I “cani morti” della decrescita e del’antimarxismo. Su quanto scritto a ISKRA da un “gentil signore”

costruire un vero Partito Comunista_se non ora quando?.jpg


in risposta al commento di “Mann” sull’articolo/intervista di Mario D’Acunto *

di Angelo Ruggeri

I “CANI MORTI” DELLA STORIA DAGLI ANTI MARXISTI – PSEUDO ANTICAPITALISTI ALLA CRIPTO-PRO-CAPITALISTICA “DECRECRESCITA”.

OPERAZIONE IDEOLOGICA CHE CONSISTE NEL DEVIARE L’ATTENZIONE DALLA QUESTIONE DEL POTERE LASCIANDO INTATTO IL SISTEMA DI PRODUZIONE CAPITALSITICO PONENDOSI A LATERE IN UNA NICCHIA DI C.D. AUTOPRODUZIONE, UTILE PER “RIFARE LE UNGHIE” AL LIBERISMO E LASCIARLO LIBERO DI CONTINUARE AD USARLE

La “rapidità di circolazione delle monete” era già stata anticipata da Gramsci – Crescita o decrescita per il capitalismo pari sono – Senza teoria non c’è strategia – Riprendere l’uso POLITICO della teoria marxiana – Le fasi storiche cambiano ma i principi non deperiscono mai e restano sempre validi e gli stessi per il liberalismo come quelli del marxismo (o della Chiesa da ben 2000 anni) – IlMarx grande studioso del capitalismo da cui i capitalisti riconoscono di imparare come funziona il capitalismo e che insegna tutto in fatto di corruzione politica, tendenze monopolistiche, disuguaglianze, mercati globali (ecc.) – La massa di capitali posti all’interno della finanza emblema della crisi del sistema capitalistico che accentua i caratteri parassitari (aspetti anticipati dal marxismo)

A proposito di quanto un “gentil signore” ha scritto al blog-ISKRA in risposta all’intervento di D’Acunto.

Intercetto casualmente questo intervento che, di primo acchito, direi in generale soggetto alla vulgata economicistica e forse anche per ciò soggetto alla distorsiva e falsa interpretazione economicistica del marxismo, se non anche a quella deterministica o semplicemente positivistica del marxismo, (oltre che non essere di certo assimilabile ai gulag), che in tal modo dimostra di non sapere cosa è ne chi sono meramente “Marx, Lenin, Gramsci, ecc.” a cui si riferisce il “gentil signore” di cui non conosco il nome e che volutamente iscrivo nella “geniale” degli “asini-stri”. Perché anche se pare non voglia riconoscersi nell’attuale pseudo-sinistra, il “gentil signore” ragiona come gli “asini-stri” e il punto di partenza del suo ragionamento – contro la realtà dei rapporti sociali e quindi per identificarsi con gli interessi dell’ideologia dominante – è lo stesso con cui gli Occhetto, Veltroni, D’Alema motivarono la demolizione del PCI e misero in soffitta “Marx, Lenin, Gramsci, ecc.”, come vuole che sia questo “gentil signore”: con l’intento irenico (pacioso, superficiale) di cancellare a ritroso la storia – proprio come l’occhettismo – fino anche (o a cominciare) dal più famoso Manifesto politico della storia, che già nel 1848 rispondeva, smentiva e dimostrava “false” le affermazioni del “gentil signore” in quanto, in quel secolo e in quell’anno, Marx aveva affrontato la questione della globalizzazione finanziaria, un secolo prima della nascita dei vari Bill Gates e 150 anni prima di quella del “gentil signore” (che scrive quanto allego sotto). 

Anticipo che, comunque, non è questo il vero punto di discussione o che intendo discutere, poiché è ovvio che non basta e non si tratta di rievocare le parole d’ordine del passato, e nemmeno di fare l’esegesi delle parole d’ordine di Marx, Lenin, ecc., facendo cioè della filologia o della letteratura marxista come in affetti capita a molti c.d. marxisti, mentre quello che manca e non si pratica è proprio il marxismo che conta veramente e cioè il marxismo politico-sociale, applicato: un’applicazione della teoria della prassi alla prassi che è appunto il compito del partito che non c’è più e che oggi manca. Un partito – per usare formule sintetiche – “moderno principe” o “intellettuale collettivo” o di “tipo nuovo” o partito “nuovo” di quel tipo che era e resta il PCI.

Partito che nel secolo lungo del 900, dell’imperialismo transnazionale e della mondializzazione del capitalismo finanziario. Dall’880, pur nei cambi di fase, nella continuità della storia – senza cesure ma solo fasi – il capitalismo del XXI continua ad essere senza soluzione di continuità quello del lungo secolo XX (ai cui inizia e mutatis mutandis sembra, anzi, tornare il capitalismo d’inizio XXI secolo) che è stato caratterizzato dal passaggio dai partiti di opinione, operanti come gruppi parlamentari e secondo criteri del “cretinismo parlamentare” (Togliatti) ai partiti espressivi delle radicali mutazioni avvenute nella società di massa.

Si che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali (a cui sono tornate ad attaccarsi dopo la cancellazione del PCI) trovando nel partito di tipo nuovo prima nel partito nuovo poi, il modo di esprimere “la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale” (Gramsci, Q 12,) che è ciò che di certo non si vuole perdere o a cui si può rinunciare ma bensì tendere a recuperare e a “ricostruire” un tale soggetto politico e partito quale era il PCI.

Anche perché è tale partito nato e cresciuto nel vivo della lotta sociale e politicache ha animato la storia della crisi del liberalismo di allora come quella di oggi, e poi del conflitto imposto dal fascismo come movimento trasformatosi poi nel primo partito organizzato della borghesia – a supporto del regime reazionario di massa (Togliatti): ed è nella lotta politica e sociale durante la crisi del liberalismo che ha trovato maturazione la teoria, la cultura, la prassi e la “costruzione” del Partito comunista italiano.

Questo se il “gentil signore” sa di storia e non appartiene a quella cultura di destra e persino reazionario della “sinistra” pseudo estremista e pseudo anticapitalista, che per tutto il ventennio” (come quello fascista) ha teorizzato persino il post-tutto e persino la fine della storia e specie quella del 900, sopratutto per censurare e cancellare anche dalla sola memoria la fase socio-culturale e di più alta di lotta di classe degli anni 60-70, particolarmente significativa in Italia , magari mistificando i concetti parlando di Impero anziché di imperialismo del capitalismo finanziario; di “moltitudini” (sic) invece di classi proletarie e operaia; di “fine dello stato” e dell’intervento pubblico, pseudo anticapitalisti ora frastornati e colpiti dal boomerang del ritorno di tutto quanto avevano teorizzato come finito e superato, come anche il marxismo e come sostiene pure il gentil signore.

Con tutto ciò non solo si sono creati castelli su un terreno reso argilloso da chi li erige, ma si è eluso e si elude la necessità di dare risposte utilizzabili per superare una crisiche è dall’inizio blocco di rapporti tra economia, società e stato: in conseguenza del fatto che i poteri tradizionalmente fatti coincidere sul terreno filosofico con le teorie dello stato – a loro volta controverse – è sempre con lo stato nazionale che oggi con le sue proiezioni sovranazionali, si proiettano oltre lo stato (mentre aumenta il numero degli stati stessi),

Forse, gentil signore, ”la rivoluzione si ferma a Bruxelles e a Strasburgo” come lei scrive, ma parte sempre dai vertici e dal verticismi di potere e di governo dello stato nazionale con tutte le sue proiezioni soprannazionali: attraverso meccanismi politico-istituzionali (di cui non sanno analizzare cos’è la UE coloro che non capiscono di diritto, come tanti marxisti agnostici e chi come pare anche il gentil signore, non sanno veramente cosa sia l’unita delle scienze e quindi – oltre alla capacità di conoscere e di praticare e attuare la strategia – non solo dell’economia ma anche del potere e delle scienze umane oltre che tecniche) di cui sono formalmente titolari gli apici- verticistici e solo verticistici – governi degli stati-governo: Stato inteso come governo: ecco un esempio, uno solo tra tanti principi marxiani e specificatamente gramsciano, valido sopratutto per l’oggi degli Stati intesi come governo e quindi apparati, burocrazia e anche polizia nazionale, sovranazionale  e internazionale.I quali dominano monopolisticamente su tutto il ventaglio delle forme rese necessarie per quella che sopratutto dopo il 1944 si è palesata come sistematico prolungamento delle sovranità statuali in ambiti “esternidominati da tecno-burocrazie specialistiche abilitate dai governi europei a legittimare il primato degli Usa in luoghi sfuggenti pregiudizialmente non alle sovranità “popolari “, ma allo stesso ruolo autonomo e non di solo ratifica dei parlamenti nazionali (a cui ora si è aggiunto il posticcio parlamento europeo).

Per non dire del “blocco storico” interpretativo del blocco storico transnazionale che vale in generale per la globalizzazione (blocco storico che gruppi gramsciani delle diverse parti del mondo e anche significativamente degli USA propongono che per capire venga applicato non solo al livello dello stato nazione ma a all’intero globo, per capire la globalizzazione) ma specificatamente vale proprio per l’Unione europea il cui complesso sistema di governance conta poco rispetto all’architettura istituzionale europea incorporata nel modo di produzione capitalista di questa fase: cioè nel blocco storicotransnazionale formatosi sin dall’inizio sotto l’egemonia del capitale finanziario a guida USA (quindi non dell’impero ma dell’imperialismo proprio della fase del capitalismo finanziario da oltre un secolo protagonista aggressiva e di guerra – economica e politico e non solo militare – dell’imperialismo) sulla base di un ritorno alle caratteristiche socio politiche essenzialistabilite durante la grande Rivoluzione britannica del 1688,quando la politica è stata subordinata al potere della proprietà privata e del capitale, espressa nelle forme dello stato minimalista: dunque, un capitalismo del XXI secolo che torna persino agli albori e alle caratteristiche del 1600 oltre che di quelle d’inizio XX secolo: altro che superato “Marx, Lenin, Gramsci ecc.” di cui il gentil signore sembra non sapere o dimenticare che cambiano le fasi della storia e il mondo ma i principi non cambiano mai ne per il liberalismo, nel per la chiesa ne per il marxismo.

Principi che si vogliono non solo distorcere ma mistificare e deconcettualizzare in tutti i modi e specialmente foraggiando e diffondendo da parte del capitale e della destra reazionaria la critica antimarxista di gruppi pseudo anticapitalisti non a caso trasversali e omologanti intellettuali dei destra e di cosiddetta sinistra estrema o radicale, proprio come è servita ed è stata usata la critica anti PCI da sinistra pseudo estremista.

