La politica senza la storia perde identità e responsabilità, obbiettività e verità. E la Nota di Astengo

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da Angelo Ruggeri

L’analisi della realtà effettuale si sostanzia solo con i necessari riferimenti storici

“Il fatto alla sua data, senza altro sussidio che quello della obiettività, è serena come la scienza e la verità” 

Se non il marxismo quanto meno potrebbe essere sufficiente e forse bastare (almeno) la storia.

L’assoluta mancanza di responsabilità in cui viviamo e che constatiamo ( che porta ad affidare ogni responsabilità agli apparati di potere, ai “sistemi” e alle “strutture” economiche e politiche e finanche militari, e a ritirarsi nella accettazione di una eterna necessità degli ordini indipendentemente da dove e da chi provengono: un presidente qualsiasi: di stato, di governo, di regione, ecc., un generale o un computer) origina in prima dalla perdita di identitàche, sempre, è storica e deriva dalla storia così come anche la cultura politica: per cui non si può inventare ne esserci “una nuova cultura” senza storia, come invece predicavano “sinistri” e rifondatoli, tellettual-in e ciarlatani della politica e del sindacato dalle pagine di Liberazione e del Manifesto.

La nota di Astengo per lo studio della storia dei partiti e che ricorda la sciagurata proposta di Occhetto, l’opposizione di Natta all’idea plebiscitaria e leaderistica, offre lo spunto per ampliare ulteriormente il nesso tra storia e politica, tra storia e filosofia, specie la filosofia politica, e l’importanza di collocare i fatti e la realtà nella prospettiva storica per comprendere quanto avviene nel presente.

Ciò muove a ragione anche del fatto che ci peritiamo di parlare in questi giorni e nei prossimi, dell’anniversario di Togliatti del quale giova ad es. ricordare, che non si può intendere e capire veramente la grandezza della sua opera e il pensiero di Togliatti senza conoscere  quello diGramsci,  i cui studi storici, non per caso, furono più profondi di quelli di ogni altro pensatore (fatta eccezione per Marx).

Dato che la storia si configura come trasformazione continua della natura umana in cui il “lavoro” spinge verso un’accelerazione della trasformazione sia dei rapporti sociali che dei rapporti civili, e poiché l’attuale stadio di sviluppo “innovativo” del capitalismo esibisce in forma di “mercato mondiale” l’integrazione dei gruppi sociali e delle stesse nazioni, si rende inevitabile cogliere il senso diacronico dei processi in corso e quindi della storia, se non ed ancora meglio le categorie storiche  della  filosofia della prassinei “rapporti storicamente determinati”, o meglio riattualizzare ed applicare  le categorie concettuali marxiane e della filosofia della storia:che forse spiega sia le ragioni dell’importanza raggiunta da Antonio Gramsci dall’ultimo scorcio del precedente millennio e in questo, con riguardo sia alla critica conseguente dell’attuale fase della “transnazionalità” dell’impresa-rete, sia alla critica della strategia della lotte del movimento operaio e del partito come strumento necessario al conseguimento degli obiettivi di transizione a una nuova formazione sociale coniugando unità, libertà e solidarietà.

Sia le ragioni della grande diffusione e successo nel mondo, di cui gode quello che viene considerato come il più grande analista del potere dai tempi del Machiavelli e l’’italiano più letto nel mondo (e più sconosciuto in Italia), cioè Antonio Gramscie la suateoria del partito che non è solo una teoria del partito ma una vera e propria teoria del potere,del diritto e dello stato (talloni d’Achille degli “a sinistra), le cui categorie per la loro attualità assoluta, vengono intese ed applicate non solo a livello dello stato nazione ma alla globalizzazione e alle istituzioni sovranazionali.

 Dal ripudio della storia  – oltre che della teoria critica della storia – origina  la perdita di identità e la deriva di destra della  c.d. “sinistra”, segnata ormai e per ciò da una defaillance cronica (specie ma non solo in Italia) perché non sa più chi è e cosa è “sinistra” o “destra”, il “cosa è” il capitalismo storicamente e oggettivamente di “destra” e la distinzione storica tra liberalismo e democrazia. Vittima del suo vero e proprio e totale rovesciamento storico e teorico, culturale e politico, non sa più della storia sua né di quella dell’Italia dove lo “spessore reazionario della società” italiana vive storicamente nel suo profondo ed emerge sempre, anche oggi, in un Paese che già una volta portò a cancellare la sovranità popolare e il ruolo del Parlamento, dopo aver cancellato nel 1923 il proporzionale e quindi l’unica forma che garantisce un a selezione democratica della rappresentanza che non sia di casta o di ceto politico ma veramente pluralista e cioè anche pluriclasse e non espressione di una dicotomia “destra/sinistra interna alla borghesia, ad una sola classe come con la dicotomia destra/sinistra dello statomonoclasse e pre- fascistadel regime maggioritario non a caso ripristinato subito da Mussolini nel 23 (asceso al governo grazie alla storicamente significativa complicità dei liberali e non solo) per cancellare la brevissima parentesi del proporzionale e la sovranità popolare. 

 

LO STUDIO DELLA STORIA DEI PARTITI

di F. Astengo

Lo studio della storia dei partiti, almeno per quel che riguarda la realtà italiana, è stato ormai quasi completamente abbandonato: eppure sarebbe il caso di ritornarvi su, almeno per certi aspetti, anche per evitare il sorgere di equivoci che possano travisare lo stesso giudizio sull’oggi.

La fase attuale è contrassegnata, nello specifico del “caso italiano”, da un’evidente stretta autoritaria sul piano dell’esercizio democratico, una stretta autoritaria che si colloca ormai ai confini della Costituzione: da un lato il Governo non è mai stato legittimato nella sua composizione e nei suoi indirizzi programmatici da un voto popolare, e dall’altro i partiti, mai così deboli sul piano dei riferimenti sociali, ma mai così forti sul terreno della facoltà di spesa e di nomina, stanno lavorando, proprio nella logica del “cartello”, a costruire una legge elettorale che predetermini l’esito del voto, facendo sì, prima di tutto, che nessun nuovo attore politico riesca ed entrare sulla scena istituzionale o, almeno, a limitarne le eventuali potenzialità.

L’insieme di quest’operazione è orchestrata dalla Presidenza della Repubblica, tenuta – in maniera apparentemente paradossale – da un esponente di quell’ala dell’ex-PCI definita “migliorista” e, all’epoca, considerata più aperta alle ragioni di una democrazia di tipo liberale e di un gradualismo riformista.

Uno studio attento delle vicende interne al PCI dell’epoca ci indicherebbe invece che, proprio in quella corrente che faceva capo all’attuale Presidente della Repubblica, albergavano le tensioni più autoritarie, sia in ragione della storia stessa del Partito al riguardo dei suoi agganci con la realtà del cosiddetto “socialismo reale” sia in relazione a come si presentava, all’epoca dello scioglimento dello stesso, il rapporto con il quadro politico di allora e in particolare rispetto al decisionismo craxiano, di marca reaganian-thatcheriana.

Da quelle posizioni discesero poi scelte assolutamente micidiali per la qualità della nostra democrazia, e in relazione al progetto stesso di democrazia europea: liberismo, maggioritario, personalizzazione della politica.

Scelte che hanno alla fine spianato la strada a un lungo periodo di affermazione di un populismo di destra, estremamente pericoloso soprattutto perché rivelatosi egemone nella società italiana, ben al di là dei risultati elettorali ottenuti, ancorché strepitosi (ricordo che il centro-destra alle elezioni del 2008 ottenne una percentuale paragonabile a quella del DC del 18 aprile 1948).

Queste scelte che hanno compromesso la democraticità stessa del nostro quadro politico, e minacciano di chiudere definitivamente una possibile prospettiva di trasformazione di questo pessimo quadro.

Torno, però, al riferimento storico per ricordare chi si batté davvero contro questa deriva e che, all’epoca, fu scambiato per un conservatore passatista.

Penso alle posizioni presenti nel fronte del “NO” alla sciagurata proposta di Occhetto di scioglimento del PCI e riporto, in conclusione, soltanto una frase estrapolata dall’intervento di Alessandro Natta, al XIX congresso (Bologna, Marzo 1990) che considero assolutamente profetica: “Si afferma l’idea del partito di democrazia plebiscitaria, leaderistico, un’idea che rientra nella tendenza di governare le società complesse con le soluzioni semplificatrici del presidenzialismo e dei meccanismi maggioritari”.

Savona, li 25 agosto 2012

La politica senza la storia perde identità e responsabilità, obbiettività e verità. E la Nota di Astengoultima modifica: 2012-10-27T08:20:00+02:00da iskra2010
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