iskra

Dens dŏlens 353 – Sansepolcrismo odierno e aiutino della massoneria

di MOWA

Scansie, ritratti, tavoli, annate del giornale e ogni altra sorta di materiale redazionale, venivano calati dalle finestre superiori sulla strada e, da questa, gettati nel naviglio che correva accanto.

Poltrone riccamente imbottite e rivestite di cuoio s’allontanavano dondolando sulla corrente, gonfie come animali annegati… Ogni devastatore affidava alle acque la sua vittima…

Amilcare [il capitano Vecchi] calmo, dirigeva l’assedio della piazzaforte. Interrogato, abbracciato, applaudito, impartiva ordini con sicurezza.

– Capitano, i mobili?

– Giù i mobili!

– Capitano, i libri?

– Giù i libri!

– Capitano, le macchine’

– Giù le macchine!

– Capitano, l’incendio?

– Sì. L’incendio!

Una immensa colonna di fumo, lingueggiante di fiamme e stellata di faville, salì nel cielo d’aprile. Talvolta il vento la decapitava, la sbandava, ma le fiamme tenaci dell’edificio, la nutrivano e la drizzavano nuovamente. [Assalto alla redazione del giornale socialista Avanti in via San Damiano 16 Milano – Ferruccio Vecchi, La tragedia del mio ardire, Milano, Arti grafiche italiane, 1923, p. 90]

A qualcuno sembrerà azzardato dire che ci sono molte analogie tra quanto stiamo vivendo con alcuni riferimenti storici del secolo scorso ma, non c’è giorno che passi, senza intravedere sfumature, similitudini e persino soprannomi dati a personale politico odierno come quello di “Capitano” con quanto già visto, una sorta di deja vu .

Infatti, cosa fu il sansepolcrismo o meglio il diciannovismo se non la trasformazione di un fascismo corrisposto ai mutamenti dell’Italia da un sovversivismo nazionalista che occupò lo Stato (dapprima col sostegno parlamentare di tendenze liberali e cattoliche), e poi, una volta, preso il potere, col nuovo ordine, impose la dittatura con il consenso della Confindustria?

L’inciviltà diciannovista fu modellata dal futurista e interventista capitano degli Arditi, Ferruccio Vecchi, che, guardacaso, indossava, anch’egli la divisa (senza stellette, però!), e si adoperò, sapendo di avere impunità dal Ministero, nel fare provocatorie incursioni, celebre quella al congresso dell’Associazione nazionale combattenti. Benito Mussolini lo designò (Vecchi), nientemeno, come delegato al movimento degli Arditi anche se, poi, venne espulso nel 1921 con l’accusa di malversazione. Storia che ricorda gli odierni 49 milioni di euro (dello Stato) che la Lega ha fatto sparire e deve restituire ai cittadini italiani.

Allora, si gridava “Roma futurista” e non “Roma ladrona” ma tant’è che la capitale era pur sempre oggetto a scusa di contesa politica.

Inutili furono, in quel periodo, le contestazioni di Filippo Turati sulle violenze da parte fascista perché erano spalleggiate dal governo. Turati che, profetizzando disse:

Se durerà lo spettacolo di persone che sui giornali si gloriano di aver incendiato, sparato, vandalizzato e l’autorità persisterà a non accorgesene ed a secondarle, tristi giorni incomberanno sull’Italia e non sarà colpa nostra.

La cultura fascista è quella della teorizzazione dell’azione diretta e sbeffeggiante di chi batte in ritirata, sapendo (allora e oggi) di avere la copertura dei poteri forti o di appartenenti agli apparati dello Stato.

Non mancarono, inoltre, ai diciannovisti l’appoggio di formazioni culturali fortemente similari nei propositi e con una visione apparentemente individualistica e, infatti, molti furono gli esponenti anarchici, socialisti rivoluzionari o libertari, radicali che, transfughi, andarono a riempire la sacca degli Arditi come Leandro Arpinati, l’avvocato Giuseppe Aversa, il sindacalista rivoluzionario e direttore di “Lotta socialista” Michele Bianchi, Gisella Brebbia, Italo Bresciani, Lido Caiani, Decio Canzio Garibaldi, Giacomo Canavesi, Erasmo Contreras, l’insegnante Luigi Deffenu, Luisa Rosalia Dentici, Luigi Ercolano, Quintino Fallugi, Amleto Galimberti…

Un arditismo di facciata che, in realtà, si era fatto “aiutare” sia da organizzazioni criminali che dalla massoneria nei suoi componenti: l’avvocato Camillo Bianchi, il chirurgo ortopedico (e medico di Mussolini) Ambrogio Binda, all’imprenditore e consigliere comunale di Milano Piero Bottini, Giulio Bruzzesi, Decio Canzio Garibaldi, Luigi Natale Cattaneo (grado 30°), l’avvocato Leonardo Cottarelli, Roberto Farinacci, l’avvocato Luigi Lanfranconi, il deputato (Loggia “La Ragione” di famiglia ebraica) Riccardo Luzzatto…

Un sansepolcrismo che riuscì a confondere le acque sulle lotte sociali, in atto in quegli anni, intraprese, giustamente, dai partiti socialisti operai e contadini, con le conseguenze storiche che conosciamo.

Un arditismo che abbiamo avuto, anche, negli anni ’70 sotto forma di organizzazioni autoproclamatesi di “sinistra” come Potere operaio i cui componenti si definivano (in una Repubblica nata dalla Resistenza al nazi-fascismo), “partito dell’insurrezione” con l’obiettivo di “muovere il movimento verso lo sbocco di potere significa dirigere l’intera articolazione del movimento delle masse verso la lotta armata”, “l’unica proposta credibile di partito è quella del partito armato”. Sic!

Arditismo funzionale al potere (non certo operaio) che sfociò e diede vita (in molte generazioni, grazie a cattivi maestri come Toni Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone, Valerio Morucci) alla creazione di un “braccio” armato e occulto chiamato, impropriamente, “Lavoro illegale”.

Arditismo, antagonista come abbiamo potuto constatare, funzionale al potere in quanto negli anni ’70 i rapporti tra Potere operaio e le Brigate rosse si rafforzarono con azioni dimostrative come sabotaggi in fabbrica o aggressioni a capireparto o a dirigenti industriali, rapine sino ad un’escalation di violenza culminata con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro.

Nacquero in quegli anni, infatti, altri fenomeni di arditismo antagonista ma funzionale al potere, che funzionarono come anelli di congiunzione tra “lotta di massa” e “lotta armata” del tipo Autonomia operaia, Nuclei armati proletari (NAP), oppure Proletari armati per il comunismo (PAC), il cui ideologo Arrigo Cavallina teorizzò che il “rapinatore comune non sarebbe altro che un rivoluzionario in nuce”. Teoria che avvicinò e fece militante, tra le fila del PAC, Cesare Battisti. Teoria stracciona che, tra l’altro, non era nuova in quanto rispolverava quella del collegamento tra la malavita comune e l’eversione di sinistra stigmatizzata, sempre in quegli anni, dai banditi Piero Cavallero e dal suo vice Sante Notarnicola. Infatti, su di loro scriveva Giorgio Bocca in Rivoluzione e voglia di denaro. Storia di un bandito a Milano (la Repubblica 23-11-1988, pag.19):

Nel caso di Piero Cavallero, di Sante Notarnicola e della loro banda c’era l’annuncio degli anni di piombo […] il segno c’era, era il medesimo per cui a Franceschini,a Gallinari, a Ognibene, a Paroli il partito comunista reggiano andava stretto […] Al non capire quel segno piccolo, quasi inavvertibile ma certo dell’epoca che mutava si aggiunge su noi cronisti e nella opinione pubblicademocratica una sorta di riflesso condizionato, un richiamo alla cultura dell’antifascismo storico e resistenziale: come potevano questi banditi di periferia che avevano insanguinato le strade del Piemonte e di Milano presentarsi al processo salutando a pugno chiuso e dopo la sentenza intonare l’Internazionale. Come potevano giustificare i loro feroci delitti chiamando in causa il partito comunista, il partito dalle mani pulite?

Come, d’altronde, non fu casuale ma in linea con questa corrente di strategia il comunicato n. 8, del 24 aprile 1978, delle Brigate rosse, che chiedevano la liberazione di 13 detenuti in cambio di Aldo Moro – dove, nell’elenco, era incluso il nome di Sante Notarnicola.

Un arditismo funzionale al potere sicuramente da condannare che, però, non giustifica l’esercizio sbilanciato espresso dallo Stato nei confronti di altri attori protagonisti negli anni della, c.d., strategia della tensione e potremmo citare, ad esempio, il fascista Delfo Zorzi riparato in Giappone in quanto “sospettato di essere coautore della strage di Piazza Fontana[1].

