Con la Fiom il 28 gennaio per lo sciopero generale di tutti i sindacati anticapitalisti

 

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Appello

L’accordo tra Fiat e sindacati gialli è lo spartiacque politico di questa epoca. L’involuzione autoritaria e reazionaria – propagandata con la falsa immagine di rinnovamento della “seconda repubblica” da media, politici e intellettuali –viene portata a termine con il tentativo di assoggettamento incondizionato della classe lavoratrice.

Siamo alla conclusione di un lungo percorso indicato con il “Piano di rinascita nazionale” di Licio Gelli, formulato quando alla borghesia fu chiaro che la crisi strutturale del capitale poteva garantire margini di profitto solo a condizione di eliminare ogni traccia di democrazia nella società italiana e di instaurare un nuovo regime reazionario basato sullo sfruttamento intensivo.

Le “sinistre” e coloro che pretendevano di continuare a rappresentare gli interessi delle classi subalterne non compresero questa strategia e sottovalutarono i pericoli del falso riformismo imposto dall’alto. Vogliosi di essere al governo, prigionieri di un perenne emergenzialismo e del più pragmatico opportunismo, non seppero o non vollero opporsi alla dissoluzione del sistema dei partiti e giunsero a sciogliere il proprio, rinnegandone la storia e la cultura. Hanno aggiogato la classe lavoratrice al carro del padronato tramite la concertazione e in nome della falsa unità con i sindacati padronali; si sono resi complici attivi nello stravolgere la Costituzione invece di imporne l’attuazione e lo sviluppo; hanno posto la governabilità come valore assoluto, prescindendo del tutto dai contenuti della politica, purché potessero sedere essi stessi “nella stanza dei bottoni”; hanno contribuito a stravolgere il sistema elettorale prima consentendo l’abolizione del proporzionale e introducendo il maggioritario e l’uninominale e poi non impedendo che venisse cancellato ogni residuo di sovranità degli elettori; hanno lavorato attivamente per oscurare i contenuti della politica e favorirne la personalizzazione e il leaderismo; hanno consentito che attecchissero forme di razzismo e di xenofobia e hanno permesso l’introduzione del federalismo che sancirà la subordinazione di interi territori e di popolazioni, approfondendo e consolidando ineguaglianze e ingiustizie.

Le conseguenze rovinose di questa politica di incapacità e complicità sono ricadute sulla pelle dei lavoratori, delle classi subalterne e, soprattutto, dei giovani a cui è stato rubato il futuro: i salari italiani sono i più bassi d’Europa, mentre la disoccupazione – specie quella giovanile – è tra le più alte; la precarietà più selvaggia è ormai la condizione normale nel lavoro e nella società; il sistema previdenziale è tra i più penalizzanti (Tremonti s’è vantato d’averne compiuto la “riforma” senza subire un’ora di sciopero!); ammortizzatori e servizi sociali, salario differito e indiretto, l’intero sistema di “welfare” sono ai minimi storici; niente più scala mobile né alcun altro meccanismo di recupero salariale; tutte le tariffe in aumento erodono il reddito familiare e gettano nella povertà interi strati sociali; morti e infortuni sul lavoro e malattie professionali restano al livello più alto tra tutti i paesi industrializzati mentre si continua a garantire l’impunità per i datori di lavoro; il sistema sanitario è sempre più precario e a carico dei cittadini; privatizzazioni e speculazioni selvagge consegnano al capitale privato il patrimonio pubblico con immensi profitti e tolgono allo Stato la possibilità di controllo e di intervento nell’economia; la scuola e l’università sono state demolite pezzo dopo pezzo da riforme sciagurate tra cui quella della Gelmini è soltanto la pietra tombale.

Ma tutto questo non è ancora sufficiente: per chiudere il cerchio il padronato deve portare il suo controllo autoritario nel cuore stesso della società capitalista, nei luoghi della produzione, dove si crea la ricchezza di cui si appropria, deve garantirsi che il suo tradizionale e più temibile avversario, la classe lavoratrice, sia sottomessa ad uno sfruttamento ancora maggiore e impossibilitata a organizzarsi e reagire. Tanto più che la crisi è irrisolvibile e irreversibile.
Marchionne e la Fiat sono la testa d’ariete di questa offensiva reazionaria e, facendo da apripista per tutto il padronato, compensano il resto della Confindustria dei privilegi incamerati per decenni dallo Stato.

Per far passare questa manovra infame sono stati mobilitati i cagnolini scodinzolanti di Cisl, Uil e Ugl che provano a mascherare e ad accreditare una operazione ancora più reazionaria di quella del 1925 voluta da Mussolini: allora almeno erano scopertamente il fascismo e i suoi “sindacati” di regime a firmare l’accordo con l’intera Confindustria.

Di fronte a questo colossale inganno gli opportunisti e i finti oppositori si dividono: alcuni “apprezzano” gli “investimenti” promessi dalla Fiat e si dichiarano favorevoli all’accordo usando il ricatto della disoccupazione come clava; altri dicono d’essere contrari ma, dopo aver anch’essi accettato il ricatto sull’occupazione, rinviano a “dopo” la lotta e propongono intanto una “firma tecnica” per non restare senza rappresentanza in azienda.

La verità è che tutti costoro restano pervicacemente schierati sulla linea di cedimento e di collaborazione di sempre e non hanno nessuna proposta alternativa da contrapporre a Fiat, Confindustria e governo: la partita si gioca su una politica e su un piano industriale di lungo respiro e di riconversione produttiva pianificata e sotto controllo pubblico, in cui gli inganni sull’auto di Marchionne non abbiano più spazio. Quanto alla rappresentanza in fabbrica si ritorce contro di loro la sciagurata scelta antidemocratica di quelle stesse burocrazie sindacali che smantellarono i CdF e stabilirono regole della rappresentanza volte solo ad escludere surrettiziamente il dissenso in fabbrica nei loro confronti quando avevano bisogno di mano libera per l’infinita catena di cedimenti che la concertazione imponeva.

“Dopo” non ci sarà più tempo, e i modi saranno infinitamente più difficili. Bisogna opporsi ora smascherando il ricatto e svergognando i complici di Cisl, Uil e Ugl, togliendo loro credibilità e rappresentatività, facendo venir meno alla Fiat la stampella del “consenso operaio”, seppure estorto con la pistola alla tempia di una finta consultazione. Bisogna recuperare l’insegnamento che ci viene da Gramsci e da tutta l’esperienza del movimento operaio: la rappresentatività alle organizzazioni dei lavoratori viene dal consenso e dal sostegno della classe, non da una norma dello Stato o dal riconoscimento padronale.

Nel fuoco di questa contraddizione si gioca oggi anche la partita della ricostruzione di un sindacato di classe in Italia e in questo momento tutti siamo chiamati a schierarci in modo chiaro e univoco.: ciascuno metta da parte il proprio soggettivismo e, soprattutto, i suoi interessi di bottega, elettoralistici o sindacali che siano. Non si può fare genericamente appello alle forze di “sinistra” senza chiarire di chi si stia parlando, semmai per tenere l’uscio socchiuso per fare, di soppiatto e altrove, indecenti alleanze elettorali. D’altro canto le difficoltà della FIOM, anche nei confronti della stessa CGIL, non possono essere motivo di soddisfazione ma debbono tradursi in fattori di mobilitazione unitaria contro i comuni avversari: piantare una bandiera sulle macerie di una gloriosa storia non è il miglior modo per ricominciare. 

La partita si gioca ad un livello più alto, storico, e passa attraverso la capacità sia di finalizzare le contraddizioni che attraversano il sindacato confederale e quello dei metalmeccanici, sia di evitare che le mobilitazioni e le iniziative di lotta finiscano – come è sempre accaduto negli ultimi anni – per essere una splendida testimonianza in cui si scarica, senza alcun seguito e conseguenza, la rabbia e la volontà di lotta dei lavoratori.

Lo sciopero proclamato il 28 gennaio dalla FIOM non può e non deve essere un ennesimo passaggio rituale: va sostenuto, amplificato e proiettato concretamente verso le prossime tappe di uno scontro che sarà sempre più duro e che deve avere come successivo passo lo sciopero generale nazionale proclamato da tutte le componenti sindacali di classe, confederali e auto organizzate, congiuntamente o, almeno, con analoghe modalità.

Lo scontro è politico e generale, non riguarda solo la Fiat e i metalmeccanici, ma tutte le aziende, il pubblico impiego e tutte le categorie. Lo sciopero FIOM viene dopo il referendum-farsa di Mirafiori: la risposta vera, allora, deve venire dall’intera classe lavoratrice in uno sciopero generale nazionale.

Non sarà con i tatticismi e i politicismi elettoralistici né con ulteriori cedimenti e furberie collaborazioniste che saranno fermati il progetto autoritario e la trasformazione reazionaria della società, ma dalla coscienza e dalla mobilitazione delle masse lavoratrici e popolari.

Facciamo, pertanto, appello a tutti i lavoratori, organizzati o meno in un qualsiasi sindacato; ai precari e disoccupati, agli studenti, ai giovani e agli immigrati, ai comunisti e ai militanti della sinistra anticapitalista a schierarsi decisamente e a partecipare a questa giornata di lotta nella prospettiva di un grande sciopero generale nazionale che segni la svolta per ripristinare condizioni di lavoro, di vita e di democrazia in Italia.

4 gennaio 2011

L’Attivo Unitario dei Comunisti di Napoli

Con la Fiom il 28 gennaio per lo sciopero generale di tutti i sindacati anticapitalistiultima modifica: 2011-01-10T04:00:00+01:00da iskra2010
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