di MOWA
“La verità è sempre rivoluzionaria” (Antonio Gramsci)
Si precisa subito che non si vuole portare chi legge, dato il titolo del post, ad una disamina particolareggiata della storiografia delle Brigate rosse (Br) perchè sarebbe più un compito da assegnare ad un libro e la cosa l’hanno già fatta molte incontestabili e autorevoli personalità come Sergio Flamigni, Carlo D’Adamo [1] [2], Rita Di Giovacchino…, in quanto si dovrebbe entrare nei dettagli della documentazione o dei fatti commessi da quell’organizzazione ma ci si vuole limitare alle, sole, recenti cronache che portano alla ribalta alcuni protagonisti di quella banda terrorista armata.
Si è solo preoccupati di quanto la cronaca recente sembri un tentativo, da parte di qualcuno, di ridare ai protagonisti di quella nefasta esperienza un “riscatto politico”, invece, le future generazioni, a fronte del danno arrecato da costoro, dovrebbero essere sempre allarmate.
Si vuole, in questo caso, alludere alle gravi e contradditorie affermazioni di una delle componenti delle Br, Barbara Balzerani, che, con un falso vittimismo, continua ad incontrare nuovi giovani subissandoli con il sistema del rumorese.
Che cos’è il rumorese?
Per spiegarlo si rimanda alle parole del filologo Igor Sibaldi, riprese, anche, dalla psicologa Jennifer Delgado Suárez:
“Il rumorese è parlare senza dire nulla, l’abilità di dire una parola dopo l’altra, rapidamente, senza preoccuparsi che il messaggio sia coerente, abbia significato o valore. Un discorso in rumorese è composto da parole vuote o termini eccessivamente ambigui che sono spesso contraddittori tra loro.
Il rumorese è, quindi, la lingua di tutti coloro che vogliono eccellere, ma non hanno nulla di importante da dare/fare al mondo. È anche la lingua di coloro che vogliono esercitare il controllo senza ricorrere alla ragione o alla comprensione. È una lingua in cui prevalgono i suoni e il significato è omesso.”
Dimostrazione ne è la straparlante intervista rilasciata dalla terrorista brigatista a siti come “il grido del popolo” in cui ricorrono spessissimo, tra vittimismo e nostalgico familismo, delle parole utilizzate come dei mantra tipo: autonomia operaia, lotta armata, guerriglia, delazione… forzando i concetti verso una direzione ben precisa come d’altrone ha fatto nei vari “occasionali” incontri nei centri sociali.
La brigatista, però, si è sempre ben guardata a confrontarsi con quanto emerso dalle riscostruzioni fatte da persone serie che hanno dato modo di produrre, persino, un documentario dal titolo: Com’è NATO un golpe: il caso Moro (al momento, in questi luoghi) e tanto preciso nella ricostruzione di uno degli episodi più efferati dei terroristi delle Br da poter essere considerato propedeutico a chi non vuole farsi imbrogliare da “cattivi maestri” e da visioni borghesi come quelle nichiliste e molto lontane dalla realtà e dai bisogni degli oppressi… Tanto lontane che, persino, uno dei fondatori delle Brigate rosse, Alberto Franceschini (più onesto, visto che decise di non uccidere nessuno), prende le distanze da molti componenti di quel gruppo e, anzi, per certi versi ne mette in discussione la genuinità.
Come dicono nella presentazione del trailer “La sequela di false informazioni fatte circolare dai brigatisti – con la regia del Sisde e settori della destra Dc – e i nuovi dati acquisiti, dimostrano che Moro durante i 55 giorni del sequestro non è mai stato custodito dai brigatisti e che vi sono state più prigioni in cui è stato detenuto”, portano a confermare il pessimo ruolo di una bugiarda patentata che intende (usando le parole sempre della citata psicologa):
“al fine di funzionare in determinati contesti sociali e avere “successo”, molte persone sono costrette a imparare a parlare di più e dire di meno. Chi non lo fa si sente perso, come un pesce fuor d’acqua, come se fosse l’unico sano di mente in un manicomio, assistendo a una scena assurda che si svolge con straordinaria normalità. Chi non parla questa lingua finisce, quindi, sentendosi emarginato, escluso e strano.”
A questo punto, dopo le continue “panzane” sostenute dai “terroristi” Moretti, Morucci, Balzerani, Faranda, Gallinari, Persichetti & c… inseguite dai vari Satta di turno, e visto il recente appello a difesa di costoro portato avanti da un coacervo gruppo di impostori (al punto di scrivere, invece di Giancarlo Ferrero, Ferrerò – complicando la ricerca in internet), c’è proprio da chiedersi se il “manicomio” a cui si accenna, stia dentro o fuori le mura.