Quale finanziamento per quali partiti e quale democrazia – 7^ ed ultima parte

 

IMG_3625f+logoMOWA.jpg foto MOWA

di Angelo Ruggeri

14) Un “tipo” di finanziamento coerente con una democratizzazione dei partiti e con la sovranità popolare e legittimi il ruolo della base sia dei partiti e del sociale–territoriale, sarebbe PROPEDEUTICO anche alla AUTONOMIA SINDACALE E DEI LAVORATORI, ormai espropriati anche del diritto di sciopero, che si può ottenere rilanciando grandi organizzazioni di massa, unite tra loro, e democraticamente autoregolantesi per evitare di cadere ancora vittime di degenerazioni come quelle imposte dal prevalere nei partiti di oligarchie allontanatesi dalla società e protese solo al loro potere personale, come accade nei vecchi e nuovi partiti di destra e di sinistra della borghesia, in virtù, e grazie anche al fatto, di essere loro i titolari e i destinatari del finanziamento pubblico. Vale a dire di una erogazione che, a ben vedere (ad es. nel caso dell’ultima fase del PCI e poi di Pds-DS ed ora del PD), ha reso più ricche e migliorato la vita delle oligarchie di partito, ma ha peggiorato la vita e reso molto più poveri di prima i partiti e le loro organizzazioni di militanti, simpatizzanti e cittadini demotivati anche dal reperire risorse con attività e feste mobilitanti in ogni parte del territorio-sociale del Paese.

Donde che, rispetto alla attualità, la questione che si pone non è solo di “togliere”, ma di “dare” nuova forza al potere dal basso con “quale finanziamento pubblico per quali partiti e per quale democrazia”.

Questo anche per poter attuare o, se vogliamo, anticipare al proprio interno le forme di un nuovo diritto e di un nuovo potere antigerarchico dello Stato, coerente, in modo sostanziale e non solo formale, con la sovranità popolare.

“Grande riforma” democratica dei partiti significa un potere non più dei vertici e non più fondato sulla ossessione del controllo e del primato dell’organizzazione burocratica degli apparati di partito sulla base e degli apparati di stato sulla società, ma fondato sul primato della organizzazione della democrazia di base,cioè sociale, per altro fondativa dello “stato di democrazia sociale” quale è quello definito dalla nostra Costituzione nata dalla Resistenza. Ciò che non è consentito viene, anzi,negato sia dalla elezione diretta del presidente della repubblica o del consiglio, sia dai referendum pilotati dai centri di potereDi questo sarebbe interessante continuare a discutere anche più direttamente, nelle sedi più appropriate nelle quali ritrovarsi con chi non ha perso i punti principali di riferimento di una lotta culturale e politica per la democrazia.

15) In realtà, annullando il controllo democratico della base sui vertici di stato, impresa, partiti e sindacati, non si voleva impedire ma, di fatto (chi più e chi meno consapevolmente), favorire la “corruzione” di ogni tipo, ad opera dei gruppi e potentati del potere economico e politico dei ceti e delle classe dominanti. 

Tale attacco alla democrazia è stato agevolato dal combinato di “riforme istituzionali” e “tipo” – modalità e quantità – di finanziamento pubblico centralista ai vertici dei partiti “snaturati”, ancor più e progressivamente, dal 1992 al 2012, con conseguente omologazione verticistica tra dirigenze partitiche e poteri esecutivi pubblici, centrali e decentrati, ed alla “governabilità” esercitata dagli esecutivi e dagli apparati di vertice di ogni tipo: di istituzioni, di partiti, di sindacati, d’imprese, di Banca e Banche centrali, di ISTAT, di PP.SS, ecc.: in quanto controriformando il sistema istituzionale, politico ed elettorale della Costituzione nata dalla Resistenza, tutto il sociale è stato reso e assunto come dipendente da un politico-istituzionale diventato così il luogo di simbiosi tra i “capi” degli esecutivi di vertice di stato, regioni, comuni, i “capi” di partito e sindacati, rappresentativi della società e i “capi” esponenti degli interessi delle imprese e dei vertici del potere economico, industriale e finanziario (locale, regionale, nazionale e delle sue proiezioni “sopranazionali”).

Insomma, con tale finanziamento pubblico, connesso al rafforzamento delle istituzioni di vertice dello stato e mirato non a democratizzare i partiti per superare la prevaricazione dei vertici sulla loro base ma a rafforzarne il potere di vertice e il primato degli apparati sulla base, si sono concretati i timori interni al versante democratico, di quanti (tra cui noi che l’abbiamo scritto per tempo – ancor più dopo l’abolizione del sistema proporzionale – e quindi con la trasformazione dei partiti in gruppi di potere di vertice) temevano che il loro finanziamento da parte dello stato, si conformasse – diventando un rafforzativo – alla logica del sistema maggioritario, in tal guisa “riducendo la democrazia” anziché “ampliare la democrazia” per superare la lontananza tra la politica e la gente.

Finendo – come in realtà è avvenuto – col rafforzare la “burocratizzazione” dei partiti piuttosto che una loro democratizzazione da perseguire riformando radicalmente i partiti e non il sistema politico e proporzionale e la Costituzione.

16) Per coagulare, in merito, le posizioni teoriche e politiche intorno ad un progetto, sembra allora necessario che al di là, e anche dopo le modificazioni in corso, il dibattito venga accompagnato con una proposta di legge di iniziativa popolare volta ad inserire nell’iter parlamentare l’idea di una “riforma” volta ad introdurre una modifica di fondo in ordine al rapporto tra soggetti sociali territoriali e istituzioni locali, attraverso la legittimazione delle assemblee popolari quali strumenti istituzionali che condizionino la progettualità programmatoria a livello locale e nazionale, sulla base di iniziative politico-istituzionali di movimenti, gruppi e associazioni democratiche, come espressione della democrazia di base abilitata a farsi soggetto reale di indirizzo politico amministrativo, sui terreni qualificati dalla loro opzione per la concreta attuazione nelle scelte quotidiane dei principi costituzionali su cui si ispira la Repubblica, per tradurre cioè in azione concreta i diritti sociali di eguaglianza ed emancipativi.

Data la regressione dei partiti a lobbiesche si sono ossificate in un connubio inestricabile e incontrollabile con i vertici delle istituzioni, occorre rompere quei legami non virtuosi oggi consolidati anche dal “tipo” di legge sul finanziamento pubblico, e dare libero ingresso istituzionale ai progetti sociali e politici che oggi non riescono a trovare legittima udienza e trasparente confronto con gli indirizzi dei vertici politico-istituzionali, incapaci ormai di cogliere i bisogni più impellenti dei gruppi sociali e della popolazione.

In tal senso, si deve necessariamente sapere abbinare, anche a livello di massa, il discorso sul finanziamento pubblico con una proposta di democratizzazione istituzionale, che ha un segno, chiaramente, opposto a quella di ogni “revisione” costituzionale e istituzionale oggi in discussione, e che superi, cioè, tale “tipo” di finanziamento pubblico già a suo tempo perduto persino dopo una “vittoria referendaria”.

Anche perché una abrogazione referendaria non è di per sé sufficiente, in quanto occorre vedere come si collega al “dopo” cioè alla “forma stato” e “forma partito” (che se sono si potere autoritario e dall’alto) e al come sostituire quanto abrogato con una nuova tipologia di intervento, coerente e collegata alla organizzazione permanente delle “democrazia diretta”, quale sono, non i referendum ma, le assemblee e le forme sociali e politiche della democrazia di base organizzata.

Potendo altrimenti determinarsi, dopo l’abrogazione – come è accaduto – una maggioranza eterogenea e contraddittoria, rispetto all’esito, eventualmente favorevole, del referendum, di per sé impossibilitato a produrre effetti innovativi che vadano oltre l’interruzione del rapporto finanziario stato-partiti e che riguardano centralmente e direttamente la creazione delle premesse indispensabili per dare ai partiti la democraticità interna che loro manca e per cui al superamento del pluridecennale “tipo” di finanziamento, occorre dare il significato di un possibile punto di partenza per rilanciare una ripresa della riforma democratica dei partiti e di quella dello stato interrotta, appena approvata la riforma sanitaria, sabotata e mai applicata proprio perché rappresentava un “modello” possibile, di esercizio di potere nazionale dal territorio e dal sociale, di potere dal basso e quindi di vera “democrazia”.

 

Centro culturale di iniziativa politica e sociale “IL LAVORATORE”

P.S.: A motivazione del Testo di legge sul finanziamento ai partiti approvato dalla Camera il 25 maggio 2012, che ha reintrodotto lo stesso “tipo” di finanziamento di cui sopra, e al di là della sua entrata in vigore, se e quando verrà approvata anche dal Senato (come è probabilissimo stante l’interesse “unanime” e convergente delle forze di centrodestra-centrosinistra) e dell’annuncio di “referendum abrogativo” contro tale legge, sembra fin d’ora necessario proporsi di accompagnare qualsiasi “referendum” con una proposta di legge di iniziativa popolare (per la quale da decenni riteniamo che si debbano istituire “corsie preferenziali” per le leggi di iniziativa popolare, invece delle “corsie preferenziali” per i decreti legge, e vada elevato il numero di firme per presentarle ed evitare che con troppo poche firme tali leggi trovino scarsa considerazione nelle aule parlamentari): volta, sia ad inserirsi nel dibattito pubblico e di massa, che nell’iter parlamentare successivo al referendum, che, di per sé, come si è visto nel 1993, non è sufficiente a garantire che dopo la sua abrogazione si rispetti l’esito del voto, e tanto meno che si approvi un “tipo” di finanziamento volto a legittimare i canali di democratizzazione dal basso dei partiti e delle istituzioni rilanciando il potere della base e la democrazia sociale, sia per collegare l’istituto del referendum all’indicazione di nuove forme di democrazia organizzata, iniziando e provando a coagulare le forze democratiche e sociali sulla indicazione di nuove forma di democrazia dal basso, con l’intento anche di rilanciare l’idea di una “riforma” delle autonomie locali e di introdurre una modifica di fondo a partire dal territorio, in ordine al rapporto tra soggetti sociali e istituzionali locali, dando al referendum il significato di un possibile punto di partenza per una ripresa della riforma democratica di stato, partiti, imprese, sindacai e società.

(fine)

Quale finanziamento per quali partiti e quale democrazia – 7^ ed ultima parteultima modifica: 2012-07-28T09:05:00+02:00da iskra2010
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