di MOWA
La ricorrenza del 70° della Liberazione dal nazi-fascismo in Italia è appena trascorsa ma, il “chi centri e non centri” con quella data (25 aprile 1945) lascia spazio a equivoci che paventano il tentativo di rivisitare la storia di quel periodo.
Non si tratta di includere o escludere qualcuno dalla storia ma solo di mettere dei paletti e chiarire ciò che è accaduto veramente, onde evitare che qualcuno ci aggiunga dei “pezzi” che non sono da inserire…
Tutto lì.
In un altro articolo, tempo addietro, avevamo anticipato i pericoli che, ora, si propongono più subdoli che mai.
Il motivo per cui pubblichiamo alcune osservazioni di storici come Angelo d’Orsi e Piero Bevilacqua, unitamente alla precisazione di International Solidarity Movement Italia è il desiderio di fare chiarezza storica.
Lo facciamo perché ci sentiamo, prima di tutto, in dovere verso coloro che sono morti ingiustamente a causa delle mire espansionistiche dettate da altri (“i soliti noti”) e verso coloro che subirono e subiscono le angherie e le prevaricazioni dei potenti.
A questo punto facciamo nostre le preoccupazioni dello storico d’Orsi quando sostiene: “E allora — visto l’articolo 2 dello Statuto dell’Anpi che rivendica un profondo legame con i movimenti di liberazione nel mondo — come non dare spazio a chi oggi lotta per liberarsi da un regime oppressivo, discriminatorio come quello israeliano, rappresentato ora dal governo di destra di Netanyahu? Chi più dei palestinesi ha diritto oggi a reclamare la «liberazione»? E invece temo si vada verso questo (addirittura in queste ore in forse a Roma) e i prossimi 25 Aprile ingessati e reistituzionalizzati”.
La testimonianza di questo storico è una corretta obiezione tanto che, perfino, l’ONU ha dovuto sottolineare e condannare l’ennesimo genocidio etnico perpetrato per mano israeliana a Gaza.
La-Brigata-sionista-e-il-25-aprile
La rimozione nascosta della memoria
Ad Auschwitz, uno dei monumenti più notevoli tra quelli dedicati alle varie comunità degli internati è il cosiddetto «Memoriale Italiano». Un paio di anni or sono le autorità polacche decisero di chiuderlo al pubblico, nel silenzio del governo italiano, e dell’Aned, in teoria proprietaria dell’opera. Pochi mesi fa la sovrintendenza del campo, ormai museo, ha deciso di procedere alla rimozione del Memoriale. La sua colpa? Quella di ricordare che nei lager non furono soltanto deportati e sterminati gli ebrei, ma gli slavi, i sinti, i rom, i comunisti insieme a socialdemocratici e cattolici, gli omosessuali, i disabili. Quel Memoriale opera egregia, alla cui ideazione, su progetto dello studio BBPR (Banfi Belgiojoso Perussutti Rogers, il prestigioso collettivo milanese di cui faceva parte Ludovico Belgiojoso, già internato a Buchenwald) collaborarono Primo Levi, Nelo Risi, Pupino Samonà, Luigi Nono…, ha dei «torti» aggiuntivi, come l’accogliere fra le sue tante decorazioni e simbologie anche una falce e martello, e una immagine di Antonio Gramsci, icona di tutte le vittime del fascismo.
Ora, ai governanti polacchi, desiderosi di rimuovere il passato, disturbano quei richiami, agli ebrei il fatto che il monumento metta in crisi «l’esclusiva» ebraica relativa ad Auschwitz. Ed è grave che una città italiana, Firenze, si sia detta pronta ad accoglierlo. Contro questa scellerata iniziativa si sta tentando da tempo una mobilitazione culturale, che si spera possa avere un riscontro politico forte e oggi su questo si svolgerà nel Senato italiano una iniziativa di denuncia promossa da Gherush 92-Committee for Human Right e dall’Accademia di Belle Arti di Brera. Spostare quel monumento dalla sua sede naturale, equivale a trasformarlo in mero oggetto decorativo, mentre esso deve stare dove è nato, per il sito per il quale fu pensato, a ricordare, proprio là, dietro i cancelli del campo di sterminio, cosa fu il nazismo e il suo lucido progetto di annientamento, che, appunto, non concerneva solo gli ebrei, collocati in fondo alla gerarchia umana, ma anche tutti gli altri popoli, giudicati essere «razze inferiori» come gli slavi, o i nemici del Reich, comunisti in testa, o ancora gli «scarti» di umanità, secondo le oscene teorie degli «scienziati» di Hitler.
Insomma, la rimozione del Memoriale, è una rimozione della memoria e un’offesa alla storia. Ebbene, l’atteggiamento dell’Aned e delle Comunità israelitiche italiane, che o hanno taciuto, o hanno approvato la rimozione del Memoriale (in attesa della sua sostituzione con un bel manufatto politicamente adattato ai tempi nuovi), appare grave.
E in qualche modo richiama le polemiche di questi giorni relative alla manifestazione romana del 25 aprile.
Premesso che la cosa «si svolgerà di sabato», e dunque, come ha pretestuosamente precisato il presidente della Comunità israelitica romana, gli ebrei non avrebbero comunque partecipato, la denuncia che «non si vogliono gli ebrei», è un rovesciamento della verità: non si vogliono i palestinesi. Ed è grave l’assenza annunciata dell’ANED, per la prima volta, anche se la bagarre si è scatenata sull’assenza della «Brigata Ebraica». La quale ha le sue origini remote niente meno in Vladimir Jabotinsky, sionista estremista di destra con legami negli anni ’30 mai smentiti con Mussolini, che convinse le autorità britanniche, nella I guerra mondiale, a dar vita a una Legione ebraica.
Nel II conflitto mondiale, fu Churchill a lasciarsi convincere a organizzare un Jewish Brigade Group, inquadrato nell’esercito britannico: 5000 uomini che operarono in particolare nell’Italia centrale, contribuendo alla liberazione di Ravenna e di altri borghi. Ebbe i suoi morti, e le sue glorie. Bene dunque celebrarla. Ma non fu né avrebbe potuto avere un ruolo eminente, come sembrerebbe a leggere certe dichiarazioni. Ma il fuoco mediatico supera il fuoco delle armi. E che dire di ciò che avvenne dopo? Come storico ho il dovere di ricordarlo. Quei soldati divennero il nucleo iniziale delle milizie dell’Irgun e del Haganah — quelle che cacciarono i palestinesi nella Nakba — e poi dell’esercito del neonato Stato di Israele, al quale offrirono anche la bandiera.
Si capisce l’imbarazzo dell’Anpi di Roma, tra l’incudine e il martello. Ma quando leggo che il suo presidente afferma che «i palestinesi non c’entrano con lo spirito della manifestazione», mi vien voglia di chiedergli se gli amici di Netanyahu c’entrino di più. Altri hanno dichiarato in questi giorni che bisogna lasciar parlare solo chi ha fatto la guerra di liberazione; ma se così intanto andrebbero cacciati dai palchi tanti tromboni in cerca di applausi; e soprattutto se si adotta questa logica è evidente che tra poco non ci sarà più modo di festeggiare il 25 aprile, perché, ahimè, i partigiani saranno tutti scomparsi.
E allora — visto l’articolo 2 dello Statuto dell’Anpi che rivendica un profondo legame con i movimenti di liberazione nel mondo — come non dare spazio a chi oggi lotta per liberarsi da un regime oppressivo, discriminatorio come quello israeliano, rappresentato ora dal governo di destra di Netanyahu? Chi più dei palestinesi ha diritto oggi a reclamare la «liberazione»? E invece temo si vada verso questo (addirittura in queste ore in forse a Roma) e i prossimi 25 Aprile ingessati e reistituzionalizzati.
Angelo d’Orsi
(10 aprile 2015)
Il 25 aprile con i palestinesi
La polemica. Sbagliata la scelta della Brigata ebraica e dell’Aned di non andare al corteo del 25 aprile
Piero Bevilacqua, 13.4.2015
Il 25 aprile è certamente la data simbolicamente più significativa e fondante dell’Italia repubblicana. Il giorno della liberazione del paese dall’occupazione nazifascista segna un frattura netta non solo con la dittatura mussoliniana, ma anche con il conservatorismo monarchico, ponendo le basi dell’Italia democratica.
Un evento che non è una delle tante “rivoluzioni passive” della nostra storia, ma il frutto della lunga lotta partigiana, di una resistenza popolare che ha pochi precedenti nel nostro passato nazionale.
