DECRESCITA O SOCIALISMO?

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di Domenico Moro

Negli ultimi anni si è affermata in Italia, come in altri Paesi avanzati, la cosiddetta teoria della decrescita. Tale teoria deriva le sue fortune da vari fattori. In primo luogo, dall’indebolirsi di un filone creativo marxista adeguato ai tempi, anche a seguito del continuo e massiccio attacco ideologico cui è stato sottoposto da parte del pensiero dominante. La sostituzione della contraddizione uomo-natura a quella lavoro salariato-capitale, è stato uno degli assi di questo attacco, che ha dato centralità nel dibattito pubblico a temi come la crisi ecologica, l’esaurimento delle risorse naturali e i cambiamenti climatici. Tutti questi aspetti hanno favorito lo sviluppo dell’ecologismo come corrente politica autonoma.

La decrescita, pur appartenendo al filone dell’ecologismo, ne è una variante estremizzata. Secondo la decrescita non è sufficiente evitare gli sprechi o puntare su uno sviluppo “sostenibile” o “ecocompatibile” e sulle energie rinnovabili. Per la decrescita l’unica via di salvezza è ridurre drasticamente i consumi. Non è sufficiente stabilizzare la crescita o ridurre la spinta compulsiva alla crescita dei consumi, bisogna ritornare a livelli di consumo tipici di una società pre-industriale. La decrescita propone un modello specifico di società, “la società della decrescita”. Questa si caratterizzerebbe per una economia basata sulla piccola proprietà contadina, localistica, e autarchica, nella quale gli scambi tra aree territoriali siano quasi assenti, di fatto una economia curiosamente simile a quella medioevale.

Una idea di società del genere rientra a buon titolo nei progetti utopistici, che sono fioriti abbondanti nella storia delle idee. Il ritorno ad una società prevalentemente contadina, localistica e autarchica comporterebbe una regressione della società. Una economia basata sull’autoconsumo annullerebbe gli scambi e di conseguenza ridurrebbe a livelli molto semplici la divisione del lavoro. Ciò determinerebbe l’abbattimento della produttività del lavoro stesso, lo sviluppo scientifico e la sua applicazione sulle forze della natura al servizio dell’uomo.

Una economia del genere potrebbe sostenere a livello mondiale una pressione demografica di poche centinaia di milioni di individui a livello mondiale, e non si capisce che fine farebbe la gran parte degli attuali sette miliardi di esseri umani.

Dietro la visione ingenua della “società della decrescita” vi sono vari errori di prospettiva, che ne rivelano le deboli basi scientifiche, economiche e sociologiche. Una drastica riduzione dei consumi e dello sviluppo è antistorica, perché non è mai avvenuto nella storia che l’umanità regredisse spontaneamente, e perché risulterebbe più che improbabile non solo ricondurre centinaia di milioni di europei e nord americani alla pura sussistenza, ma soprattutto negare a miliardi di asiatici, latino americani, e africani la possibilità di uscirne, come testimoniano i sommovimenti in Egitto e Tunisia e gli imponenti flussi migratori Sud-Nord in atto. Secondo i teorici della decrescita sarebbe la prospettiva millenaristica e catastrofista della crisi ecologica e dell’esaurimento delle risorse naturali ad incaricarsi di convincere miliardi di individui al grande balzo all’indietro.

Non vogliamo negare la crisi ecologica, ma la decrescita dimentica che le fonti di energia e le tecnologie che le impiegano non sono fattori fissi nella storia umana. Esse sono variabili dipendentidallo sviluppo delle forze produttive (in particolare dalla ricerca scientifica) e soprattutto, dal momento che la tecnica non è socialmente neutrale, dalla modifica dei rapporti di produzione. Il punto è, quindi, capire dove stia la causa della crisi ecologica. La teoria della decrescita sbaglia nell’individuarla, imputandola all’industria e al consumo tout court. Al contrario, la crisi ecologica ha la stessa causa della crisi economica, il modo di produzione capitalistico, basato sui rapporti di produzione lavoro salariato-capitale. Il consumo non è il fine del capitale. Il fine del capitale è il profitto. Sembra paradossale, ma la teoria della decrescita si afferma in una fase storica in cui i consumi di massa, nei Paesi più avanzati, si restringono e l’incidenza della povertà aumenta, insieme alla contrazione del salario reale. Una fase in cui le società più avanzate non “crescono”, o decrescono, a seguito di una delle crisi più profonde della storia del capitalismo. E tutto questo mentre crescono i profitti assoluti, la ricchezza dei ricchi e quindi crescono i loro – ma solo i loro – consumi di lusso.

Eppure, la decrescita nega che la questione sia quella dei rapporti di produzione basati sul capitale. Ugualmente nega che la classe lavoratrice possa essere protagonista della trasformazione della società e accomuna socialismo e capitalismo come tendenze nocive, sviluppiste. La questione diventa così etica e morale, e la soluzione viene rintracciata in una scelta volontaristica e individuale, nella frugalità piuttosto che nel consumo equo. La vera questione da porre, invece, prima ancora di quanto si produce, è per chi e in che modo si produce.

Infatti, l’esaurimento e lo spreco delle risorse umane e naturali dipende non dall’industria in sé, ma da un sistema fondato sulla concorrenza tra imprese capitalistiche e sulla ricerca del massimo e più rapido possibile profitto. Dipende dall’anarchia di un sistema senza direzione unitaria e coordinamento, fonte di sprechi e sovrapproduzione, in cui l’uomo e la società non hanno il dominio sulle immani forze produttive, che pure hanno generato, ma dalle quali sono dominati, quasi che fossero cieche forze della natura. Crisi economica e crisi ecologica appaiono così come manifestazioni, pur diverse, della ribellione della economia e della natura alla medesima irrazionalità del modo di produrre.

La decrescita non può essere la soluzione, anzi la sua teoria maschera le cause e impedisce di trovarne una soluzione, deviando verso ricette utopiche e paradossali. Ciò che va affermato non è un balzo all’indietro nei livelli di civiltà, ma la necessità della produzione razionale e della redistribuzione della ricchezza sociale. Non la decrescita, ma la pianificazione è la soluzione all’anarchia del capitale. Infatti, solo la riconduzione delle forze produttive sotto il controllo dei lavoratori liberamente associati secondo un piano razionale, il socialismo, può permettere il superamento delle crisi economiche e delle crisi ecologiche.

In questo senso, la critica alla decrescita non è un vezzo di purismo ideologico, ma una operazione di chiarezza, funzionale alla lotta che attende chi voglia cambiare realmente lo stato di cose presente, e un tassello nella ricostruzione di un pensiero critico attuale e fondato scientificamente.

DECRESCITA O SOCIALISMO?ultima modifica: 2012-08-03T09:13:00+02:00da iskra2010
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