Dens dŏlens 159 – Brevi note sulla manifestazione del 1° maggio

di MOWA

Sono passati diversi giorni da quel tragico 1° maggio milanese, quando una ciurma di “incappucciati” si è data alla devastazione di suppellettili varie facendo dimenticare, in un battibaleno, il senso e le motivazioni della manifestazione stessa. E’ importante tentare di ragionare sul perché proprio lì, in quelle vie, “dovevano” accadere quelle cose.

Prima di continuare bisogna aiutare i non-milanesi a capire quale sia l’importanza del luogo degli incidenti e poi trarre, possibilmente, qualche considerazione, e per fare ciò ci siamo posti delle domande.

Tralasciando, al momento, chi fossero i “devastatori” o i motivi degli scontri, quel posto era idoneo affinchè le Forze dell’Ordine potessero presidiarlo tranquillamente?

Assolutamente no.

Ci sono, in quel contesto, troppe cose che non vanno a partire dalla cartografia del luogo sino alla estrema vicinanza dell’enorme caserma Garibaldi della Polizia di Stato di piazza Sant’Ambrogio oltre al fatto che, sull’altro lato, si è prossimi al Carcere di San Vittore.

Bisogna pensare che la caserma Garibaldi della Polizia di Stato di piazza Sant’Ambrogio è a pochissimi metri da dove sono iniziati i tafferugli e se considerate che nelle, sole, via De Amicis e via Carducci (tratto usato dagli “incappucciati” per inscenare i loro disastri) sono presenti diverse gallerie e attraversamenti che comunicano con la Caserma capite subito che non c’è “idoneità” per affrontare uno scontro.

Cosa, veramente, singolare e che dovrebbe sollevare qualche dubbio in chiunque sulla “genuinità” di quanto accaduto, (e ben visibile nei filmati), è che, da Largo Paolo D’Ancona, dove sono avvenuti i tafferugli più grossi, attraversando l’adiacente via Terraggio, si arriva in pochi secondi alla suddetta Caserma; non solo, poco prima, a metà tra il civico 27 e 29, della via Carducci, c’è un grosso passaggio-galleria che porta direttamente sulla piazza della Caserma tanto che se uno dovesse mettersi sul lato della predetta via vede la facciata della Garibaldi della Polizia di Stato.

Cosa si dovrebbe pensare, allora, sulla scelta del luogo?

Partendo dall’assunto che nulla è casuale e che, come nell’anno 1977, c’erano persone (“cattivimaestri”) che avevano la funzione di far cadere in errore i giovani e poi “usarli” per altri motivi, proverei ad azzardare sostenendo che la provocazione alla manifestazione era più che ovvia per far scadere i validi motivi dei partecipanti e che, nonostante gli organizzatori avessero buoni propositi, non vi erano le dovute garanzie per evitare che ciò avvenisse e che, come abbiamo visto nelle varie sequenze filmate, il “blocco nero” agiva indisturbato sia per sottovalutazione che per ingenuità culturale di molti dei partecipanti al corteo.

Tra l’altro, quel tratto d’itinerario ripercorre la provocazione successa nel passato e conclusasi con l’assassinio dell’agente Antonino Custra il 14 maggio 1977 ad opera degli appartenenti ad Autonomia Operaia (organizzazione che è stata funzionale al potere in quanto ha “sottratto” giovani ad un sano conflitto sociale inducendoli a mere “azioni-slogan” nichilistiche e autolesive privandoli, così, di una prospettiva politica che fosse capace di soddisfare i bisogni delle nuove generazioni). Un delitto ingiustificabile sotto tutti i profili come, d’altronde, l’uso delle armi. Ricordiamo che costoro (come gli attuali “incappucciati”) furono gli stessi che non riconoscevano come valida la Costituzione italiana, nata dalla Resistenza al nazifascismo, perché, a loro dire, troppo permissiva nei confronti della borghesia e per ciò fecero molti adepti contro il PCI, per poi vedere, inoltre, molti loro capi storici (esempio: Paolo Mieli ex Potere Operaio) non fare granché per conservarla dagli attacchi autoritaristici di modifica ad opera della masso-borghesia. Anzi!

Sia allora, come in questo 1° maggio, la stampa del capitalismo (come era ovvio) non ha sprecato un solo rigo per spiegare i validi motivi della manifestazione ma, si è scagliata, senza tregua, nell’enfatizzare i disordini e indurre i lettori a credere che, chi ha protestato pacificamente, è pur sempre, anche se alla lontana, parente della stessa cultura degli “incappucciati” quando, sappiamo, invece, benissimo che sono aree culturali di provenienza, completamente, diversa.

A questo punto, le forze dell’ordine ci devono chiarire una cosa, anzi due.

Perché hanno rilasciato, visto che l’avevano fermato poco prima della manifestazione con dei “pizzini” indicanti i punti degli scontri, Valerio Ferrandi (figlio del “provocatore” di Autonomia Operaia, Mario, che uccise l’agente Custra) riconosciuto come uno dei leader indiscussi del “blocco nero” per, poi, vederlo sfilare sull’automezzo nel corteo?

