella crisi del capitalismo. Il nodo politico della fase attuale lo si può sintetizzare nella necessità di modificare gli attuali rapporti di forza tra le classi (sfavorevoli a quelle subalterne) e di rilanciare l’accumulazione delle forze dei comunisti in settori consistenti della classe legandoli a un progetto di trasformazione sociale. Sulla base di questi obiettivi, e non sulla necessità di sopravvivenza di questo o quel gruppo dirigente, si stabiliscono rapporti di “alleanze” sociali e politiche. Pertanto la riaggregazione dei comunisti e degli anticapitalisti oggi passa attraverso un dibattito teorico-analitico che omogeneizzi un punto di vista unitario utile alla lotta di classe e alla costruzione di un programma minimo che, nel rivendicare salario e diritti, sia in grado di invertire i rapporti di forza nel conflitto capitale-lavoro. Questo significherebbe non porre più al centro dell’iniziativa politica le trattative per quanti parlamentari ci verranno garantiti in questa o quella coalizione, ma basarsi su un vasto movimento di lotta su questioni come la riduzione d’orario a parità di salario e condizioni per redistribuire lavoro, la riconquista dell’art.18, l’indicizzazione dei salari e delle pensioni, la cancellazione del vincolo del pareggio di bilancio, il ritiro immediato delle truppe e per l’impiego delle spese militari per il rilancio dell’istruzione e dei servizi pubblici, la ripubblicizzazione dei settori strategici privatizzati, il ritorno a una legge proporzionale integrale, ecc…Solo a mò d’esempio.

4) Indipendenza politica e sindacalismo di classe.  Per essere realmente anticapitalista un polo di questo tipo deve definirsi strettamente, pur con una necessaria duttilità tattica, attorno a questo programma che a livello interno rilanci la centralità di un punto di vista di classe (su lavoro, salario, diritti e welfare) “indisponibile” alle compatibilità tanto politiche che sindacali (quindi fissando punti discriminanti e non trattabili con qualsiasi ipotesi di governo e in qualsiasi accordo con Confindustria). Questo vuol dire che sul piano politico ci vuole il coraggio di lanciare da subito un fronte alternativo all’intero quadro politico a vocazione maggioritaria e bi(tri)polare di cui fanno parte anche quelle forze che, a sinistra del PD, mirano a farne parte magari con l’unica variante delle “primarie” (di programma o di candidati). Sul piano sociale invece bisogna puntare alla ricomposizione di una linea sindacale di classe trasversale alle attuali appartenenze organizzative che attraversi lo scontro capitale-lavoro nelle sue componenti conflittuali (Fiom e sinistra Cgil, sindacati di base, movimenti). Contendendo la rappresentanza di lavoratori dipendenti e precari al sindacalismo neo-corporativo di Cisl e Uil e alla linea di cedimento da vertici della Cgil tenuti a briglia dal PD attraverso esperienze autoconvocate e di collegamento delle mille vertenze contro le crisi e le ristrutturazioni aziendali sparse sul territorio nazionale e incomunicanti tra loro. Un’unità delle lotte contrapposta all’unità delle burocrazie.

5) Fuori dai diktat della Troika. Fuori dalla Nato. Sul piano internazionale la linea di demarcazione per la costruzione di un polo politico di questo tipo, deve passare anche per una rottura coi vincoli imposti dalla UE e dalla BCE (Fiscal Compact, Trattati di Maastricht e di Lisbona), dai ricatti del FMI e per la fuoriuscita dalle guerre e dalle alleanze militari imperialiste (ritiro delle truppe, fuori dalla Nato e fuori le basi ecc…). L’Unione Europea dimostra ancora una volta la sua vera natura di mera integrazione monetaria tra le potenze capitaliste dell’area funzionale solo agli interessi dei maggiori gruppi monopolisti. Un’istituzione antidemocratica necessaria per tentare di limitare la concorrenza interna (a favore dei paesi più forti come la Germania) ed essere competitivi nei confronti delle altre potenze mondiali. Sostanzialmente un’alleanza traballante tra imperialismi e sub-imperialismi per i quali una vera confederazione sovra-statuale risulta oggi “impossibile”, perché non possono unirsi del tutto politicamente, perlomeno senza l’imposizione di un dominio delle potenze più forti, ma anche “reazionaria”, perché le uniche due cose su cui riescono a trovare sintonia è nell’attacco alle masse salariate al proprio interno e nel sostegno alle politiche di ingerenza e guerrafondaie verso l’esterno. Il dibattito “euro-sì/ euro-no” rischia di essere fuorviante se non si comprende che le classi dominanti faranno sempre pagare i costi delle loro crisi alle classi subalterne, in qualsiasi condizione statuale e monetaria si trovassero. Il problema quindi è ribaltare i rapporti di forza e costruire un’alternativa visto che non è possibile costituirsi come “sinistra” dell’Unione Europea dal momento che questo organismo non ha nulla di democratico nemmeno formalmente. Il suo Parlamento è uno strumento di facciata non decisionale ed il potere reale è nelle mani di organismi non eletti come le Commissioni e la BCE. Quindi parlare seriamente di Europa dei popoli e dei lavoratori significa prospettare nuove relazioni internazionali solidali e integrate con altre aree geopolitiche (Mediterraneo), rompere i vincoli e le regole dei Trattati e non “democratizzarli”. Ancor di più vale questo discorso nei confronti delle alleanze militari imperialiste come la NATO o la UEO e la PESD. 

6) La battaglia delle idee contro l’ideologia dominante. In questa prospettiva di scontro col capitalismo e di costruzione di un’alternativa di sistema (il socialismo nel XXI secolo), è chiaro come diventi imprescindibile ricominciare anche a ragionare su un lavoro di ricostruzione e rilancio dell’approfondimento teorico e culturale, della formazione dei quadri e del rilancio della battaglia delle idee contro l’ideologia dominante. Un terreno fondamentale il cui abbandono ha provocato anche nelle nostre fila crisi di militanza, impoverimento teorico-culturale, sfiducia nella possibilità della trasformazione sociale, svilimento del nostro patrimonio storico e in ultima analisi subalternità e minoritarismo.

Sei tesi per una discussione su un’unità utile per tutti i comunisti ovunque collocatiultima modifica: 2012-07-19T09:30:00+02:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo