Presidenzialismo e federalismo della Repubblica degli affari e dei padroni contro la Repubblica delle autonomie

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da Angelo Ruggeri

Il Presidente della “Repubblica degli affari e dei padroni” contro la “Repubblica delle autonomie”

In memoria della Repubblica delle autonomie, nonostante gli attacchi federalistici alle autonomie sociali e territoriali, sul “buco” della Val di Susa e come all’epoca del “caso italiano” rispetto alla installazione delle centrali nucleari, si continua a generare una differenza tra Italia e Francia dove scelta la tecnologia da parte del governo e del Presidente, senza alcuna discussione la si impose saltando sistematicamente le autonomie territoriali e locali – perché in Francia non hanno mai avuto poteri sostanziali – come non si potette fare nella “Italia delle autonomie” ma si cerca di fare oggi nell’anticostituzionale “Italia federalista”. Nell’ignavia di una sinistra intellettuale e politica che non sa più mettere in rapporto tra loro scienze tecniche e scienze sociali – dal nucleare al Ponte sullo Stretto alla TAV – con istituzioni e potere, perché ormai tengono le cose separate secondo una logica che ha il vizio analogo di quello della storica contrapposizione tra “tecnica” e “politica” propria, per tradizione, dei ceti conservatori, dalla cui cultura la sinistra è ora egemonizzata.

Il quadro è quello del dominante lobbismo e individualismo economico e quindi anche nella società – da cui traggono profitto lega e Casa della Libertà – non antagonisticamente contrastato dalla “sinistra”. La quale, anzi, negli anni ’90, dominati – ricordiamocelo – da Maastricht e dal “golpismo strisciante” del governo Amato (titolo del settimanale Il Lavoratore all’intervista di un costituzionalista) e poi dai “golpe in senso tecnico” dei governi Ciampi, prima, e Dini, poi, (vedi rivista La Contraddizione), ha varato “le istituzioni di una economia di mercato che l’Italia non aveva mai avuto…sotto le pressioni del mondo finanziario anglosassone…e del capitalismo incivilito della Common Law” (Sapelli, storico del capitalismo, Sole 24 Ore). Peccato che proprio un Luttwak ci ha spiegato che anziché “incivilito”, il capitalismo è tornato alle sue “selvagge” origini, ancor più esercitando una libertà “di” impresa che più di allora, esercitandola per sé, toglie quella altrui come “mai si era visto nella precedente storia umana” (LuttwaK, La dittatura del capitalismo, Mondadori)                                                                                                   

Questo va ricordato anche a chi prospetta un “relativismo democratico” e una anodina “convivenza mite” col potere capitalistico e d’impresa, in nome di un c.d. “diritto mite” (Zagrebelsky), come tale contrastante col pluralismo dialettico dei Principi Fondamentali della Costituzione. Con ciò, facendo un’operazione ideologica di sovrapposizione  arbitraria dei principi propri del processo di “europeizzazione” fondato sul primato del mercato, sui principi di una costituzione democratica nazionale, secondo la quale l’uso degli istituti di controllo sociale dovrebbe artatamente svilirsi in una logica di mera “coesistenza e compromesso”, garantendo quindi la tradizionale immunità dei poteri economici: in nome di una anodina “convivenza mite” che contrasta con la atavica pretesa della formazione sociale del capitalismo a imporsi avvalendosi di istituzioni politiche “strumentali” alle sue aspirazioni al dominio permanente e incontrollato.  Come in La dittatura del capitalismo Luttawk ha confermato dimostrando che gli uomini del capitalismo – come in qualche altro caso della storia – sanno dire in modo più oggettivo di quelli c.d. della sinistra, quel che ben sanno grazie anche a Marx che, all’opposto della “sinistra” di oggi, hanno riconosciuto essere il più grande studioso del capitalismo, ad es. sul New Yorker che lo ha pure proclamato “il prossimo grande pensatore” del millennio che “ci insegna di mercati globali, tendenze monopolistiche, alienazione e corruzione politica”.                                                                     

Invece è in nome di tale capitalismo che la “sinistra”, composta non più da partiti di massa e di identità sociale ma da gruppi lobbistici e da vari movimenti egoistici e consumisti, dopo aver creato le istituzioni del mercato di cui sopra, annullando il diritto pubblico a favore di quello privato anche nell’organizzazione delle funzioni pubbliche, con Prodi ha istituito la Bicamerale D’Alema.                                                                        

Consumando uno strisciante attentato alla Costituzione intesa come sintesi di principi, bensì articolati in una Prima e Seconda Parte, ma riaccorpati organicamente in quei Principi Fondamentali che li rendeva inseparabili: tanto che mai nessuna iniziativa revisionista era mai prima venuta dalla sinistra: proprio perché questa, semmai, aveva dal 1948 il compito di attuarli con le lotte e le “riforme sociali” e di struttura, ponendo in essere i nuovi istituti di democrazia politica-economica-sociale previsti dalla Costituzione e volte a superare ivecchi istituti della democrazia liberale eretti a difendere solo i diritti civili (la tanto enfatizzata privacy) e in modo contradditorio aspetti dei diritti politici: basti pensare all’uso antiparlamentare del referendum.                                                                                

Per di più facendo passare per “democrazia diretta” tale strumento pseudo-democratico, i cui contenuti e la sua stessa promozione, infatti, vengono decisi e poi gestiti dall’alto, da vertici di gruppi ristretti della politica o dell’economia e delle professioni, rispetto a cui la volontà popolare è comunque sempre passiva, dipendente e trascinata dai centri di potere e di vertice. Strumento storicamente sempre incline al bonapartismo e plebiscitarismo ed a cui sono indifferentemente ricorsi dittatori e autoritari di vario tipo, da Mussolini a Franco, a De Gaulle, a Jarulzeski, ecc. sia per affossare costituzioni democratiche come nel ’46 in Francia, sia per far dare un “consenso (che non è mai democrazia, come dice Gramsci) al proprio regime.                                                                                                                                 

Orbene, in tale quadro, quel che nell’ambito di una comune e omologante strategia di tipo “federalista” o psuedo “federalista” dei due Poli, è andato sempre più materializzandosi e concretizzandosi, è il sovversivismo delle classi dirigenti  (Gramsci). Ben più e peggio dei bagliori di un “sovversivismo” sociale – affatto etnico o religioso – e di un ribellismo che si vorrebbero criminalizzare sia al di qua che al di là delle Alpi, ma che sono le “spie” di un profondo disagio della società e di un sempre più possibile scontrotra chi difende un potere e chi non ce l’ha ma che non ha più né una teoria (perché gli è stata tolta) né i canali di democrazia e di lotta del partito sociale e del sindacato di classe.

Sì che esplodenelle forme più varie, spesso restando “ognuno per proprio conto”, isolato da altre e comuni lotte (dal Sud al Nord, dall’Ovest all’Est delle Alpi di qua e di là, dai metalmeccanici alla contestazione campana del Presidente della Regione delle discariche e dei concorsi per “veline” – vero Bassolino? – o del “sindaco-prefetto” di Bologna e del “prefetto candidato sindaco” di Milano, etc.).

Proprio perché, trasformate le masse in moltitudini, risulta abbandonata la strategia del controllo sociale e della programmazione democratica che unificava il tutto, dal basso e non da un c.d. e astratto “interesse nazionale” che se non è tutto e di tutti allora è nulla e di nessuno. Non cioè da un alto inventato dai vertici politici e d’impresa in combutta tra loro e gerarchicamente sovrapposto al basso che è il sociale: quando il basso è il solo e unico reale vero ed esistente, che si vuole schiacciare sotto il KOMBINAT di interessi dei vertici affaristici della politica e dell’impresa, dove fin da quando i socialisti – e poi anche la destra PCI – tradirono le ragioni per cui nacquero e quelle della “Repubblica antifascista”, la politica entrando in combutta con le SPA si corrompe mettendosi al servizio del business. Per poi assiemecalare come falchisul territorio: parola chiave degli anni ’60 e ’70 perché nonostante l’antiscientifica definizione di “ambiente” a cui vergognosamente lo riducono i gruppuscoli monotematici ambientalisti bianchi, rossi e verdi, animalisti, femministi, gay, ecc.,                                                                                                                                            

Mentre in realtà, il territorio non è né settoriale né individuale, altro non è che il sociale di tutti e dove c’è tutto: dalla produzione alla riproduzione, dalla fabbrica al tempo libero, dall’Ospedale all’abitazione, dal lavoro ai rapporti economici. Non ci sono solo i fiori, le piante e i giardinetti – essi stessi dipendenti dalle conseguenze della produzione e dalle risorse controllate dall’impresa e dal Centro – a cui si vuole ridurre il ruolo del locale-territoriale con la divisione federalista tra questioni locali e questioni nazionali, come nello stato dell’ ‘800 e contro la Costituzione. Perché il cittadino vive e produce nel territorio, non in un astratto “nazionale” d’invenzione federale. Vive nel locale per cui la “Repubblica delle autonomie” della Costituzione assumeva locale e autonomie come Stato e come “nazionale” a tutti gli effetti, mentre il federalismo cancella il socialedal nazionale riducendolo a spicchio locale per poi, se parli, accusarti di localismo.                                                             

E’ così che il territorio diventa preda esclusiva di un nazionale inteso come proprietà esclusiva di chi sta in alto, ai vertici delle imprese e delle lobby dell’individualismo economico, ma anche di chi tratta come questioni ambientali separate, quelle che sono grandi questioni economico-sociale che riguardano il potere d’impresa e il sistema di accumulazione capitalistico, i rapporti sociali e i rapporti istituzionali, la produzione e il modello di sviluppo. Su cui il popolo è stato silenziato e le decisioni sono state sequestrate dai poteri di vertice nazionali e regionali, e naturalmente anche dell’Europa delle élite economiche e dei loro fedeli servitori.                                                                

Come Zapatero che, come “Balir, è il vero erede della Tatcher”(lo scrive il padronale La Stampa che ha assunto anche l’ex direttore del Manifesto, Barenghi che nemmeno sa, come ha detto a Prima Pagina Rai 3, che in Francia non c’è quel che c’è in Val di Susa e quindi figuriamoci se può sapere e spiegare la felice anomalia italiana rispetto alla Francia dal nucleare al TAV). Zapatero prosegue integralmente la politica economico-sociale reazionaria dell’ex franchista Aznar, fa liberismo totale in materia economica (liberismo statalista come il fascismo e secondo la tradizione franchista a cui Aznara non ha certo rinunciato e Zapatero si è attenuto) e massimalismo laicista per nasconderlo e tenere buona la base, che ormai la sinistra considera sempre più e come i liberali, massa di manovra, da ingannare e far girare a proprio piacimento.                                                     

O come “CARLO ALBERTO” detto Ciampi, a cui danno ultra miliardariapensione annua, il quale,in verità, non è presidente delle Repubblica soltanto da questo settennato, ma lo è da ben 25 anni. Da quando in maniera turpe e con un complotto, dopo solo 2 anni di governatorato fecero fuori Baffi (il meno monetarista – cioè il meno reazionario stante che il monetarismo, per chi se lo ricorda, è teoria economica reazionaria ora fatta propria dalla sinistra e dall’Europa – di tutti i governatori, che infatti diceva che il problema non è la parità di bilancio, e che l’indebitamento è utile e può essere recuperato se è fatto per investimenti di sviluppo qualitativo, come in certa misura hanno fatto Francia e Germania sforando il 3 % del becero patto di stabilità di Maastricht), fatto fuori proprio come un altro, oltre Tevere, lo fu in modo diverso dopo 33 giorni di papato.

“Carlo Alberto”, in realtà, è Presidente da 25 anni perchégli economisti, e anche dei giuristi e anche politici, dalla estrema destra a Napolitano passando ovviamente per i “ciucialisti”, hanno sempre considerato e identificato la Repubblica con la Banca d’Italia (leggere per credere, anche in documenti della Banca d’Italia). Alla faccia della Costituzione che loro hanno sempre teso a far credere fosse “liberale come tutte le altre”, in convergenza con socialisti e c.d. “marxisti”. Fino a che fingendola liberale, per ingannare gli asini-stri senza trattino, ma tramando con tutti i mezzi leciti e illeciti, palesi ed occulti per farla diventare davvero tale, con la stessa strategia che in Grecia gli era riuscita in un solo anno col golpe dei colonnelli, hanno davvero fatto della Banca d’Italia la Repubblica. A quel punto mettendogli a capo direttamente e bipartizanamente il capo di Bankitalia, garante del mercato finanziario e della Banca centrale ora BCE e non certo della Costituzione “fondata sul lavoro” e la “democrazia sociale e antifascista”, che lui infatti richiama solo per le ovvietà. Per cui prima permise che la Bicamerale D’Alema fosse istituita con legge costituzionale per sostituirsi al Parlamento, derogando alle norme di revisione previste dall’art.138, poi permise che si chiamasse “politicamente” federalismo un sistema “pur sempre regionalistico” stante “l’impossibilità di rovesciare l’art.5 della Costituzione senza una rottura costituzionale”.                                                                                                         

Perché l’art. 5 C. non dice solo che la Repubblica è “una e indivisibile”, come Ciampi ripete quasi fosse chissà quale novità (mentre era già nello Statuto Albertino), mentretace su tutte le vere grandi novità della Costituzione.Anchedell’art.5 che dice la Repubblica “promuove le autonomie locali e di cui non parla, perché forse teme che si capisca che il federalismo è incostituzionale come in effetti è.          

Anzi, adesso, violando il proprio ruolo istituzionale, il Presidente della “Repubblica dei padroni” fondata sulle imprese e sul business, va addirittura contro le autonomie, sociali e territoriali, in nome dello “stato-padrone”: ovvero dello “stato apparato” che è l’opposto dello “stato comunità” della Costituzione di cui “Carlo Alberto” detto Ciampi dovrebbe essere il garante (sic!). Mascherando dietro il non possiamo restare isolati” il centralismo governativistico affaristico nazionale ed europeo che, d’intesa col padronato e le COOP del capitale interessate a parteciparvi in nome dell’interesse privato e del mercato, vuol fare “il buco” della Val di Susa. Un buco che è 2 volte più costoso del poco frequentato canale Manica e 4 volte più costoso dell’altrettanto inutile e pericoloso Ponte di Messina, e che è stato lui stesso, Carlo Alberto Ciampi, a volere nel ’92.

 

Presidenzialismo e federalismo della Repubblica degli affari e dei padroni contro la Repubblica delle autonomieultima modifica: 2012-11-23T08:10:00+01:00da iskra2010
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