Tra questi antimarxisti pseudo anticapitalisti (estremisti trasversali di destra e sinistra) impegnati a legittimare il presente (e il suo capitalismo) recidendo le connessioni col passato (e le idee di trasformazione socialista cioè di vero anticapitalismo) rompendo con la teoria della prassi protagonista delle grandi lotte di classe e delle sue conquiste, grazie all’unità teorica del proletariato e del movimento operaio e democratico realizzata con e dalla teoria della prassi comunista e del PCI) si pongono i fautori del capitalismo, decrescente anziché crescente ma sempre capitalismo “urbi et orbi”. 

PER IL CAPITALISMO CRESCITA O DECRESCITA PARI SONO

Un quadro questo, in cui s’iscrivono e si annoverano quegli avanzi rimasti dei laureati di fresca data e non, che dall’anticomunismo e critica anti PCI a loro dire poco anticapitalista, hanno collaborato e corroborato l’eliminazione del PCI per sostituirlo con gli attuali gruppi di interesse capitalistici privati al servizio e agli ordini del primato dell’economia e dei suoi tecnici, per l’appunto dicendo superato Marx-Lenin e Gramsci considerato un “cane morto”, CHE DISAMORARONO E PERSERO SUBITO LA LORO VOCAZIONE marxiana ED ENTUSIASMO ANTISISTEMA.

Sicché praticarono e ancora si dedicano con rigoglio applicativo, in politica, al metodo contrappuntistico dell’inversione musicale del tema. Invertendo, da sinistra a destra, la “critica al PCI” in “anticomunismo” e in antimarxismo, il tema della trasformazione socialista e della democrazia sostanziale in quello della secondo loro trasformazione del capitalismo di fine XX e inizio XXI secolo (però precipitato per aver praticato i “fondamentali” della stessa crisi del 1929), e invertendo il tema della loro contrarietà alla storia post fascista della Repubblica di democrazia sociale avanzata delle istituzioni dell’antifascismo anticapitalista in abbattimento delle travi portanti della democrazia anticapitalistica e cioè del PCI corroborando e collaborando di fatto, alla c.d. seconda repubblica ispirata dalla P2 di Licio Gelli, dove crescono i funghi velenosi della moltitudine, del glocale e della decrescita, paradigmi a cui si dedicano intellettuali (tellettual-in) di estrema destra e di “estrema sinistra”, per destrutturare i concetti e le collocazioni teoriche e quindi le pratiche sociali, politiche ed economiche delle classi nell’attuale fase del capitalismo finanziario (fase e non cesura).

Sicché, in un mondo dove i poteri dell’imperialismo transnazionale e il capitalismo finanziario dominano sempre comunque, indipendentemente dal fatto che il capitalismo “cresca” o “decresca”, la “decrescita” si configura come una fuga dalla questione centrale del potere e del sistema di accumulazione della proprietà privatadei mezzi di produzione, rispetto ai quali il tema della “decrescita” significa “decrescita a capitalismo invariato”: ovvero rinunciando ad incidere e trasformare i poteri vigenti per una emancipazione sociale ancora contrastata con ogni mezzo da tali poteri e sistema. In nome di una c.d. autoproduzionecon cui ci si accomoda in una nicchia, in un circuito marginale posto o a latere del sistemache non viene toccato e non muta in nulla sia che cresca o che decresca . Ma con ciò coprendo e favorendo anche la perpetuazione della politica “pro-ciclica” e “pro-crisi” che alimenta una produttività miserabile e una competitività fallimentare, in atto in Italia da oltre venti anni.

Un ventennio in cui non per caso gli attuali fautori della c.d. “decrescita” vede accomunati tra loro “politici” e intellettuali, veri e propri TUI telletual-in, della estrema destra e della pseudo sinistra, che, in prevalenza, sono gli stessi, di destra e “sinistra”, che in questo “ventennio” (come quello fascista) hanno veicolato tutti i fantasmi liberisti: della “fine dello stato”, della “fine del lavoro”, della biopolitica e delle “moltitudini” in-vece delle classi, dell’Impero in-vece dell’imperialismo e persino della “fine della storia”. Sono insomma gli stessi professionisti di quello che, come detto sopra, in musica si chiama il metodo contrappuntistico dell’inversione del tema: dalla trasformazione e superamento del capitalismo e del sistema di potere e di accumulazione capitalistica ad una sua c.d. “decrescita” di mantenimento del sistema a capitalismo invariato, tra un irrazionale dominante e tale mistificazione del ruolo socio-politico delle classi che addita al movimento operaio di appiattirsi all’interno di nicchie residuali della produzione economica.

A questi come al gentil signore va ricordato che non c’è alcun vero anticapitalismo se non si indica e non dichiara e persegue il fine del socialismo: di cui tutti questi neanche parlano, e nemmeno ne parla il nostro gentil signore, anche perché sono come “cani morti” della storia in quanto non intendendo la inscindibilità della storia, la continuità storica dei processi e quindi anche dello stesso marxismo che non è fossilizzato ma si confronta e si sviluppa con le questioni economiche, politiche, sociali, istituzionali, che si pongono via via nel corso dallo sviluppo e delle dinamiche evolutive della storia che è anche la base del materialismo storico e delle “parole d’ordine di Marx, Lenin e Gramsci, ecc.”: ovvero di principi che non cambiano mai come tutti i principi, ma che non sono limitabili ad uno solo e determinato periodo storico e in esso fossilizzati come in una ortodossia, essendo il marxismo principalmente una ortoprassia (Marx, tutte le sue opere sono critica di…) che si confronta e che si sviluppa nella varie e successive scansioni della storia, nelle sue varie fasi, sicché da Marx ha proceduto con Lenin e da Marx e Lenin – e col passaggio alla società di massa che essi non avevano conosciuto – a Gramsci che con gli stessi loro principi – in quanto principi non vengono mai superati dall’evoluzione storica – e con l’analisi storica, cioè vera ed effettiva, propria del marxismo ha portato al massimo sviluppo la teoria marxiana del rapporto tra struttura e sovrastruttura anticipato da Marx e ad una vera e propria teoria marxista dello stato, oltre che del partito, e persino all’elaborazione di una marxiana teoria della prassi del diritto pubblico, donde il contributo essenziale del “moderno principe” e di Gramsci, un pensiero che diventa mondo, assunto e diffuso come mai in tutti i continenti e in una “moltitudine” di Paesi. 

TORNARE ALLA TEORIA. SENZA TEORIA NON C’E’ STRATEGIA

1. La verità è l’opposto di quanto afferma il gentil signore secondo il quale se i comunisti (sic) hanno fallito, in questi anni, lo devono proprio all’eccesso della teorizzazione rispetto la strategia del fare sul momento”, all’opposto è proprio a causa della ripulsa della teoria, dell’abbandono del materialismo storico che è venuto meno la “strategia del fare sul momento”. Non c’è strategia senza teoria. Dove abbia ricavato un “eccesso di teorizzazione” e da parte di quelli che chiama “comunisti” ma non lo sono e che all’opposto hanno fallito e sono vittime del tatticismo esasperato e senza principi del fare sul momento, tutto schiacciato sul congiunturalismo del momento come vuole che sia la borghesia e il capitalismo finanziario dell’andamento delle borse e degli spread giorno per giorno, ogni oggi senza un ieri, ogni presente reciso dal passato anche più recente, sia sotto il profilo economico e politico che teorico: donde l’incapacità di strategia per incapacità di analisi di tipo organico (non già per eccesso di Marx-Lenin-Gramsci, per abbandono di essi e del marxismo “unificatore” delle scienze e delle conoscenze) a causa dell’appiattimento “congiunturale” sulle forme della realtà che testimoniano di una crisi che non si può valutare e dalla quale non si può uscire senza superare i limiti del sociologismo che a suo volta la politologia attrae in orbite che impediscono di cogliere il senso diacronico e non solo sincronico dei processi in atto.

In tal modo e come sembra volere pure il gentile signore, sono state amplificate e si amplificano i rischi derivanti dall’appiattimento della filosofia sulla scienza (tramite la frammentazione delle scienze) e quindi dell’attardarsi su una “contemporaneità” senza storia e che il gentile signore valorizza con appiattimento su una esclusivista contemporaneità del capitalismo attuale che impedisce di cogliere la filosofia di “un’epoca storica”, quando nell’ultimo trentennio anche la filosofia politica ha ruotato intorno alle due datazioni – il 1989 del muro di Berlino e il 2001 dell’11 settembre – valse ad accreditare un “pragmatismo” espressivo dell’egemonia culturale di stampo anglosassone “pour cause”; con la conseguenza non solo di dimenticare che non esiste la filosofia “in generale” poiché si contrastano nel pluralismo culturale più “concezioni del mondo”, ma sopratutto di occultare dietro l’ipostatizzazione degli eventi ruotanti intorno alla crisi del “socialismo reale” e alla reazione anglo-americana al terrorismo, la portata reale che nel processo storico e nel nesso irrefutabile tra filosofia e storia sono venuti acquisendo i fenomeni di progressiva, accelerata intersezione tra i molteplici aspetti della globalizzazione del capitalismo e della convivenza universale. 

Prima di giungere al punto conclusivo, sorge il dubbio che forse il gentil signore si riferisce ad uno dei fratelli Marx, forse non parliamo dello stesso Marx, quello che ha permesso agli stessi capitalisti di conoscere come funziona il capitalismo e anche di porre qualche rimedio ciclico ai suoi difetti destinati alla lunga a destabilizzare il sistema storicamente determinato; il Marx grande principale e ancora insuperato studioso del capitalismo come riconoscono gli stesi capitalistici che da lui imparano a conoscere i meccanismi del loro sistema; il Marx che è in grado di insegnarci tutto in fatto di corruzione politica, tendenze monopolistiche, alienazione, disuguaglianze, mercati globali, dicono sulle riviste i facoltosi capitalisti di Wall Street; un altro afferma: “Più tempo passo a Wall Street e più penso che Marx aveva ragione”; un altro ancora: “sono assolutamente convinto che l’impostazione di Marx sia il miglior angolo visuale da cui osservare e capire il capitalismo”. Insomma non si può capire il capitalismo di oggi – e quindi contrastarlo nel segno della trasformazione socialista – senza porsi nell’ottica marxianae senza ricorre al metodo del materialismo storico.

La stessa enorme massa di capitali posti all’interno della finanza è l’emblema del sistema capitalistico in crisi che accentua i suoi tratti parassitari nei confronti del pianeta stesso, come anticipato da “Marx, Lenin Gramsci, ecc”.

Se la redditività cade nei settori produttivi, il capitale emigra nei settori finanziari dove maggiori profitti possono essere realizzati, ma questo movimento alimenta la bolla speculativa e alla fine la crisi finanziaria. Quindi l’origine della crisi finanziaria si trova nella sfera produttiva, rendendo interconnesso il rapporto tra finanza e produzione, ma al tempo stesso accentuando proprio i tratti della crisi sistemica.

I precedenti schemi ci servono a chiarire un punto fondamentale, non esiste una economia buona e una economia cattiva, industriali buoni e finanzieri cattivi, cosi come non esiste accumulazione senza la stessa produzione, il mito di un capitalismo senza contraddizioni, superate con la fine della produzione, il denaro che generava denaro all’infinito, trova invece le sue contraddizioni primarie dentro la logica stessa del suo modo di funzionare e nell’essenza del suo processo: si o no? Si!

RIPRENDERE L’USO POLITICO DELLA TEORIA MARXISTA

2. La storia – e il marxismo è teoria critica della storia – è il contesto nel quale (come sottolineano gli storiografi più accreditati) e proprio per i suoi “tempi lunghi”, è possibile cogliere il senso dei processi che hanno attraversato sia il XIX che il XX secolo, accompagnando prima il sorgere e poi il compiersi dello ‘stato-nazione’ alle soglie di quel processo di “interconnessione” che ha poi assunto l’attuale forma della “mondializzazione”. Si che nel secolo “breve” (come è stata definita “l’età degli estremismi”) il protagonismo dei partiti comunisti negli svolgimenti “leniniani” e, soprattutto – con particolare riguardo alle esperienze politiche e sindacali dei comunisti italiani – “gramsciani”, ha lasciato tracce di quel ‘900 che sono “indelebili” (anche perché da taluno definito addirittura “innominabile”): essendo impossibile nella realtà che viviamo l’occultamento dei termini di una dialettica attraverso cui anche il liberismo degli anni ’80-’90 – mai realizzato come tale, fuor che nell’emblema della ideologia dell’economicismo – non solo si è configurato come “regolato” e quindi come la forma “tipica” della statualità e dell’ambiguo concetto di “stato di diritto” – ma ha concretamente assunto le forme del “protezionismo” e dell’“assistenzialismo” funzionali agli interessi del “capitalismo organizzato”, sia nella costituzione di Weimar sia nel totalitarismo fascista, con le forme contrapposte di stato “sociale” e stato “corporativo”, espressione entrambi di quella inesausta ricerca della “terza via” tra socialismo, socialdemocrazia e capitalismo lanciata e rilanciata sia negli anni ’30 sia negli anni ‘80-‘90 arrivando sino ad oggi (Blair, Giddens). Di tali tracce quelle più significative perché risalenti ai presupposti marxiani della critica della proprietà “privata”, riguardano non già (come ci si limita a prospettare dalle sinistre odierne) solo l’aspetto “redistributivo” di una ricchezza ostentatamente di pochi (il 2% contro il 98% dell’umanità, dicono sociologi ed economisti “a la page”); ma anzitutto i criteri della produzione in rapporto al lavoro e alla società e, certo, in funzione anche di una redistribuzione altrimenti destinata ad essere oggetto di attacchi da ogni livello, sia nell’ambito di ogni “stato-nazione” affatto scomparso, benché “autolimitatosi” – ciò che è attestato dalla cd “comunitarizzazione” europea del sistema intergovernativo istituito già dagli stati del “Benelux” a partire dall’inizio anni ‘50 – sia nel nuovo ambito “sovranazionale e internazionale” già a partire dagli accordi di Bretton Woods coevi alla nascita dell’Onu nel segno del potere del Fondo monetario internazionale.

Pertanto se si vuol guardare rigorosamente e coerentemente alla prospettiva del socialismo occorre demistificare ogni etichettatura che copre una mistificazione duplice: la prima con un’operazione ideologica e tattica insieme identificabile nella ostentata “rottura” complessiva e acritica con il ‘900, e la seconda additata incongruamente nel segno di una futuribile catarsi lasciando tuttora allo scoperto l’avventurismo con cui si disorienta il fronte del movimento operaio e i suoi alleati frattanto privi di basi fondative sotto l’attacco concentrico di CdL e Unione delle sinistre: sicché per uscire dall’impasse in cui si è costretti a rimanere sino a quando non ci si sarà liberati dalla sudditanza imposta dall’egemonia culturale e politica dei gruppi di potere di supporto del capitalismo internazionale e nazionale, altro non c’è che riconoscere che “tornare alla teoria” comporta la ripresa dell’uso “politico” della teoria marxista come critica dell’economia politica e come critica della teoria del diritto e dello stato, quale articolazione della “filosofia della prassi” di cui Gramsci ha lasciato puntualizzazioni che urge riattualizzare andando oltre i prevalenti esercizi di “filologia” gramsciana oggi in auge, (non solo in Italia ma anche nel Nord oltre che nel Sudamerica, a tacere delle manipolazioni di un c.d. “gramscismo sociale” che interessano una destra anelante a sua volta a “modernizzarsi”). 

LA “RAPIDITA’ DI CORCOLAZIONE DELLA MONETA ANTICIPATA DA GRASMCI

3. Vanno tenute quindi ben presenti le incisive, molteplici annotazioni riconducibili a unitarietà teorico-politico concernenti l’interdipendenza che già nel 900 – a partire dal tipo di assetto dei rapporti tra capitalismo internazionale e nazionale riscontrabili negli anni ’30 nel cono d’ombra della “crisi del 1929” – la filosofia della prassi sapeva cogliere valutando criticamente il nesso tra i rapporti civili e politici e i rapporti economici, sul presupposto che teoricamente “tutto è politica” in quanto si colga che c’è eguaglianza tra “filosofia e politica”, tra pensiero e azione (Q 7 § 35), donde la famosa, perspicua elaborazione del concetto di “blocco storico” come unità tra la natura e lo spirito sì da poter chiarire che i rapporti sociali di produzione sono le strutture di cui l’insieme delle soprastrutture sono il riflesso (Q 8 § 182). In tale angolazione spicca esemplarmente il carattere attuale dell’osservazione di Gramsci circa l’“intransigenza” dell’“economismo” per la sua vocazione storica a una rigida avversione di principio ai “compromessi”, in conseguenza della convinzione ferrea che esistano per lo sviluppo storico “leggi obiettive dello stesso carattere delle leggi naturali” che da luogo e un “fatalismo fatalistico affine a quello religioso”, e alla ripulsa volontaria tendente a predisporre queste situazioni secondo un piano”: ciò che assume tanto maggior rilievo, ove si pensi alla chiarezza con cui Gramsci seppe cogliere l’antitesi tra la ”patente statale” con cui si salvava l’industria privata mediante l’Imi e l’Iri, con una sorta di “nazionalizzazione per rimediare a una certa arretratezza, e la nazionalizzazione da concretare in una fase storica organica e “necessaria allo sviluppo dell’economia verso una costruzione programmatica” (Q 15 § 1°).

