Per andare alla radice del perché tutto passa senza contrasti reali e senza una dialettica né polemica e lotta vere (cioè pratica e teoria)

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Di Angelo Ruggeri

 

Nella frantumazione delle scienze e delle conoscenze, nella separazione del lavoro dalla economia, la “riforma del lavoro” approda alla camera dopo che al senato e con la finta opposizione della CGIL “di sistema” di Camusso, e’ stata approvata (e peggiorata) da berlusconiani e antiberlusconiani ma non anticapitalisti, contrari solo alla “persona” e non al capitalista Berlusconi.

Anche la cancellazione dell’art.18 sta passando senza contrasti reali da parte di chi, nel segno del centrosinistra, del PD e della CGIL si e’, da tempo, inserito nella normalità’ del capitalismo internazionale e nazionale.

Le distinzioni “politiche” mascherate da “giuridiche” introdotte nel testo di modifica dell’art. 18, di cui le “sinistre” sindacali e politiche mostrano di esserne o complici (e subalternamente condividere) o incapaci di interpretare il vero significato dell’articolo 18 (che il governo mostra di sapere bene), testimoniano una volta di più l’abilità e la sapienza della cultura borghese nell’uso dello stato e del diritto, con cui le forze conservatrici e cripto reazionarie e il capitalismo privato, in nome del primato del mercato (sia nei sistemi di tipo liberaldemocratico che nei sistemi di tipo fascista ) sanno fare uso e leva sulle centralità della questione dello Stato e sull’uso politico del diritto, per affrontare i problemi relativi alla questione socialeaggirando e capovolgendo i valori della democrazia e della Costituzione della “Repubblica antifascista di democrazia sociale”.

Anche per ciò, non può bastare lamentarsi degli atti di imperio del governo sostenuto da “berlusconiani” e “antiberlusconiani” da “riformisti” e “liberisti” uniti contro pensionati, art. 18 (ecc.) e nel sostegno ad un “governo” che ancorché “cadesse” avrebbe comunque già fattoil lavoro “sporco” che si prefiggeva, frantumando ogni record di voti di fiducia, di decreti leggi e leggi delega, espressione di quel “governar decretando” di tipo anglosassone, inaugurato dal centrosinistra e dal primo governo Amato, proseguito negli anni ‘90 e 2000 da quelli Ciampi, Prodi, D’Alema, Berlusconi.

Non è quindi lecito ne fondato sperare che il PD e gli emendamenti della CGIL possano cambiare il quadro di regressione autoritaria nei rapporti sociali el’espugnazione” della “casamatta” del potere sociale di controllo sindacale dei lavoratori connesso a quello dello stato tramite la magistratura e sancito dall’art. 18.

Per la semplice ragione che in uno stato confusionale di massa, provocato e consolidato in un trentennio di progressivo avvelenamento dei cervelli dei lavoratori da parte dei gruppi dirigenti della “ex-sinistra” PDS-DS-PD e CGIL, da tempo questi vertici liberisticamente ritengono che le imprese debbano essere liberate dai lacci e lacciuoli del controllo democratico statale e sociale delle imprese ( come si procede a fare col testo di modifica del 18). Tanto che il PD ha sostenuto di non modificare l’art. 41 “perché tanto non lo si applica mai” e la CGIL dal Congresso ’86-’87, ha assunto la collaborazione subalterna col potere d’impresa tramite “concertazione” e la c.d.” coodeterminazione”.

Sì che, purapprezzando le analisi critiche di merito e le considerazioni ravvicinate circa i testi approvati al Senato – un per tutti quelle avanzate da Franco Pinerolo,oltre a non condividere il suo “ottimismo, di cui sopra,riteniamo che, pure le modifiche propose dalla CGIL, lascerebbero intatto il vulnus del potere sociale e giurisdizionale a cui mira il governo con la c.d. “riforma del lavoro”.

Pur apprezzando, riteniamo che per quanto “giusto” in sé, non sia sufficiente dire che“tutto ha una medesima radice comune: l’errore neoliberista”, con una evidente, ci pare, inclinazione favorevole alle politiche anch’esse fallite della storicamente dimostratasi fallace teoria economica keynesiana, che induce alla considerazione che ha fatto sostenendo che “la ripresa dovrebbe avvenire non dal lato dell’offerta bensì della domanda, quella delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni, sostenuta grazie all’impegno pubblico, perché così si e’ fatto nel mondo durante le altre grandi crisi, a cominciare dalla Grande Depressione fra le 2 guerre, nel 1934, dopo la crisi del 1929” ( scrive l’amico Franco Pinerolo).

L’apprezzamento è dovuto, soprattuttoperché in tal modo si offre la possibilità di una dialetticanon solo sulla c.d. riforma del lavoro che con un’ulteriore mistificazione si accetta di considerare separata, come fosse separabile dall’economia, nel mentre manca non solo una lotta ma anche una dialettica interna o tra le forze che pur affermano una contrarietà e che forse ritengono – come abbiamo avuto modo di ricordare – che la dialettica sia una cosa da filosofi e non la più normale e popolare forma di buon senso e di spirito di contraddizione degli uomini.

Sta di fatto che manca una vera discussione come base per una autentica polemica e conseguentemente manca una vera lotta – ovvero una lotta sia teoretica che una lotta pratica contro l’ideologia e le teorie economiche della borghesia a cui appartiene lo stesso Lord Keynes, per cui una lotta contro le teorie capitalistico-borghesi non può essere autenticamente svolta se si assumono le politiche keynesiane vittime anch’esse della Terza Grande Crisi della Teoria economica a partire dalla crisi messa in luce dalla seconda grande crisi della teoria economica proprio anche dal New deal guerrafondaio che negli anni 30 non solo non ha affatto risolto la crisi del ‘29 ma anzi la ha aggravata e per risolverla c’è voluta l’entrata in guerra. Per restare al tema “lavoro” non vogliamo anticipare la prossima riflessione sulle crisi delle teorie economiche che lascia in campo come valida solo quella marxista.

Dal momento che – diversamente da quanto cerchiamo di fare noi – altri non si dialettizzano o non leggono quanto abbiamo scritto, anticipiamo soltanto che l’impulso del capitalismo ad accumulare ricchezza nella sua forma astratta e si accomuna significativamente con “l’economia monetaria” di Keynes”. Per questo le ricette keynesiane negli anni ’30 aggravarono la crisi del ’29 che si risolse solo con l’economia di guerra del secondo conflitto mondiale, e, dopo un breve periodo post-bellico, si sono dimostrate funzionali all’incremento dell’“eterno debito” che dal Cile all’Argentina, alla Grecia e a 170 Paesi nel mondo e a noi stessi è stato “costruito” e “usato” per giustificare e perseguire le catastrofiche politiche liberiste imputate da Franco Pinerolo che per altro non vede il vero significato delle modifiche all’articolo 18, limitandosi a considerarle, come molti all’interno del “PD“ e del sindacato, un atto di violenza contro i diritti dei lavoratori”, anziché contro il potere sociale dei lavoratori dal quale dipende e consegue l’esistenza o meno dei “diritti” e non viceversa. E non è questione di mero linguaggio, ma una questione concettuale, dalla “trascuratezza” o “ignoranza” della quale derivano tutte le sconfitte di almeno un “ventennio” (così fu conclamato/avversato il regime fascista) e la mancanza di reale contrasto anche sul “lavoro” e sul 18 – e come sulle pensioni e tutto il resto – da quando, appunto, si è abbandonata la strategia di lotta contro il potere d’impresa e per un potere sociale e ci si è accomodati a rubricare come di “sinistra” la liberale e c.d. “teoria dei diritti” civili ed individuali, introdotta da destra e assunta da sinistra dall’inizio degli anni ’90, accomunando persino il lavoratore ad una “persona” quale è anche il dirigente d’impresa. Questa che è la base su cui da Occhetto alla CGIL è stata teorizzata la “collaborazione” tra lavoratori e direzione d’impresa – tra “persone” appunto – con la c.d. codeterminazione o vero e proprio consociativismo di classe, e come se il lavoratore non viva sottoposto ai rapporti gerarchici e le specifiche condizioni dell’organizzazione del lavoro dell’impresa capitalistica, condizione del tutto imparagonabile a quelle di una persona che vive i rapporti di diritto nella società civile.

Visto che ci siamo o risiamo se tutto questo ancora non entra nel buon senso e nella testa, viene da pensare che bisognerebbe, forse, appuntare sulla fronte di tutti coloro che si richiamano a “tutte” le “sinistre” di varie specie, a fuoco, o avvitandola una targhetta così che tutti, incontrandosi e guardando la fronte uno dell’altro, vedano la scritta e possano ricordarsi chela rivendicazione dei “diritti” civili-individuali, è la perpetuazionedel metodo introdotto da “destra” e da “sinistra”, all’inizio degli anni ’90, come rinuncia alla rivendicazione di potere sia sociale che politico dalla cui consistenza ha dipeso la conquista negli anni ’60-’70 dei “diritti” oggi in bilico e indifendibili proprio per l’assenza – in nome della “globalizzazione” e dei “diritti” –  di ogni forma di contrattacco del potere della classe operaia al potere del sistema delle imprese. In linea con questa rinuncia, c’è poi la convergenza acritica sui c.d. “beni comuni” pur di non parlare più di socializzazione dei poteri sia dell’economia che dello stato, e quindi di democrazia e socialismo. E già che ci siamo aggiungiamo sulla fronte di tutti il logo gramsciano: Le Azioni Non Sorrette Dalla Teoria Sono Impulsi Infruttiferi”.

Ma c’è’ molto più di tutto questo da considerare.

Per andare alla radice del perché tutto passa senza contrasti reali e senza una dialettica né polemica e lotta vere (cioè pratica e teoria)ultima modifica: 2012-08-17T08:30:00+02:00da iskra2010
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