Marxismo, terrorismo e guerra (2).

 

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da Angelo Ruggeri

Non è “terrorismo” “islamico”, è “terrorismo” di matrice “occidentale”.

È un modello del “modernismo” e del regno della tecnica di Heidegger (ammiratore degli scritti nichilisti di Ernest Junger ammirato da Roberto Saviano che su tali scritti dichiara di essersi formato) ed anche del futurismo italiano e occidentale centrato sulla macchina e confluito nella reazione all’opposto di quello russo centrato sull’uomo e confluito nella Rivoluzione. Regno della tecnica già interpretato dal nazismo e che oggi l’americanismo incarna nel modo più compiuto.

La matrice del terrorismo è occidentale o meglio ancora dell’Occidentalismo colonialista/imperialista, non tanto perché il “talebanismo” ha frequentato e praticato l’Occidente e lo stesso padre di Bin Laden (morto in uno di quegli strani incidenti del tipo di quelli che hanno colpito anche tanti testimoni del mai chiarito complotto contro J.F. Kennedy) pare fosse persino un amico di famiglia di Bush padre. Quanto perché un “terrorismo” che lavora sui simboli (come le 2 torri) e sul sacrificio umano, non è islamico ma occidentale, e giapponese. E’ espressione di un Islam occidentalizzato.

Ammesso e non concesso che non si voglia davvero fare di Bin Laden un nuovo Oswald, con cui si è coperto il ramificato complotto coinvolgente vaste forze interne agli apparati e ai vertici statuali e istituzionali dell’amministrazione americana dell’epoca, Bin Laden è una espressione del “modernismo” occidentale. E’ un imprenditore di successo, un personaggio della finanza internazionale che rappresenta, semmai, l’inizio di una crisi dell’Islam del tipo di quella che da tempo e in corso nel cristianesimo, a causa del “modernismo”, sempre reazionario, che riduce lo svolgimento storico alla sola dialettica conservazione-innovazione.

2. E’ strano (e non forse casuale) che nessuno abbia colto che l’immagine del “talebano” alla guida di un aeroplano che si lancia contro un grattacielo in cui entra come un proiettile, evoca un preciso “modello”, quello esaltato dal pensiero “modernista” e reazionario tedesco, del soldato giapponese lanciato in un siluro e votato alla morte in una azione contro le grandi navi da guerra americane. E’ il modello di una nuova tipologia umana, dell’uomo, dell’operaio-soldato che, completamente integrato nei grandi apparati della tecnica moderna, diventa il modello dell’uomo che si sacrifica, che si annienta per il trionfo della causa, e per il trionfo della tecnica.

Forse non si voleva o non si vuole far sapere che la barbarie, fin dall’antichità e ancora oggi, attraversa ed è presente in tutta la storia della civiltà occidentale, compresa quella contemporanea, dove ha trovato e trova espressione sia nella sua politica internazionale – dal Vietnam al Cile, dall’India al Kurdistan, dal Ruanda sobillato e armato dagli opposti interessi “coloniali” dell’occidente, all’Irak, dai talebani ai Balcani, dalla Cecenia alla Palestina -, sia in quella interna di un continente in cui fino a ieri erano presenti regimi fascisti nella penisola iberica, in Grecia e ancora oggi in Turchia, e dove la barbarie viene, è sempre stata ed è tuttora considerata dalle classi dominanti come una risorsa di riserva, a cui ricorrere in caso di necessità o con cui allearsi quando serve, ma a cui soprattutto non si può essere veramente certi che, in tanti paesi occidentali e dell’Europa orientale, non vi si ricorra trasponendo dietro le mentite spoglie di un “moderno” formalismo democratico “pluralista” le forme di un reale di un “sostanziale” “pluralismo fascista” (teorizzato anche dalla Repubblica sociale di Salò). 

3. Si tratta di un modello del “modernismo”, quello che, nel 1940, con Heidegger – immaginificamente pensato come critico della tecnica – spiegava la disfatta della Francia mettendolo in relazione ai diversi tipi di civiltà. A partire cioè dal suo pensiero filosofico, Heidegger spiegava la disfatta della Francia, paese di Descartes, dicendo che non era stata all’altezza della tecnica moderna, benché proprio Descartes-Cartesio con il suo pensiero razionalistico avesse fondato il regno della tecnica.

Questo può sembrare paradossale per chi ha immaginato Heidegger come un critico della tecnica, che é sempre stato critico verso l’americanismo. Quando nel 1942 gli Stati Uniti entrano in guerra, afferma che proprio gli americani, che sono il popolo della non storia, della mancanza di storia, hanno osato dichiarare guerra alla Germania, al Paese del “grande inizio”, in cui si incarna lo spirito del tempo. Denunciava la mescolanza di cristianesimo e democrazia borghese che costituirebbe in un certo senso il marchio di inferiorità della potenza americana di fronte allo spirito tedesco. E quando evoca “il grande inizio”, fa riferimento a quella Grecia pre-socratica di cui la Germania sarebbe l’erede legittima, e in nome di quella tradizione denuncia la civiltà americana e il bolscevismo che ai suoi occhi, per quanto ciò possa essere sorprendente e lo dice lui stesso a chiare lettere, non è che una variante dell’americanismo poiché anche il bolscevismo fa parte di quel regno della tecnica che l’americanismo incarna nel modo più compiuto.

Non bisogna però dimenticare che Heidegger è stato anche un ammiratore degli scritti di Ernest Junger (scrittore nichilista che delineò il mito di un uomo nuovo che assuma un ruolo eroico e aristocratico) come L’operaio e La mobilitazione totale, in cui si sviluppava l’idea di una crisi delle vecchie forme di vita liberali e democratiche e annunciava l’instaurazione di un nuovo regno, di un nuovo tipo di uomo, l’operaio appunto, ispirato però alla figura del soldato e all’esperienza vissuta da Junger nella prima guerra mondiale.

Profondamente segnato dagli scritti di Junger, Heidegger riprese, personalizzandoli, gli argomenti jungeriani sull’orgoglio della tecnica, che nel 1940 si incarnava ai suoi occhi nel super uomo tedesco e nella potenza tedesca.

Sicché, mentre considerava che la Francia non è stata all’altezza del regno universale della tecnica, sosteneva che questo regno veniva incarnato dall’esercito tedesco e dalla Germania nazista che, aggiungeva, con le sue vittorie sulla Francia, aveva pienamente incarnato il nuovo spirito della tecnica descritto da Nietzsche, quando parlava dell’economia industriale e della produzione meccanizzata dominata dal super-uomo.

Per Heidegger il regno della tecnica conteneva una ambivalenza, nella misura in cui seguiva Junger nella sua idea che tale regno rappresentava il crepuscolo della vecchia civiltà fondata sui diritti dell’individuo e sulla sovranità democratica. Considerava per ciò le forme liberali e democratiche sorpassate e anacronistiche e aspirava ad un nuovo tipo di uomo. (continua)

Marxismo, terrorismo e guerra (2).ultima modifica: 2012-11-12T08:19:00+01:00da iskra2010
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