 

4. – Tale anticipazione critica sulla differenza tra sistema di accumulazione privata vista nella logica dell’economismo e sistema di nazionalizzazioni come parte organica di economia programmatica – per cui non è un caso che, sulla spinta delle intese ispirate negli anni 1944-47 dalla strategia togliattiana della “democrazia progressiva” la Costituzione repubblicana e antifascista del 1948 rechi come sua originalità tra le “carte” del costituzionalismo (lo si è già premesso) le norme cd “programmatiche” culminanti in quella sulla “programmazione globale” dell’economia a fini sociali – ha avuto il pregio di contribuire all’identificazione sempre più precisa dei termini reali in cui già nel 900 ha acquisito carattere centrale e dominante il ruolo della moneta e quindi delle “istituzioni” di riferimento. Al qual proposito Gramsci ha sottolineato quella caratteristica della “rapidità di circolazione” che è la forma del rapporto tra il commercio internazionale e “le divise nazionali” (Q 15§ 5): rapidità che in prossimità dei nostri giorni – nel passaggio dall’automazione all’informatizzazione – è stata viceversa presa a pretesto per proclamare apoditticamente che l’odierna iperbolica velocità dei flussi finanziari, additata come un “assoluto”, segnerebbe di per sé una cesura totale tra il capitalismo di fine secolo XX e quello di inizio XXI secolo. Cesura “totale”, anziché “passaggio di fase” con effetti di trascinamento del rapporto capitale finanziario/capitale industriale sul nesso teorico tra fordismo, società post-moderna, economia post-fordista, dando una lettura della trasformazione dell’impresa (e del capitalismo) “multinazionale ” nell’impresa (e capitalismo) transnazionale tramite la “rete” delle imprese portatrici del fenomeno della “delocalizzazione” e della “deterritorializzazione”: da cui sono state dedotte le conclusioni sulla cd “fine dello stato” nonché “fine del lavoro”, enfatizzando il passaggio dal ciclo della produzione di beni “materiali” al ciclo della produzione di beni “immateriali”, come base fondativa della “economia della conoscenza” su cui si staglierebbe l’avvento del lavoro come fatto sempre più “individuale” al posto del lavoro quale espressione del rapporto tra “occupazione” e società. Sennonché, l’abbacinante apertura di tale prospettiva nei termini della cd “globalizzazione” col suo semplicismo ha avuto il ben noto effetto disarmante perché apoditticamente dogmatico, in quanto si è tradotto nel definitivo snaturamento politico di una formazione che, da “estrema sinistra” ispiratrice del processo di “trasformazione” della società, si è alterata in “sinistra parlamentarista”, ciò che risulta più vistosamente deformante nel “caso italiano” di cui proprio da sinistra si è scatenato proprio quel “rovesciamento teorico/politico” che è stato perseguito sin dalla fondazione della Repubblica delle forze conservatrici, camuffatesi nella Dc e a latere per contrastare l’attuazione della Costituzione segnata dai caratteri innovativi della “democrazia sociale”, mentre in Francia per l’influenza egemonica di De Gaulle – respinto nel 1946 il primo progetto di costituzione per le affinità con quello che sarà nel 1948 il “modello italiano” – dal 1958 e cioè da ben 50 anni vige il sistema cd. “semipresidenziale” con cui si è flirtato nei dibattiti della Commissione D’Alema del 1997.

E in proposito è bene ricordare che l’avvio del rovesciamento ideologico ha preceduto la caduta del regime sovietico, che poi è stato usato come “simbolico” alibi di una demonizzazione “monocorde” – da sinistra come da destra – della sempre più controversa esperienza sovietica allontanatasi dall’ispirazione rivoluzionaria dell’ottobre del 1917. Con una operazione teorico-politica non chiaramente percepibile dalle masse, estraniate sempre più da una dialettica culturale ormai abbandonata, in quanto si è pervenuti ad una sintonia perversa senza distinzioni – neppure da parte di Rifondazione comunista oggi addirittura alla caccia cieca di una cd “nuova cultura politica” – sulle contraddizioni provocate dalla direzione staliniana del processo di pianificazione socialista, sintetizzabile nell’antinomia tra le forme della conquista del “potere politico” e le cadenze dei passaggi al nuovo “ordine economico-sociale” che hanno favorito di sovrapporre all’obiettivo del “socialismo” (in un “paese solo”) la parodia dello “stato sociale” (nelle modellistiche roosveltiana, weimariana e corporativo-fascista). Operazione nel contempo incentrata sulla liquidazione sommaria del materialismo storico e del marxismo – con il pretesto di squalificare dietro la simbologia del “marxismo-leninismo” l’idea stessa di comunismo/socialismo e del patrimonio teorico marxiano culminato nel fecondo contributo di Antonio Gramsci, sì da pervenire all’attuale agiografia sul primato dei “diritti umani” (e del “privato”) sulla qualità dei “rapporti sociali”, primato imperniato sulla contrapposizione di “potere” delle forze dalla cui egemonia dipende “quale” potere supporti la creazione dei diritti sociali, compresi quelli “ambientali” da cui sono condizionati gli “status” di genere ritenuti più pregnanti o sostitutivi delle situazioni derivanti dall’esito delle vicende dei conflitti di classe, oggi come ieri.

