Quale finanziamento per quali partiti e quale democrazia – 5^ parte

 

IMG_3625d+logoMOWA.jpg foto MOWA

di Angelo Ruggeri

10) Per un finanziamento non più antitetico al potere dal basso della democrazia

Come si è visto, tra le forze politiche più favorevoli all’attuazione di quello che veniva considerato “un dovere dello stato verso la società”, già nell’imminenza dell’emanazione della prima legge sul finanziamento pubblico, serpeggiava il sopra ricordato opposto tipo di dubbio che è stato ed è tuttora presente, sia nel versante “tradizionalista”, storicamente avverso alle stesse potenzialità progressive del ruolo dei partiti politici nello stato contemporaneo, sia nel versante “democratico”, preoccupato che il rafforzamento organizzativo dei partiti ne potesse agevolare lo snaturamento secondo logiche tuttora prevalenti, di omologazione verticistica tra dirigenze partitiche e poteri esecutivi pubblici, centrali e decentrati, e che trovò ulteriore conforto nel piccolo scarto di voti con cui nel 1978 la legge sul finanziamento dei partiti ha resistito all’impatto con il referendum abrogativo.

Dieci anni dopo l’esito di quel referendum, era già diventata sempre più acuta la crisi di rappresentatività dei partiti, poi decuplicatasi dagli anni 90 ad oggi in parallela connessione con la corruzione del sistema economico e politico, diffusasi ancor più di quando vigeva il regime di Tangentopoli. Questo perché Tangentopoli altro non è stata che l’emersione a livello delle imprese di una degenerazione che però si è voluto demagogicamente restringere al sistema politico: termine con cui, in realtà, si voleva “celare” un attacco mirato alla democrazia, alla politica, ai partiti “veri”, e allo svolgersi della loro dialettica democratica e sociale fondativa della Repubblica di democrazia sociale e fondata sul lavoro: un attacco mirato alla democrazia anche nel suo significato minimo di regime della dialettica libera tra le parti politiche e sociali.

L’incremento della corruzione-commistione affaristica tra impresa-politica-criminalità economica e criminalità organizzata dedite alla rendita speculativa liberisticamente legittimata dalla politica e dai governi negli anni 90 e successivi, ed anche criminalità organizzata, testimonia della falsità della “corruzione” allora adottata ed usata come motivazione di “riforme istituzionali”, “costituzionali”, ed elettorali, attuate appunto nella c.d. “Seconda Repubblica” ispirata dalla P2 di Licio Gelli, che hanno aggravato quel che allora si diceva di voler, in tal modo, combattere.

11) Da “mani pulite” a “mani libere” per imprese e corruzione-commistione affaristica dei vertici

A 20 anni da Tangentopoli, possiamo ben dire che i fatti dimostrano che non si è trattato solo di “sbagli”,ma che non si voleva punto combattere la corruzione, bensì, in realtà, la si voleva di fatto “incrementare” ed “estendere”, passando da “mani pulite” ad una fase di “mani libere” negli affari e “liberisticamente” liberate da ogni controllo: autorizzate così alla commistione tra vertici e capi politici-istituzionali e vertici e capi d’impresa e vertici e capi della criminalità economica palese ed occulta che, in commistione con la criminalità del potere (dallo stragismo alla estensione della borghesia mafiosa dal Sud al Nord “conquistato” dalla mafia di mercato) della borghesia mafiosa che dal Sud al Nord sa bene usare e sfruttare le regole del mercato, della concorrenza d’impresa, del sistema degli scambi mercantili, e dell’intermediazione privata capitalistica delle “INDUSTRIE” FINANZIARIE che la politica e i governi della borghesia di destra e sinistra dal ‘92 in poi, hanno reso la più protetta delle industrie: legiferando e legittimando lo sviluppo dell’intermediazione come affare a se stante, hanno legittimato la rendita finanziaria come ordinario, anzi, privilegiato accesso alla appropriazione dei profitti.

Sì che legittimando il primato del profitto e della rendita e rimuovendo il diritto pubblico economico a favore del diritto privato, con introduzione di istituzioni del mercato modello anglosassone che l’Italia non aveva mai avuto, la politica ha abdicato alla propria funzione: i “partiti” sono “partiti” finanche smarrendo la natura propria dei “veri” partiti, in questo “ventennio” del “maggioritario” e del conclamato fallimento della c.d. “seconda repubblichina” dove, per sostenere il suo regime oligarchico e di notabili, i vertici dei “partiti”, oligarchie politiche favorevoli alle imprese industriali e finanziarie, sono stati sostenuti e vengono tenuti in vita con questo “tipo” di finanziamento pubblico.

Un regime di “seconda repubblichina” che si sostiene finanziando le dirigenze centrali di lobbies politiche che vogliono resti tale. Pur apportando “correttivi” (come quelli, che in accordo tra loro, propongono al vaglio del Parlamento) che “salvano” il meccanismo volto a salvaguardare, anziché ad eliminare, le distorsioni già esistenti tra finanziamento pubblico e burocrazie dei partiti.

Partiti che negli anni settanta si erano almeno cimentati con un duro impegno di lotta imposto dalle masse sempre più estese di cittadini e lavoratori, protesi ad incidere sugli assetti di potere nella società e nello stato: con la conseguenza di riproporre, con accentuata preoccupazione e tensione, la questione della democrazia, come questione che nel ruolo dei partiti rispetto alla società e ai movimenti di massa, trova un asse centrale, dal punto di vista teorico, e un punto di pericolosa cedevolezza, dal punto di vista più immediatamente politico.

Se quindi si vuole affrontare il tema della “corruzione”, sulla base di criteri di “rilancio della democrazia” e non di “riduzione della democrazia”, su temi come il finanziamento pubblico e la “riforma” del sistema politico e dei partiti, occorre procedere in direzione opposta a quella seguita negli anni ’90 e successivi.

(segue)

Quale finanziamento per quali partiti e quale democrazia – 5^ parteultima modifica: 2012-07-26T09:00:00+02:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo