L’inconsapevolezza organizzata dalla sinistra, del rovesciamento corruttivo di rapporti e ruolo di Stato, Regioni, Provincie e Comuni

IMG_3663+logoMOWA.jpg foto MOWA

da Angelo Ruggeri

NO AL FEDERALISMO CONCENTRATO AUTORITARIO DEI VERTICISMI PRESIDENZIALI E PADRONALI CONTRO LA MODIFICA DEL “TITOLO V” DELLA COSTITUZIONE

Il gravissimo pericolo che si consumi –nella inconsapevolezza organizzata dalla “sinistra di governo” –il rovesciamento, forse irrecuperabile, del modello di rapporto tra società e istituzioni, tra movimenti e partiti e tra Stato, Regioni, Provincie e Comuni..

No allo pseudo-federalismo dell’Ulivo, anticamera del progetto di tipo nord-americano che vuole anche la “Camera degli stati” o “Camera delle regioni”, tanto che il centrosinistra, con Loriero, ha detto si in questi giorni al “Senato delle regioni”, proprio come vogliono Bossi e Berlusconi.

No alla legge “ulivista” che introduce il principio di sussidiarietà già sancito dal fascismo, addirittura peggiorandolo dando un ruolo preferenziale alle imprese non solo nelle attività economico-sociali – come era nella Carta del lavoro fascista – ma persino per l’esercizio delle stesse “funzioni pubbliche” come scuola, sanità, giustizia, eccetera.

E’ IN PERICOLO LA “REPUBBLICA DELLE AUTONOMIE”, “DEMOCRATICA” E “ANTIFASCISTA” “FONDATA SUL LAVORO”.

E’ ’assolutamente necessario chiamare le masse di cittadini e lavoratori democratici alle urne il 7 ottobre, per assemblare il maggiore numero possibile di “NO” al pseudo e per ciò tanto più pericoloso c.d. ”federalismo”, imposto in Parlamento dai partiti dell’Ulivo con soli 4 voti di maggioranza sulle forze del polo coalizzate per un verofederalismo contrastante con tutto l’impianto della Costituzione del 1948, imperniata sull’intreccio, tra loro inscindibile, tra democrazia politica (forma di governo) democrazia economica e democrazia sociale (forma di stato)”,

E’ assolutamente necessario per il gravissimo pericolo che si consumi, nella inconsapevolezza organizzata dalla “sinistra di governo”, il rovesciamento, forse irrecuperabile, del modello di rapporto tra società e istituzioni tra movimenti e partiti da un lato, e Stato, Regioni, Province e Comuni dall’altro. Con tale modello, almeno dal 1945 al 1975, le lotte operaie e di altri movimenti democratici, erano valse a contrastare la reazione ideologica contro la Costituzione “antifascista”, portata avanti dalle forze conservatrici subalterne agli interessi anglo-americani, riuscendo a dare apertura a spazi inediti di democrazia formale e sostanziale che – pur nella loro “parzialità” – avevano allarmato i gruppi di potere internazionale dall’incunearsi all’interno del sistema NATO della cosiddetta “anomalia italiana”.

E infatti il 7 ottobre – con un voto referendario completamente diverso da quelli proposti quasi tutti da destra, in particolare dai radicali, per “abrogare”(art. 75 Costituzione) leggi “ordinarie” di contenuto democratico, a partire dal divorzio e a finire con lo “statuto dei lavoratori”, che garantisce dal potere assoluto del padronato di licenziare come avveniva nello stato liberale e nello stato fascista – va perentoriamente bloccata la strategia che ha provocato nascita e congiura del “bipolarismo” maggioritario contro la Seconda Parte della Costituzione, nella quale i partiti costituenti del 1948 avevano sancito – contro la tradizione delle costituzioni ispirate dalla cultura “borghese” – forme di organizzazione del potere politico quanto più possibile coerenti con il modello della Prima Parte della Costituzione, recante un’articolazione di principi innovatori non solo nel campo dei diritti civili, cari alla cultura liberale, ma anche, e soprattutto, nel campo dei diritti sociali, sempre storicamente minati e delegittimanti in nome del “liberismo” dichiarato o malcelato della destra sociale e politica.

Il pericolo che le masse democratiche disertino le urne il 7 ottobre, si connette anzitutto al fatto che, non solo a livello popolare, ma persino nei testi della dottrina giuridica, solo incidentalmente, si è consapevoli che, secondo la nostra Costituzione, l’istituto referendario “può” entrare in campo, anche nel procedimento di revisione costituzionale, ovviamente alle condizioni socio-politiche che però, dal 1948 al 2001, non si erano mai verificate. Sia perché quando c’è un largo accordo parlamentare, la Costituzione presume che la volontà popolare sia implicitamente stata rappresentata senza necessità di esplicita conferma referendaria; sia perché, prima della recentissima progettazione del “federalismo”, la revisione costituzionale aveva operato per “frammenti”, per singoli contenuti, che non maturavano nella sostanza il modello già vigente, e non – come ora – per una operazionevolta a cancellare la centralità del parlamento a favore del monopolio di potere degli organi governativioccupati volta per volta dalle forze vincitrici, delle elezioni maggioritarie. E – partendo da lì – per stravolgere la “Repubblica delle autonomie”, prospettata nei “Principi Fondamentali” (art.5), a corredo del ripudio dei precedenti storici delle stato liberale e dello stato fascista, ripudio incentrato sul principio che la Repubblica “è fondata sul lavoro” anziché sul “mercato” (come viceversa espressamente dicono i Trattati sulla sovranità europea, dal 1957 sino all’istituzione dell’euro).

Più specificatamente, la perdurante scarsissima attenzione al referendum del 7 ottobre – richiesto sia dai partiti dell’Ulivo che del Polo per ragioni legate alle rispettive e contrastanti tattiche, allo scopo di verificare quanta parte del popolo che andrà alle urne intenda, con la “conferma” referendaria, integrare una volontà parlamentare risultata bensì contrastata, ma all’interno di una comune e omologante strategia di tipo “federalista” dei due poli – è frutto di cause di fondo tra loro combinate, già a partire dalla fine degli anni ’70, a danno della democrazia italiana e al ruolo delle classi subalterne, a causa del sempre più grave e progressivo abbandono da parte della sinistrastorica, della rivendicazione di tutti i valori dell’antifascismo e della lotta di classe.

Ed è perciò che dal 1983, con successive Commissioni bicamerali, si è avviato un processo di cosiddette “riforme istituzionali” che, producendo effetti a catena, imperniati sulla delegittimazione del pluralismo (maggioritario contro proporzionale) e della lotta operaia e degli altri lavoratori (stravolgimento del diritto di sciopero e dell’autonomia sindacale), hanno poco per volta reso la sinistra cattolica, socialista ed ex-comunista, ostaggio delle forze di destra – oggi identificabili in Confindustria, Berlusconi, Fini, Bossi – costantemente interessate, con varie ma convergenti motivazioni, a fare saltare il patto costituzionale del 1944-48, pur di superare “l’anomalia italiana” non attraverso un passaggio meccanico e semplicistico ai modelli autoritari dell’ottocento e primo novecento, ma subdolamente attraverso una cosiddetta “modernizzazione” razionalizzatrice, volta a conformare, per ragioni ideologiche condivise sia all’interno dell’Ulivo che del Polo, il modello italiano ai modelli angloamericani. Modelli nei quali l’autoritarismo vede coniugare stato e mercato, vertici governativi e vertici aziendali, scoprendo solo in tale contesto la funzionalità del “federalismo” per l’ambigua contraffazione del proclamato “avvicinamento” delle istituzioni locali al cittadino – tramite il c.d. decentramento – per articolare in termini di già diffuso “presidenzialismo” regionale, la classe dirigente. Articolandola cioè in una pluralità di centri di governo dall’alto, subalterni al sua volta rilegittimato “centro” nella nuova forma dello “stato federale”dotato in esclusiva delle funzioni più incisivamente tipiche dello stato accentratore di ottocentesca memoria, grazie agli attributi impostigli dal capitalismo finanziario transnazionale e nazionale.

E mentre il Polo è incerto se astenersi o contrastare il modello di pseudo-federalismo sottoposto a referendum, questo però è comunque l’anticamera del progetto della destra più coerente con il modello nord-americano che si vuole attuare introducendo la “Camera degli stati” o “delle regioni”, ancora assente nel testo da votare il 7 ottobre, ma presente nelle perorazioni di Bossi, assecondato da Berlusconi.

Il popolo di sinistra già frastornato da 20 anni e più di estraniazione, a opera dei dirigenti della destra socialista e comunista, da tutta l’incidenza delle tematiche “istituzionali” su quelle “strutturali” attinenti ai rapporti sociali, rischia di lasciarsi invischiare in un atteggiamento di repulsivo astensionismo, che graverebbe esizialmente sull’esito del referendum, in quanto soprattutto PDS e PPI cercano di nascondere che, complemento essenziale del disegno federalistico, come strumento di neo-accentramento di ogni vertice autoritario, è l’introduzione (in nome di un principio di sussidiarietà semanticamente oscuro) del primato dei poteri privati nell’esercizio delle funzioni pubbliche, poiché con il Sì nel referendum si arriverebbe a sancire che compito di tutte le istituzioni – dallo stato centrale sino all’ultimo comune – è di favorire lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei cittadini singoli e associati (nuova formulazione dell’art. 118); con ciò ribadendosi quanto già previsto nel testo elaborato dalla affossata Commissione D’Alema (bicamerale), con una scelta che chiariscel’inseparabilità del presidenzialismo – già introdotto per le regioni con precedente legge costituzionale non sottoposta a referendum – dalla sussidiarietà dello stato, non solo rispetto attività economico-sociali a suo tempo introdotta dal fascismo con la “Carta del lavoro”, ma addirittura peggiorando tal principio nel senso di dare ai privati e quindi alle imprese, un ruolo preferenziale per l’esercizio delle stesse funzioni che, per tradizione, sono tipicamente “pubbliche”, come appunto quelle concernenti la prestazione di servizi e non solo la produzione di beni.

NO, decisamente NO nel referendum, alla legge votata in parlamento dall’Ulivo che si pone – anticipandola – sulla stessa lunghezza d’onda della strategia del Polo, vanamente cercando di mistificarla con il velleitario tentativo di mitigarne con vistosa reticenza l’incombente pericolosità, perché comunque il polo ha già pronti i progetti per il “federalismo” organico, che va oltre questa mistificante e subalterna soluzioneulivista, con cui si vorrebbe trascinare – con il Sì o con il non voto (astensione, scheda bianca o voto nullo)– una volontà popolare che nei referendum è comunque sempre passiva e al servizio dei potentati nazionali e transnazionali bellicisti.

Movimento Antifascista Difesa e Rilancio Costituzione e Centro “Il Lavoratore”

L’inconsapevolezza organizzata dalla sinistra, del rovesciamento corruttivo di rapporti e ruolo di Stato, Regioni, Provincie e Comuniultima modifica: 2012-12-13T08:37:00+01:00da iskra2010
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