Per circa un ventennio la sua celebrazione è entrata nell’immaginario degli italiani come un anniversario condiviso, una festa di tutti che ratificava l’accettazione universale dei valori della Costituzione e della democrazia. Ricordo che sul finire degli anni ’60 e nel decennio successivo, la replica di quella commemorazione cominciò ad apparire, ai giovani di sinistra della mia generazione, come uno stanco rituale in una società di stabile democrazia, che aveva ormai bisogno di idealità più avanzate cui ispirarsi.
Ma dagli anni ’80, com’è noto, le cose cambiarono.
Il 25 aprile insieme alla Resistenza e alla prima parte della Costituzione, subirono attacchi molteplici, sia in sede storiografica che politica e giornalistica. Revisioni che contribuirono non poco a “sporcare” un mito fondativo della Repubblica. Da allora quella data è terreno, in vari modi, di contesa e di lotta politica, dal momento che tutte le forze in campo hanno compreso il valore simbolico della memoria, il suo essere terreno di egemonia.
Quest’anno, la celebrazione di quella data sta lacerando il fronte antifascista promotore, creando problemi all’interno dell’Anpi a causa di un dissenso esploso di recente: la Brigata Ebraica e l’Aned, l’ Associazione degli ex deportati, non parteciperanno al tradizionale corteo di porta San Paolo. Ragione del violento dissenso è la presenza di organizzazioni palestinesi all’interno del corteo, ree di aver criticato il governo di Israele e di non volere nel corteo la bandiera di quello stato.
Credo che la decisione di parte ebraica sia faziosa e sbagliata per più ragioni, e non ho bisogno di entrare nei dettagli delle discussione per dimostralo. Del resto, basta leggere l’intervista a Yussuf Salman, quale rappresentante delle comunità palestinesi (il manifesto del 10.4.2015) per vedere quanto ragionevole sia la posizione di questa parte. E’ faziosa e sbagliata intanto perché nella presente fase storica, mentre infuria in Medio Oriente un fanatismo religioso di inaudita ferocia, l’intelligenza politica consiglierebbe la ricerca dell’unità, del dialogo, della cooperazione tra le forze che ambiscono alla pace.
Non turba nessuno il fatto che in questo momento l’Isis sta portando i suoi massacri nel campo dei rifugiati palestinesi di Yarmouk, gremiti di bambini e di vecchi? O è solo Israele, solo gli ebrei che devono godere del monopolio della pietà una volta per sempre? Ma nel gesto della Brigata Ebraica e dell’Aned ci sono due errori politici gravi: l’identificazione con lo stato d’Israele, e il conseguente vulnus alla coscienza pacifista e democratica dell’antifascismo italiano.
Che cosa c’entrano gli ex deportati con l’attuale governo di Netanyau? Com’è possibile che ancora oggi gli ebrei democratici non comprendano un aspetto fondamentale della storia recente d’Israele? Se esso ha il merito di avere dato una patria a un popolo perseguitato e disperso, rappresenta tuttavia la coda violenta e tardiva del colonialismo europeo, una imposizione militare, che avrebbe richiesto ben altra strategia di riparazione nei confronti del mondo arabo. E invece, insieme agli Usa, quello stato ha prodotto una politica che ha disperso un altro popolo ed è all’origine della più grave instabilità di questa parte del mondo negli ultimi 60 anni.
E veniamo a noi. Forse che milioni di italiani non hanno ragioni di recriminazioni, nei confronti dell’intera comunità ebraica del nostro paese, per la tiepidezza – si fa per dire – con cui essa ha assistito al massacro di civili palestinesi a Gaza? Uccisioni e distruzioni immani, perpetrati per ben due volte, con bombardamenti simultanei da terra, dal cielo e dal mare, nel 2008 e nel 2014. Non è ad essa ben noto che milioni di italiani, forse la grande maggioranza del nostro popolo, guarda allo Stato d’Israele, come a un potere ingiusto e liberticida, che tiene in servitù un altro popolo? O crede che i cittadini non capiscano, non sappiano. Eppure, per amore di unità e di dialogo l’antifascismo italiano ricerca l’accordo, tentando di mettere insieme le parti.
Perciò credo che l’Anpi su questo punto deve avere una posizione di assoluta fermezza. Come ha ricordato Angelo D’Orsi, l’art. 2 dello statuto di quella organizzazione rivendica «un profondo legame con i movimenti di liberazione del mondo». (il manifesto, 9.4.2015).
L’equidistanza pilatesca deforma la verità. Oggi sono i palestinesi, è questo popolo che attende di essere liberato.