Ed è così che mentre non si intravvedono ripensamenti – salvo qualche tatticismo tradotto nella pratica compromissoria degli “emendamenti” legislativi di indirizzi contestati verbosamente, e senza lotte che non siano stancamente “difensive” – continua ad avanzare in Italia come in Europa un tipo di politica economico-sociale di cd “corporativismo democratico” che accompagna complicemente in un impoverimento generalizzato le forme cd “innovative” di un meccanismo produttivo che rompe l’unità di classe del proletariato, nel momento stesso in cui insinua la falsa immagine della scomparsa delle classi sociali secondo le suggestioni di quegli interpreti delle forme di lavoro dotate bensì di tecniche operative sempre più sofisticate ma a maggior scapito dell’autonomia sociale del proletariato e di spezzoni sempre più ampi dello stesso “ceto medio”.

Ne viene che buttando alle ortiche tutto l’armamentario che serve oggi a contrastare le prospettive di dittatura sociale e politica della borghesia internazionale e nazionale, si occulta dietro la rimozione “tout court” del marxismo (salvo la “libera uscita” di logomachie “filologiche” suggerite da “riletture” eminentemente “accademiche” dei “sacri testi”) un’operazione ideologica complessa, che consiste nel semplice “tagliare le unghie” al neoliberismo una volta data precedenza con la strategia delle riforme istituzionali alla questione del “governo” inteso come “gestione” monopolistica del potere politico burocratico in antitesi – nel nome della cd. “non violenza” – alla “conquista del potere” esemplificato dalla commistione leninismo-stalinismo, tacendosi però completamente e interessatamente su quell’aspetto centrale della critica marxista che, come tale non può non investire l’unità organica dei rapporti politici, economici e sociali, il che obbliga a coniugare il marxismo oltre che nella critica – per certi versi diffusa anche in termini troppo semplicistici – delle forme liberal-democratiche e fasciste dell’organizzazione del potere “borghese”, anche nella critica marxista dello viluppo conseguente dell’iniziativa di lotta dei comunisti e delle rispettive forme organizzative, riallacciandosi oggi a dibattiti a suo tempo emersi intorno all’esperienza del Pcus. Mentre urge evitare – tra l’altro – le conseguenze derivanti dal silenzio di chi oggi ostenta con tutte le incongruenze del “revisionismo” l’appellativo di “comunista”, avendo ripudiato marxismo e comunismo come prospettiva che s’identifica apoditticamente con il “soviettismo” senza andare oltre alla facile assunzione di stereotipi. Ciò che non esime peraltro dal prendere le distanze da chi enfatizza acriticamente il “socialismo reale” e la stessa figura di Stalin, come se bastasse una orgogliosa rivendicazione di pur necessari ”distinguo” nella storiografia dei 70 anni che vanno dal 1917 al 1989 per evitare la deriva di chi si adegua all’asserito superamento di “tutto il 900” proprio in questa fase che, al contrario, reclama una presa di coscienza delle deviazioni teorico-politiche fomite della caduta rovinosa in corso “a sinistra” per cause opposte a quelle riconoscibili nella caduta incontenibile di consensi del popolo che aveva creduto vanamente di trovare interlocutori validi in quanti, in sede politica e in sede sindacale, hanno acriticamente enfatizzato la cd società del “cambiamento”.

Occorre pertanto rilanciare l’uso del materialismo storico anzitutto perché anche nello stadio odierno dei rapporti tra capitalismo e movimento operaio è decisivo aver coscienza che la dimensione di massa assunta dalle rivendicazioni popolari e quindi dai lavoratori di ogni collocazione è suscettibile di attivare la ricostruzione del partito comunista se si instaura coerentemente un rapporto tra fattore “soggettivo” e fattore “oggettivo” dello scontro sociale a partire dall’ideologia che è la forma generale con cui si realizzano i presupposti delle lotte soprattutto sul terreno economico-sociale, ribadendo ad ogni livello della lotta di classe la portata decisiva del richiamo marxiano che il regno della “libertà” può fiorire solo sulle basi del regno della “necessità”. Dato che la storia si configura come trasformazione continua della natura umana in cui il “lavoro” spinge verso un’accelerazione della trasformazione sia dei rapporti sociali che dei rapporti civili, e poiché l’attuale stadio di sviluppo innovativo del capitalismo esibisce in forma di “mercato mondiale” l’integrazione dei gruppi sociali e delle stesse nazioni, si rende inevitabile riattualizzare le categorie marxiane con riguardo sia alla critica conseguente dell’attuale fase della “transnazionalità” dell’impresa-rete, sia alla critica della strategia della lotte del movimento operaio e del partito come strumento necessario al conseguimento degli obiettivi di transizione a una nuova formazione sociale coniugando unità, libertà e solidarietà. A tal fine occorre, su un versante rimuovere la falsa idea che l’innovazione tecnologica sia tale da rompere la continuità con la manifestazione organica del capitale finanziario emersa già agli inizi degli anni ’30 quando Gramsci osservò tempestivamente che nel rapporto tra il commercio internazionale e le divise nazionali, “tra i dati tecnici particolari da cui non si può prescindere (…) c’è la rapidità di circolazione che non è un piccolo fatto economico” (Q15, § 5): facendo quindi ammenda di quanto sostenuto soprattutto dagli intellettuali pronubi alla “sinistra parlamentarista” negli ultimi vent’anni sul “superamento” dello stato-nazione, e sulla “fine” del lavoro come conseguenza automatica della informatizzazione e delle sue incidenze in quelle che sono forme nuove di una globalizzazione che si è rivelato storicamente come natura del mercato in sé. E su un altro versante strettamente correlato al primo, non va più rinviata una discussione di massa sulla natura dei rapporti tra gli istituti della democrazia politica, economica e sociale con la varietà delle forme della lotta di classe, riflettendo sulle implicazioni che per il nuovo ruolo del partito comunista ha la rielaborazione del nesso tra la crisi successiva alle lotte sviluppate in Italia e in Occidente nel 900 e la crisi della “democrazia socialista” consegnata alla storia senza che si sia voluto analizzare, non già dal punto di vista della cultura borghese (come hanno fatto Kelsen e Bobbio), ma dal punto di vista marxista stesso, a quale concezione della democrazia debba ispirarsi il partito della classe operaia nella lotta per la socializzazione del potere nello stato capitalistico ripercorrendo, a tal fine il nesso tra teoria e prassi nella lotta per la “transizione” al socialismo nelle sue manifestazioni storiche. (a. r.)