E, ancora…

Perché tollerino che costui occupi, da diverso tempo, con altri anarchici, un hotel in via Ruggiero Settimo a Milano, lasciando che la comunità ebraica antistante e i consiglieri di zona della destra sollevino, le ovvie, obiezioni?

La proprietà privata, per la borghesia, non rimane più un paletto fisso quando potrebbe servire ad altri scopi?

Potremmo credere che l’uso di determinate figure (“cattivimaestri”) sia oggi, come lo fu allora, funzionale al sistema e che, inoltre, si continuino ad usare gli stessi schemi…

Se in passato la tecnica dell’infiltrazione nei gruppuscoli della sinistra extra-parlamentare marxista-leninista o anarchica, era all’ordine del giorno sia per i reazionari fascisti (Berardino Andreola, Mario Merlino, Aldo Bonomi, ecc.) che per i, c.d. servizi deviati (nazionali e internazionali) oggi, possiamo osare nel sostenere che si usi ancora la stessa salsa con gli stessi ingredienti: cambia, solo, la data di scadenza.

Osiamo scomodare un intero capitolo di Lenin del “Che fare?” (1902) nel paragrafo che tratta “Politica tradunionista e politica socialdemocratica” punto d) “Che cosa hanno in comune l’economismo e il terrorismo” per far comprendere il riciclaggio tra i proletari delle idee della borghesia:

“… in una nota abbiamo messo a confronto un economista con un terrorista non socialdemocratico che per caso si sono trovati d’accordo. Ma, in generale, tra gli economisti e i terroristi esiste un legame non accidentale, ma necessario, intrinseco, del quale dovremo ancora occuparci parlando della educazione dell’attività rivoluzionaria. Gli economisti e i terroristi della nostra epoca hanno una radice comune: la sottomissione alla spontaneità di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente come di un fenomeno generale e di cui esamineremo ora l’influenza sull’azione e sulla lotta politica. A prima vista, la nostra affermazione può sembrare paradossale, tanto grande sembra la differenza tra coloro che antepongono a tutto la “grigia lotta quotidiana” e coloro che propugnano la lotta che esige la massima abnegazione: la lotta di individui isolati. Ma non si tratta per niente di un paradosso. Economisti e terroristi si prosternano davanti ai due poli opposti della tendenza della spontaneità: gli economisti dinanzi alla spontaneità del “movimento operaio puro”, i terroristi dinanzi alla spontaneità e allo sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità. È infatti difficile, per chi non ha più fiducia in tale possibilità o non vi ha mai creduto, trovare al proprio sdegno e alla propria energia rivoluzionaria uno sbocco diverso dal terrorismo. Perciò la sottomissione alla spontaneità nelle due direzioni indicate non è che l’inizio dell’attuazione del famoso programma del “Credo”: gli operai conducono la “lotta economica contro i padroni e contro il governo” (l’autore del “Credo” ci perdoni se esprimiamo il suo pensiero nel linguaggio di Martynov: riteniamo di averne il diritto, perché anche nel “Credo” si dice che la lotta economica “spinge gli operai a occuparsi del regime politico”), e gli intellettuali sviluppano la lotta politica con le loro proprie forze ricorrendo, naturalmente, al terrorismo. È questa una deduzione assolutamente logica e inevitabile, sulla quale non si insisterà mai troppo, anche se la sua inevitabilità non è compresa da coloro stessi che cominciano a mettere in pratica tale programma. L’attività politica ha una propria logica, indipendente dalla coscienza di coloro che, con le migliori intenzioni del mondo, fanno appello al terrorismo oppure domandano che si dia alla stessa lotta economica un carattere politico. L’inferno è lastricato di buone intenzioni, e in questo caso le buone intenzioni non salvano ancora dal lasciarsi attrarre dalla “linea del minimo sforzo”, dalla linea del programma puramente borghese del “Credo”. Infatti, non è casuale neppure la circostanza che molti liberali russi – liberali schietti e liberali mascherati da marxisti – simpatizzano con tutta l’anima col terrorismo e si sforzano oggi di appoggiare lo sviluppo delle tendenze terroristiche.

La creazione del «Gruppo rivoluzionario socialista Svoboda» [1] che si prefigge di aiutare con tutti i mezzi il movimento operaio, ma che nel proprio programma ha incluso il terrorismo e la propria emancipazione, per così dire, dalla socialdemocrazia, ha confermato una volta di più la notevole perspicacia di P. Axelrod il quale già alla fine del 1897 aveva predetto letteralmente che le oscillazioni socialdemocratiche avrebbero portato a questi risultati e aveva tracciato le sue celebri «due prospettive» (Problemi riguardanti i compiti attuali e la tattica). Tutte le discussioni e le divergenze che seguono tra i socialdemocratici russi sono contenute, come la pianta nel seme, in quelle due prospettive. [2] Dal punto di vista che abbiamo indicato, è chiaro che il Raboceie Dielo, non avendo resistito alla spontaneità dell’economismo, non ha potuto resistere nemmeno alla spontaneità del terrorismo. In difesa del terrorismo, il gruppo Svoboda adduce argomenti particolari che è molto interessante notare. Esso «nega completamente» la funzione intimidatrice del terrorismo (La rinascita del rivoluzionarismo, p. 64), ma ne sottolinea la «funzione di incitamento [di stimolo]»! Ciò è caratteristico, anzitutto, come uno degli stadi della decadenza e della disgregazione di quel ciclo di idee tradizionali (presocialdemocratiche) che aveva permesso al terrorismo di affermarsi. Riconoscere che oggi è impossibile «intimidire» — e, quindi, disorganizzare — il governo col terrorismo, significa in sostanza condannarlo completamente come metodo di lotta, come sfera di attività sanzionata da un programma. Ma la cosa è ancora più caratteristica come esempio di incomprensione dei nostri compiti immediati per «educare le masse all’attività rivoluzionaria ». Il gruppo Svoboda propugna il terrorismo come mezzo per «stimolare» il movimento operaio, per dargli «un impulso vigoroso ». Sarebbe difficile immaginare un argomento che si confuti da se stesso con maggiore evidenza! In Russia ci sono forse così pochi scandali da dover inventare «stimolanti» speciali? D’altra parte, non è evidente che coloro i quali non si sentono stimolati e non sono passibili di essere stimolati nemmeno dal regime di arbitrio che domina in Russia rimarranno egualmente «con le mani in tasca» di fronte al duello di un pugno di terroristi con il governo? Le infamie della vita russa stimolano fortemente le masse operaie, ma noi non sappiamo, per così dire, né raccogliere, né concentrare tutte le gocce e i getti dell’effervescenza popolare, che, infinitamente più numerosi di quanto crediamo, si sprigionano dalla vita russa, e che bisogna appunto fondere in un solo gigantesco torrente. Che ciò sia possibile è provato in modo certo dal grande sviluppo del movimento operaio e dall’ardente interesse degli operai — già segnalato precedentemente — per le pubblicazioni politiche. Fare appello al terrorismo o fare appello a che sia dato alla stessa lotta economica un carattere politico, sono due modi diversi di sottrarsi al dovere più imperioso dei rivoluzionari russi: l’organizzazione di una multiforme agitazione politica. Il gruppo Svoboda vuole sostituire all’agitazione il terrorismo, riconoscendo apertamente che “dal momento in cui comincerà tra le masse una agitazione energica e vigorosa, la funzione stimolatrice del terrorismo sarà finita” (p. 68 della Rinascita del rivoluzionarismo). Questa confessione mostra appunto che terroristi ed economisti sottovalutano l’attività rivoluzionaria delle masse, che pure è chiaramente dimostrata dagli avvenimenti della primavera [3] Gli uni cercano degli “stimolanti” artificiali, gli altri parlano di “rivendicazioni concrete”. Gli uni e gli altri non rivolgono sufficiente attenzione allo sviluppo della loro attività per l’agitazione politica e per l’organizzazione di campagne di denunce politiche. Eppure non c’è niente che possa sostituirle né oggi, né in qualsiasi altro momento.

Non sono, forse, come dicevamo prima, la stessa salsa con gli stessi ingredienti?

Siamo, altresì, curiosi di conoscere quante altre nuove “sezioni Europa 2” della CIA, “International Group”, “Aginter Presse”, “Stay beind-Gladio”, “Rete Gehlen”, Gruppo Alpha”, ci sono, oggi, in funzione nel nostro paese e con quali ruoli destabilizzanti.

O, come comunisti, è chiedere troppo?

 

Note:

[1]

« Gruppo rivoluzionario socialista Svoboda» (Libertà) si formò nel maggio 1901 e cessò di esistere nel 1903; pubblicò tra l’altro la rivista Svoboda (in Svizzera nel 1901-1902) e l’opuscolo La rinascita del rivoluzionarismo in Russia, 1901

[2]

Martynov «si pone un altro dilemma, più reale [?]» (Socialdemocrazia e classe operaia, p. 19): «O la socialdemocrazia si assume la direzione immediata della lotta economica del proletariato e la trasforma così [!] in lotta di classe rivoluzionaria…». «Così», cioè evidentemente mediante la direzione immediata della lotta economica. Può dirci di grazia Martynov dove si è mai visto che si sia riusciti a trasformare la lotta tradunionista in lotta rivoluzionaria di classe unicamente mediante la direzione della lotta di categoria? Riuscirà egli mai a comprendere che per rendere possibile tale «trasformazione» dobbiamo prendere la «direzione immediata» della multilaterale agitazione politica?… «Oppure, altra prospettiva: la socialdemocrazia rinuncia a dirigere la lotta economica degli operai e per conseguenza si tarpa le ali…». Secondo il Raboceie Dielo è l‘Iskra che «rinuncia» a tale direzione. Ma, come abbiamo visto, l’Iskra fa molto più del Raboceie Dielo per dirigere la lotta economica, e inoltre non si limita ad essa e non restringe per essa i suoi compiti politici.

[3]

Si tratta della primavera del 1901, quando incominciarono le grandi manifestazioni di strada.

Dens dŏlens 159 – Brevi note sulla manifestazione del 1° maggioultima modifica: 2015-06-06T01:55:08+02:00da iskra2010
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