Un arditismo funzionale al potere degli anni ’70 che venne “sostenuto” con depistaggi da alcune parti degli organi Istituzionali preposti all’ordine pubblico come, ad esempio, la divisione Pastrengo dei Carabinieri di Milano, dalle indagini svolte emerse che fosse meta abituale del massone Licio Gelli e caratterizzata “dall’appartenenza alla P2 di molti dei suoi componenti, da prassi anomale di comando e dall’esistenza di fatto di ‘gerarchie parallele’ [2]

Sui depistaggi perpetrati dalla citata divisione la magistratura raccolse diverse dichiarazioni che vanno dalla strage di Peteano dove morirono tre loro colleghi carabinieri fino al fatto che da lì venne impartito l’orripilante ordine (affidato ad estremisti di destra), di violentare sessualmente l’attrice Franca Rame. Si legge, infatti, nella sentenza n.39/15 del 22 luglio 2015 (pag. 207)

Biagio Pitarresi, nell’esame del 26 marzo 2009 […], ha riferito che l’episodio di violenza ai danni dell’attrice era stato deciso nella caserma dei carabinieri di via Lamarmora, e che gli esecutori materiali erano estremisti di destra, ‘sanbabilini”: Angelo Angeli (detto ‘il golosone’, personaggio che emerge nell’intercettazione ambientale fra Raho e Battiston, dal quale egli aveva appreso dell’incarico ricevuto da un ufficiale dell’Arma, tale capitano Rossi, ‘Himmler’, identificato in Dario Panzironi, ‘il francesino’, ovvero Patrizio Moretti, forse Roberto Bravi”.

Nella pagina seguente (208 della sentenza) il futuro generale dell’Arma, Nicolò Bozzo, parlò di “un’atmosfera gioiosa” nell’ufficio del generale Giovanni Battista Palumbo e che questi, nel 1973, presente ad una riunione a Villa Wanda, residenza del massone Licio Gelli, e dopo quell’orribile stupro all’attrice Franca Rame sentì apostrofare “ ‘finalmente’ ”, “parolacce varie […]. Ma è un fatto di una gravità inaudita, e […] il comandante dell’Italia del Nord dei carabinieri se ne compiace”.

Tutori dell’ordine che agevolarono l’arditismo funzionale al potere, come il colonnello dei carabinieri, Piero Rossi, che veniva dato come “uno dei protettori del MAR” (Movimento di Azione Rivoluzionaria fondato da Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando) su posizioni filo-atlantiste ed in contatto con due formazioni sciolte per ricostruzione del partito fascista: Ordine nuovo e Avanguardia Nazionale.

E sempre quel colonnello – dopo la strage di Piazza della Loggia avvenuta a Brescia nel 1974 – e i fatti di due giorni seguenti avvenuti al Pian del Rascino, che portarono alla morte il neofascista Giancarlo Esposti dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri – consigliò ad un discusso e in seguito licenziato, giornalista del Corriere della Sera (risultato, poi, iscritto alla massoneria della P2 e in rapporti con i servizi segreti e con il MAR), Giorgio Zicari, di “non mostrare troppo zelo nell’aiutare i magistrati”.

Colonnello dei carabinieri che ritorna alla ribalta nelle indagini per la strage di Piazza della Loggia per consulenze al c.d. servizio occulto Noto servizio (o Anello), creato dal fascista generale Mario Roatta che aveva il compito di occuparsi di affari sporchi di cui non potevano occuparsi gli apparati istituzionali ufficiali. Tra questi propositi del Noto servizio rammentiamo l’eliminazione del socialista Aldo Aniasi, che è stato sindaco di Milano tra il 1967 e il 1976.

Un breve frammento di storia illegale di arditismo che raccolse la simpatia di diverse persone, anche nelle istituzioni ufficiali dove vennero usate metodologie per favorire sistemi antidemocratici nei quali usarono (usano?) ogni mezzo come se fosse normale e lecito per contrastare la democrazia progressiva che si stava affrancando, pian piano, nella Repubblica italiana…

[1]

Giuliano Turone Cesare Battisti. Storia di un’inchiesta ed. Garzanti pag. 129.

[2]

Sentenza ordinanza nei confronti del fascista Nico Azzi e altri, 18 marzo 1995, (pag.142) del Tribunale civile e penale di Milano, Ufficio Istruzione , sezione 20.

Dens dŏlens 353 – Sansepolcrismo odierno e aiutino della massoneriaultima modifica: 2019-04-12T06:08:07+02:00da
Reposta per primo quest’articolo