Commento del “GENTIL SIGNORE”:

“Non basta rievocare le parole d’ordine del passato. Marx, Lenin, Gramsci ecc. hanno vissuto il loro tempo con coerenza e coraggio, ma ora c’è bisogno anche d’altro. La realtà corre sempre troppo veloce rispetto le teorizzazioni politiche e se i comunisti hanno fallito, in questi anni, lo devono proprio all’eccesso della teorizzazione rispetto la strategia del fare sul momento. Teorizzare una libertà e una società realmente diversa da alcune dittature vestite da comunismo non è bastato alla pubblica opinione, confusa anche da chi si travestiva da terrorista rosso.

Nel paese del Vaticano, inoltre, è necessario chiedersi quale peso abbia, in realtà, la propaganda religiosa. Per governare, quindi arrivare a cambiare il sistema, devi prima capire come far giungere il tuo messaggio alla gente e se la testa della gente è già impegnata ad ascoltare giaculatorie e comizi televisivi invece che ragionare, non c’è nulla da fare. Ecco dove si ferma la lotta al capitalismo e, in genere, ai veri dittatori: costoro hanno sempre molteplici voci a parlare per loro, i comunisti solo la loro coscienza e i loro bisogni, i bisogni del popolo che, quando si ribella, poi diventa subito disponibile a vendere la libertà appena conquistata a un dollaro al voto. Oggi fioriscono molteplici sfumature a destra, PD compreso; a sinistra non c’è praticamente nulla, oltre il rimpianto per il più grande partito comunista d’Occidente. Non basta rievocarne le antiche parole d’ordine perché il nuovo partito dovrebbe nascere dal comunismo che vorremmo oggi e non su quello che sognavamo ieri, a partire dagli innumerevoli errori concettuali commessi da chi teorizzava solo sui sacri testi. Oggi Marx sarebbe uno scolaretto di fronte a chi sa manovrare capitali oltre le frontiere buone solo per gli immigrati fino a nutrire i circoli delle elite che hanno finalmente realizzato il sogno dei potenti di ogni tempo: allontanare il vero potere dai forconi, mentre ci governano da lontano. Oggi la rivoluzione si ferma a Bruxelles e a Strasburgo dove esiste una corte in grado di condannarci a morte da là, se serve: trattato di Lisbona docet. E quando i veri terroristi sono vestiti da poliziotti e massacrano gente che dorme in una scuola, solo i tribunali borghesi, e non il popolo, sono incaricati di fare giustizia, per modo di dire, naturalmente. Ci sarà poi chi legge il giornale o sente il notiziario delle venti, a giudicare le malefatte del potere attuale. Se non arriviamo a quel cervello, la rivoluzione, prima e ultima istanza di qualunque comunismo, sarà impossibile o inattuabile. Esattamente come oggi, quando l’assenza di lavoro, di abitazioni, di qualunque opportunità e giustizia sociale in un mondo di gabellieri e ricchi che governano a forza di barzellette, non basta a risvegliare neanche il più pallido rivoluzionario da salotto. Le ribellioni da strada, quando ci sono, vengono dibattute all’interno del solito schermo televisivo, magari rilanciate sui circuiti satellitari e infine esorcizzate in diretta. Voi continuate pure a discutere di Marx e Lenin, il capitale gode e riesce pure a fare soldi su quei testi magari riproposti in edizione economica. Intanto così tali e tanti intellettuali non riescono neanche a proporre la minima forma di aggregazione in grado di partecipare alla farsa elettorale borghese. E che un comico riesca ad intercettare la protesta popolare fino a spaventare i partiti è la nostra, vera, nemesi. Una risata ci seppellirà tutti, se non ricominciamo a ragionare e mettiamo via i sacri testi e le vecchie parole d’ordine una volta per tutte.”

* http://iskra.myblog.it/archive/2012/09/19/costruire-un-vero-partito-comunista-se-non-ora-quando.html#c5727527

I “cani morti” della decrescita e del’antimarxismo. Su quanto scritto a ISKRA da un “gentil signore”ultima modifica: 2012-10-25T09:00:00+02:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo