Da Jan Palach ad Angelo Di Carlo e l’apartheid di classe: Indigniamoci: se non ora, quando?

 

IMG_3642+logoMOWA.jpg foto MOWA

Da Angelo Ruggeri

Mattinale. Da Jan Palachad Angelo Di Carlo. E dalla violenza di razza a quella nei confronti dei lavoratori, all’apartheid é sempre e solo una, quella di classe: espressione di un potere che nella vesti di una forza portatrice di violenza, in concreto coniuga ( a secondo delle necessità e delle possibilità per i propri fini di profitto) le due forme di discriminazione, intrinsecamente espressivo di un capitalismo colonialista e di un imperialismo sia economico che politico e militare.

 

Il razzismo come rapporto sociale materiale va sempre considerato ed esaminato tenendo conto della duplice e inseparabile dimensione della oppressione di razza e oppressione di classe, di nazione e di sesso: per questo la fine dell’oppressione non finisce con una “fine” dell’oppressione razziale ma continua con l’oppressione di classein cui é incorporata anche quella di razza e che è tale anche quando va in giro vestita con i panni della “civiltà” capitalistica che nascondono ben poco se non agli ingenui e ai chierichetti e chierici laicisti del capitalismo d’impresa e che proprio per nessuna ragione obiettiva sostengono i suoi “funzionari” di governo come Mario Monti principalmente perché hanno sostituito quelli del capitalista Berlusconi. 

Quello che serve davvero è la critica dei fondamenti sociali , storici , di classedella diseguaglianza sociale come natura propria del capitalismo, colonialista e imperialista, e quindi anche tra le razze e del razzismo, che si esplica anche con i rapporti coloniali e nei rapporti sociali e di produzione esportati dalle multinazionali e dalle imprese transnazionali nei paesi coloniali e là dove prima non esistevano. Donde chela classe operaia e il proletariato,lungi dall’essere scomparsi – come teorizzato dalla sinistra dei chierici traditori come quelli degli anni 20 – si sono viceversa triplicatinel mondo: da meno di un miliardo negli anni 90 agli attuali 2. 300 miliardi di operai e proletari.

Due drammatici eventipoco significativamente rappresentati dai mass media, hanno colpito l’immaginario collettivo mostrando agli occhi dei ciechi come nel sistema dei rapporti di produzione capitalistici sia intrinseca una violenza di classe che volta a volta si manifesta nelle forme (solo apparentemente “diverse”) delle forme di sfruttamento sia razziale che dei lavoratori bianchi o di colore che siano.

Angelo Di Carlo che si brucia davanti al Parlamento come  Jan Palach a Praga in Piazza Venceslao nel 1969 del quale si parla ancora oggi dopo oltre 4 decenni e tutti i giornali del mondo lo celebrarono – anche giustamente – come un martire vittima del potere e di un governo dispotico dei regimi del “socialismo reale”. Gli stessi mass media e politici e tellettual-in che non ugualmente, però, hanno ricordato Angelo Di Carlo come martire del regime del “capitalismo reale”, vittima del potere dispotico del capitalismo finanziario responsabile della crisi  – dopo decenni di profitti senza precedenti e dell’attuale governo italiano che per conto delle agenzie finanziarie e per proteggerle scarica i costi della crisi sulle spalle di chi ha subito prima e subisce oggi le conseguenze delle nocive politiche liberistiche. 

Possiamo scommettere che nessuno dedicherà – come invece a Palach – piazze e vie ad Angelo Di Carlo e che di certo non sarà ricordato nel prossimo futuro ed anzi è già oggi obliato e dimenticato.

Per l’altro verso, basterebbe chiedersi cosa ci fa una “Compagnia del platino” di quegli inglesi che, dopo l’oro, sono passati a depredare il Sud Africa del suo platino, che sfrutta per 400 euro il lavoro in miniera di “lavoratori colorati”, e, quando questi si limitano  – perché è un limite – a chiedere un aumento della retribuzione, li fa fucilare dalla polizia, come esattamente avveniva al tempo dei governi “inglesi”.                            

Facendo capire a chi vuol capire che l’unico capitalismo – e colonialismo – “buono” é quello morto, espropriato e cacciato in primis dai paesi coloniali: altrimenti rimette sempre nuove e peggiori radici, solo un poco riverniciate e mascherate.  E il governo Sud Africano si limita a proporsi una Commissione d’inchiesta e a non intervenire direttamente per sanzionare la Compagni inglese, che, ancora dopo aver fatto fucilare 34 operai, minaccia di licenziare i lavoratori in sciopero che il governo non garantisce, di fatto accettando che l’apartheid di razza e di classe si perpetuino in un dominio coloniale economico e quindi anche politico come nelle più svariate forme accade in tutti paesi africani: ad opera degli stessi colonialisti e guerrafondai francesi, inglesi, americani e tedeschi, che, come avevamo facilmente previsto, dopo la Libia, porta aperta sul continente africano e propedeutica, come lo fu quella del 1911 ad una guerra generale, per cui ora sono passati alla Siria (per non dire delle altre guerre per procura di tutta l’Africa).

Riceviamo e ringraziamo

 

From:Sergio ManesSent: Sunday, August 19, 2012 10:13 PMSubject: Indignamoci: se non ora, quando?

 

Indigniamoci: se non ora, quando?

da Angelo Ruggeri

Che la disperazione possa indurre a gesti estremi – anche a quello di togliersi la vita – non potrà mai essere considerato “normale”. Eppure la frequenza con cui queste tragedie si verificano nel mondo del lavoro rischia di farle rientrare in qualche modo nel “conto” della politica contemporanea. Semmai con la “spiegazione” – pietistica, quanto inumana, demagogica, quanto tranquillizzante – delle cause “generali” e delle condizioni specifiche in cui il dramma è andato concretizzandosi.

Non c’è da stupirsi, quindi, neppure che gli organi di informazione – sia quelli di regime che quelli formalmente di “opposizione” – releghino in secondo piano, semmai nelle pagine interne, le relative notizie, magari accompagnandole con titoli e commenti strappalacrime, dietro cui, tuttavia, si lascia trasparire la “fragilità” di chi giunge a simili “estremi”. Insomma, il suicidio di un disoccupato sarebbe un sottoprodotto, un “effetto collaterale” della crisi e della sua gestione, circoscritto ai soggetti più “deboli” , quelli non in grado, per motivi materiali e psicologici, di reggere le condizioni “indubbiamente difficili” del momento. 

Nella terribile calura agostana la tragedia di Angelo Di Carlo non ha avuto miglior sorte. Neppure il fatto che si sia dato fuoco in piazza Montecitorio e che, avvolto dalle fiamme, abbia tentato l’estrema denuncia cercando di entrare nella Camera dei Deputati. Il ministro Fornero ha dichiarato – “desolata” – che “non ci sono parole…”. E questo è tutto. Ma questo è anche ciò che sta diventando “opinione” generale nella sostanziale indifferenza, non solo dei media, ma perfino dei “sindacati” e dei partiti di “sinistra”: le idee dominanti in una società sono le idee delle classi dominanti”! 

E fin qui, tutto normale: o, almeno, sia l’ignobile alzata di spalle della Fornero, sia l’“ordinaria amministrazione” dei cialtroni della carta stampata, della radio e delle tv (di Stato e non).

Quello che è veramente intollerabile, che suscita disgusto e rabbia, è l’indifferenza e, addirittura, l’assenza su questa ennesima tragedia dei “sindacati” e dei “partiti” “comunisti”.

Non una riga, non un commento: ben vero che non gestiscono loro i grandi organi di informazione, ma i loro siti web sì. Ebbene, inutilmente cerchereste su internet qualcosa: tutti in ferie al mare o in montagna i loro dirigenti e i loro redattori?

La verità è che questa loro assenza è il segnale che, forse, anche per loro queste tragedie – che si determinano nella disperazione di singoli, ma che sono collettive, di classe ­ fanno parte del gioco, sono incidenti di percorso, al più “segnali” del diffuso “disagio sociale” indotto dalla crisi… 

È, in realtà, il segno tangibile della distanza abissale che separa tutti costoro dalla sofferenza, dalle speranze deluse e dalla disperazione di milioni di esseri umani lasciati – per dolo o imbecillità – in balia di chi si è ripreso in pochi anni (con la forza e, più spesso, con l’inganno e le complicità) tutte le conquiste dei lavoratori, che isolato e ha spogliato ogni individuo della sua dignità e del suo futuro, che ha precarizzato (con la collaborazione attiva di una “sinistra” sempre “responsabile”) non soltanto il mondo del lavoro e la vita delle classi subalterne, ma – soprattutto – le coscienze di lavoratori, di giovani e anziani lasciati soli e smarriti di fronte alla ferocia dell’avversario.

Risalire la china è difficilissimo, ma è possibile; ricomporre la coscienza collettiva della dignità, dell’unità e della forza della classe, si può; ricostruire il partito e il sindacato di classe è necessario e urgente. Ma i gruppi dirigenti che hanno portato a questo stato di cose di drammaticità senza precedenti e che sono, di fatto, del tutto estranei alla classe, fanno parte del problema, non della sua soluzione.

 

Da Jan Palach ad Angelo Di Carlo e l’apartheid di classe: Indigniamoci: se non ora, quando?ultima modifica: 2012-10-01T08:15:00+02:00da iskra2010
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