La radice della cultura reazionaria giuridica e politica

 

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di Angelo Ruggeri *

 

Alla radice della cultura reazionaria

1) La crisi della modernità e la libertà religiosa;

(2) Restituire dignità al dibattito sui partiti

3) Riformare i partiti, non la Costituzione, democratizzandoli e ridando sostanza sociale alla politica e ruolo politico al sociale. 

 La crisi della modernità e la libertà religiosa

Dalle osservazioni da un cattolico ed ex collega di Consiglio provinciale che sostiene la necessità di andare “Alla ricerca del centro perduto”, si ricavano auspici che testimoniano del fatto che non c’è politica senza partiti; un po’ meno che non c’è partiti senza identità sociale e che i “valori” che sono “caduti” sono quelli dei partiti “di massa”, che al nostro ex collega non riesce di ammettere e riconoscere che ciò è avventuto sia per colpa del “maggioritario” che  ha proprio le caratteristiche negative e il significato di quel che Lui stesso  descrive: compreso il “fascino personale” e l’etica privata scambiati per etica pubblica.

Va bene auspicare di “tornare” a certi valori e ideali. L’auspicio è un desiderio, un moto della coscienza, una fiammella che scalda i cuori e rischiara le menti. Ma i 6 anni invano trascorsi da quando lui stesso – in altro articolo –  evocava il rischio di un “fascismo pulito” (“La crisi dei partiti”), dicono che oltre alla  coscienza serve anche e sopratutto la scienza, una prassi e una teoria – tanto meglio se teoria della prassi – insieme alla storia, la quale è li a documentare che lo “snaturamento” dei partiti, che è invalso chiamare “famiglie politiche”(sic), non dipende dai “cambiamenti” avvenuti nella società, ma dall’incoerenza con cui gli eredi dei partiti “di massa” hanno optato, col maggioritario, per metodi di selezione verticistica e incontrollata della classe dirigente. Attuando essi stessi quella separazione dai militanti che induce ad anarchismo e a “manifestazioni nelle piazze” da parte di un “movimentismo” neo-riformistico e massimalistico insieme,di un pacifismo idoneo solo a resistenze meramente passive sulla pace.

Non “torna” niente se non sappiamo a cosa tornare. Ai valori (della politica) e a partiti di “identità sociale”, la quale è “vitale per la sopravvivenza politico/sociale”. Tanto che la “crisi della modernità”, è segnata dal ruolo sempre più sociale delle religioni, sempre più portatrici di una visione del mondo che supera la visione religiosa “privata” per una “pubblica”, ponendosi come risorsa che crea risorse – sostitutive della stessa politica – proprio perché portatrice di valori, mentre la politica non lo è più. Si che Taubes (Escatologia occidentale, 1997), per quella lettura di Marx sul salto dal regno della “necessità” al regno della “libertà”, identifica il proletariato con le comunità messianiche dell’Apocalisse, per dire che il soggetto della storia è sempre molto in basso. Fuori, quindi, dal difensivismo delle “radici” cristiane, di quando per definire gli “europei” era pertinente il termine “cristianità” (Le Goff, Il cielo sceso in terra), che si vorrebbe inserire nel Trattato tra i 25 stati che è stato falsamente dfinito “costituzione europea”. Ovvero, guardando, più che alla tradizione di un cristianesimo che in 2000 anni “non è mai stato uguale a se stesso” (Cristianità o Europa, M.A.Manacorda), alla prospettiva della rinnovata predicazione “conciliare” che condanna “ogni guerra” anche “difensiva” (ben oltre quindi la c.d. “costituzione europea” che limita i principi della Costituzione italiana). Per assecondare la liberazione degli uomini divisi tra “dominati” e “dominanti”, a misura di religione che Taubes intende come lo “scandalo che scuote il mondo“, per dire che la libertà religiosa intesa non come individuale ma come libertà sociale, ha dato e da spazio alla forma “pubblica” e del diritto; contro il “dogmatismo” e il relativo “monismo” del potere.

Ora, é questo “partire dai valori” come tali non separabili dai “rapporti sociali”, che rese possibile un incontro “alto” sulla Costituzione italiana del 1948, democratica-sociale e non liberale, dove l’etica diventa non più scissa dal diritto e in cui con un rilancio del “giusnaturalismo” si “giuridicizza” l’etica e i valori. Donde che per dare concretezza ai “valori” di libertà e uguaglianza, pace e giustizia sociale della 1° Parte della Costituzione, nella convergenza politico-culturale di Dossetti e Togliatti, si è stabilito il “controllo sociale dell’economia” proprio nella 2° Parte della C. che il “centrosinistra” e la “sinistra centro” dicono che “é modificabile”, e ha proceduto a modificarla, con la sua devolution federalista del Titolo V della C., il premierato, ecc., incidendo –così- anche sulla 1° Parte della Costituzione. Perchè il “controllo sociale” che, sempre nella 2° Parte, è connesso al ruolo dei partiti di massa, dei movimenti sociali e della “partecipazione popolare…e di baseinnervati sul “principio di proporzionalità”, insito in tutta la C. (riconosciuto dalla Corte costituzionale), di cui pochi denunciammo il vulnus operato dai “referendum antiproporzionale” promossi col decisivo apporto di chi come “centrosinistra” ha avuto l’ardire (o la faccia di bronzo) di rimproverarne la violazione al “centrodestra” durante il dibattito alle Camere sulla “costituzionalità” della “devolution federalista” a guida leghista.

Donde che “il popolo”, ora, non può “esprimere la sua volontà, se non delegandola ad una “fuggevole simpatia che si esaurisce” con una “scheda nell’urna” ogni 5 anni, questo proprio a causa del maggioritario (ancora difeso da tutte le “sinistre” di vairie speci). Bisogna dire esplicitamente “chi” e “cosa” è “colpevole” di tale riduzione potere della sovranità popolare e del fatto “che i partiti democratici non esistono più”(come scrive l’amico cattolico). Altrimenti si spersonalizzano le circostanze, al punto da lasciarle prive di contatto con le persone e la realtà e da non essere più trattate come “cosa” che si può accusare e modificare.

(2) Restituire dignità al dibattito sui partiti

Per restituire la dignità al dibattito dei partiti serve anche smettere di usare “da sinistra” la cultura politico/istituzionale di destra e conservatrice dell’ideologia giuridica e della reazionaria c.d. “costituzione materiale” (ripresa da Mortati e valorizzata proprio dal pseudo “giurista democratico” Elia, quello che pur di servire il potere negli anni ‘50 inventò il diritto maccheronico della convention ad escludere i comunisti dal governo. Oggi “insegna” “riforme” istituzionali alla “sinistra”, anche a quella “radicale”)

Occorre restituire dignità al dibattito sui partiti, anzitutto rifiutando l’”ingegneria” politicista (omologa di quella “istituzionale”) di liste, federazioni di partiti e di liste e di contenitori senza contenuti, proposti anche dalla c.d. “sinistra radicale” di Rifondazione, che ha introiettato il perverso uso del metodo maggioritario come strumento di dispute di potere e di “leaderismo” selvaggio, nel quadro di una sua dilagante antidemocraticità interna. Pronta ad “andare al governo” (sai che idea!) e per questo disposta a correre il rischi germanico e bismarckiano della “kanzlerdemokratie” dei pseudo “giuristi democratici”, che proprio perché il sistema tedesco non non è “parlamentare” viene chiamato “neo/parlamentare”, per occultare che col cancellierato il governo prevale sul parlamento, all’opposto della nostra Costituzione. A tacere di quello che è stato sempre chiaro sin dall’indomani della Liberazione a tutte le forze coerentemente democratiche e rispettose della Costituzione e che per questo denunciarono come Legge truffa” quella del 1953 che prevedeva un premio di maggioranza che regalava seggi in piu aallo schieramento che avesse superato il 50% dei voti (quindi ancor piu leggi truffa sono state e sono tutte quelle che dal 93 trasformano in maggioranza di seggi chi non raggiunge neanche il 50 % dei voti degli elettori. Quello che era chiaro, da allora ad oggi, è esattamento l’opposto di ciò che propongono giuristi (che mistificano come proprozionale un sistema con lo sbarramento che altro non è che un nuovo “porcellum”) come il Gianni Ferrara a cui si sfidano “politici” (che dimenticano che la nostra Costituzione non è statat fatta da giursiti ma da forze movimenti politici e sociali in base a teorie politiche s coiale e non giuridiciste); quello che era e rimane chiaro è che la proporzionale è coerentemente usata solo se è “pura”, non manipolata da giuristi e politici che in modo ingannevole propongono manipolazioni  che vogliono e servono a garantire la governabilità “giocando” con sbarramenti dall’1% al 4 o 5%, percentua,i e sbarramenti che vengono valutati in base ai calcoli politicisti e governativistici delle oligarchie di potere che vegliono tecnicamente includere o di escludere in tal modo, l’una o l’altra forza gradita o sgradita al sistema.

Pregiudiziale per il recupero della credibilità della politica è chiarire una volta per tutte che la proporzionale, anche storicamente, è la precondizione non solo del pluripartitismo ma prima ancora del pluralismo sociale e dell’autonomia di massa come fondamento e legittimazione di un potere di direzione sollecitato dal basso. Con proposte che non si limitino a denunciare il degrado della politica e della democrazia INDOTTO DAL CAPITALISMO, ma ben più filtrino il pluralismo culturale che anima il pluralismo sociale, per disporre programmi non limitatamente “di governo” e “di legislatura”, ma volti a porre questi in un ottica di “transizione” dall’attuale negazione valoriale alla socializzazione dell’economia, della politica e del potere per l’attuazione di quei valori della nostra Costituzione capaci anche di attraversare la rete transnazionale dei poteri economici e istituzionali.

Quindi rilanciando “da sinistra”, con DOCUMENTI POLITICI FATTI DALLE FORZE POLITICHE E NON DAI GIURISTI,  la proporzionale “PURA” partendo dalle lotte sociali e dai problemi tuttora aperti, negli stati e in Europa, della “questione sociale”; contro lo “sbarramento elettorale” che elide proprio i soggetti minori che sono l’espressione più significativa del pluralismo sociale e politico.

Riconoscendo finalmente che se quasi “20 anni dopo il crollo del sistema dei partiti la politica…non ha recuperato la perduta credibilità“, come ha detto l’amico catolico, ne viene che in tutti questi anni si è usato l’argomento per perseguire altri obbiettivi piuttosto che per perseguire la sua soluzione. Anzi. All’opposto. La storiaquesta scienza oggi più che mai chiamata ad assolvere ad un insostituibile ruolo di unificazione della conoscenza e dell’autocoscienza umana, cimentandosi la dove le singole discipline , e la tecnica, non possono giungeredimostra che erano false, devianti (devianti) e volutamente ingannevoli, tutte le motivazioni addotte per giustificare il “colpo” maggioritario”. 

Vale a dire che in nome della “antipartitocrazia” (linguaggio mussoliniano dei pro-maggioritario scritto anche sui manifesti dei referendari) “si maschera con un regime di partiti della peggior specie in quanto operano nascostamente, senza controllo, sostituiti da camarille e influssi personali non confessabili” (Gramsci Q15, pag. 1809); che “esprime l’antipoliticismo animalesco dell’individualismo di chi vuole essere capo-partito per grazia di Dio e dell’imbecillità di chi li segue” (Q.15, pagg 1752-1755). Mai si poteva immaginare che queste parole di Gramsci che osserva il fascismo, fossero tanto appropriate alla realtà d’oggi in cui il “populismo bipolare” – come ha osservato l’amico cattolico – cancella ogni “esperienza democratica di base” con “partiti-macchina…sganciati dalla base e gestiti dall’alto“.

Questo lo si deve proprio al fato che si fece passare la degenerazione dei partiti e della politica come conseguenza – quasi come autogerminazione spontaneadel sistema proporzionale e di quello costituzionale. Per anziché riformare radicalmente i partiti (e non la Costituzione) togliendo finalmente il primato dei vertici e delle segreterie e dandolo alla “democrazia di base”, cioè sociale; poter invece e all’opposto proseguire e portare ad esito le “riforme istituzionali”. Volte a separare 1° e 2° Parte della Costituzione, per introdurre anche in Italia la divisione tra “sociale”, “politico” ed “economico”, intervenendo sulla 2 Parte e separando i principi e i valori della 1° Parte dalla organizzazione dello stato e delle istituzioni politiche, economiche e sociali della 2° Parte.

Tutto questo si è fatto e si persegue ancora con l’ausilio determinante

dell’ideologia giuridica della quale ha dato saggio un suo esponente  e cultore dell’ideologia giuridica amerikana , Sartori, sul Corsera, quando a proposito della “devolution” ha scritto che il grave non è non ascoltare “la sinistra” ma non ascolatare i giuristi (sic!!!).

Peccato che come si è deto già, la nostra Costituzione – diversamente da quasi tutte la altre – non è stata fatta dai giuristi ne sulla base di teorie giuridiche ma in base a teorie politiche e sociali. e dalle forze politiche e sociali. Per questo è così avanzata. Perché risponde a quesiti sociali e di “valore” storicamente posti dalle dottrine sociali, non dall’ideologia della “tecnica” giuridica, endogena e “bobbianamente” intesa al di sopra della società e della storia, come tale sempre al servizio del Principe.

Perciò pochissimi giuristi pongono la loro scienza al servizio del popolo; la quasi totalità di essi restando interni a tale ideologia, si pongono al servizio del Principe e non del popolo, anche quanti si dicono “giuristi democratici”.

Perché, per sua natura conservatrice e reazionaria, è  l’ideologia giuridica – così bene e variamente analizzata da Gramsci (poi anche da Althusser) – si contrappone ai valori di un nuovo tipo di “giusnaturalismo” contenuto in Costituzioni sociali come la nostra, come ha bene e chiaramente spiegato Salvatore D’Albergo: “…il metodo di studio dominante nella scienza giuridica ufficiale impedisce di cogliere, in nome di un “oggettivismo” insincero che rende indeterminabili le differenze tra i regimi di eguaglianza e di diseguaglianza, di libertà e di illibertà, e che rimane equivoco persino quando – come è avvenuto soprattutto dal 1947 in poi – si è introdotta la distinzione tra regimi sociali e giuridici “omogenei” ed “eterogenei”, e tra partiti “di governo” e partiti “antisistema” nei sistemi di democrazia sociale come quello italiano. Ecco perché, se si vuole uscire dallo “impasse” costruito con tanta cura con il metodo della separatezza del giuspositivismo dal giusnaturalismo e del metodo giuridico dal metodo sociologico (ma più in generale dalla filosofia e da ogni altra scienza) sull’onda del “normativismo” (di stampo soprattutto kelseniano), occorre dare rilievo alla dialettica sociale e ai soggetti protagonisti del conflitto degli interessi, ciò che risulta suggerito dallo stesso Gramsci proprio con riguardo ai problemi del dualismo tra costituzione reale e costituzione scritta, laddove precisa che non solo è necessaria l’esposizione obiettiva ed analitica della costituzione e di tutte le leggi organiche, ma anche e “specialmente” una analisi critica delle forze costitutive politiche dei diversi Stati, “forze che devono essere viste in una sufficiente prospettiva storica(Q 14 loc.cit.).

Lungi dal formalismo giuridico che copre lo schema accolto dalla dottrina dominante con la contrapposizione costituzione “formale” costituzione “materiale”, la questione della costituzione se posta entro termini dell’analisi marxista rivela tutta la sua pregnanza alla luce dei processi che le costituzioni “scritte” innescano nelle più varie modalità di incidenza, tra cui hanno anzitutto rilievo “tutte le leggi organiche” che si susseguono sviluppando l’impianto costituzionale di cui è necessaria un’esposizione “obbiettiva e analitica“, con il supporto di una analisi critica delle “forze costitutive politiche” dei diversi stati “in una sufficiente prospettiva storica“. Ma per quel che poi concerne la costituzione “reale” – che qualche giurista oggi chiama costituzione “effettivamente vigente” (Barile) – Gramsci chiama in causa non già in modo generico ed arbitrario il partito politico (o le forze politiche dominanti), ma dati di tipo diverso, e ben più significativi come: da un lato, “altri documenti legislativi” – rispetto alla costituzione scritta -; e, dall’altro lato, il “rapporto effettivo delle forze sociali” nel momento politico-militare, sottolineando, con chiara intuizione della rilevanza e complessità del problema teorico, che “uno studio serio di questi argomenti, fatto con prospettiva storica e con metodi critici, può essere uno dei mezzi più efficaci per combattere l’astrattismo meccanicistico e il fatalismo deterministico” che è particolarmente proprio del metodo giuridico tradizionale (Q 14, pag.1666). Con tale duplice richiamo, si viene infatti a individuare quel tipo di contrapposizione alla costituzione scritta – che va a sua volta vista “in rapporto con altre leggi organiche” -, che implica un coinvolgimento equivalente al suo carattere globale, perché educativo ed ideologico, sia – appunto – di strumenti legislativi che in sede di attuazione della costituzione formale ne snaturano la funzione, sia di rapporti effettivi tra le “forze sociali”, prima e più che tra i partiti: perché il diritto in generale, e le costituzioni in particolare, registrano rapporti sociali, e i documenti legislativi codificano “istituti giuridici” che complessivamente danno corpo “reale” all’organizzazione del potere: espressione nella quale ci sembra meglio sintetizzabile il senso di quel che si intende classificare come costituzione “reale” – contro la concezione della cosiddetta costituzione “materiale”(Salvatore D’Albergo, Gramsci, il dirito e la Costituzione).

Si spiga in tal modo con Gramsci e D’Albergo che l’ideologia giuridica e il formalismo giuridico prevalente nella corporazione dei giuristi, hanno come base e riferimento perenne non l’evoluzione  storica e della societa mai i principi “dell’ordinamento giuridico”, così denominato proprio per legittimare la contrapposizione endemeica tra la cultura e la giuridicità tradizionale di stampo liberale e quelli che sono i principi espressivi delle nuove tendenze emerse nei conflitti sociali e politici – con incidenza sul terreno culturale – da quando lo storico conflitto di classe, dal Manifesto del 1848 in poi, si è via via trasformato divenendo il parametro di riferimento sia per intendere che per spiegare quali innovazioni lo stesso stato e il relativo diritto capitalistico ha dovuto assumerefuori degli Usa e Gran Bretagna sempre uguali nei propri ordinamenti – per arginare le spinte che dall’Ottobre russo del 17 in poi, tendevano a provocare una rottura con l’unico principio assolutamente incompatibile coi valori degli ordinamenti occidentali di ogni fase storica e di ogni specie (liberale o fascista o socialdemocratico): l’abolizione nell’ordinamento delle garanzie per la proprietà privata.

Ciò comporta che chi in materia vuole veramente situarsi a sinistra e chi si definisce “comunista”, nel valutare i significati degli ordinamenti costituzionali e delle “riforme istituzionali” e costituzionali che ad essi si vogliono applicare, non vada al traino e tanto meno assuma la cultura e la giuridicità tradizionale, a cui dicendosi per una “democrazia costituzionale” piuttosto che “sociale” – sottolineando quindi più la natura della giuridicità piuttosto che della socialità dell’ordinamento che invece è caratteristica della Costituzione italiana – si riferiscono anche i c.d. “giuristi democratici”; ma metta in collegamento e a confronto la teoria del diritto borghese e le categorie concettuali della sua ideologia giuridica, con la concezione marxista che oltre a denunciare il carattere ideologico del diritto borghese – legittimante il primato dell’economia privata occultato dietro alla categoria concettuale dei diritti “individuali” in uno stato garante dell’ordine pubblico, cioè del dominio di lasse imperniato sulla legge – ha aperto la strada alla spiegazione dinamica del diritto e dello stato in netto contrasto con la visione “statica” e astorica del diritto e dello stato che è propria della dottrina “pura” del diritto.

Per inserire, quindi, la teoria giuridica nel vivo delle dinamiche attestanti i conflitti di classe – cioè nel movimento storico reale impresso dalla dialettica sociale – smascheranti le categorie concettuali e le forme “di stato” e “di governo” che la scienza borghese ha elaborato con riferimento al passaggio dalla filosofia borghese del liberalismo/liberismo alla filosofia della democrazia/socialismo dei Costituenti del 1948 e, quindi, dalla teoria della sovranità dello stato-apparato a quella della “sovranità popolare“, per cercare di piegare le 2 seconde coppie ai compiti e per gli stessi obbiettivi affidati alle classi dirigenti nei primi.

Con ciò si potrebbero evitare gli abbagli “di sinistra” su tante cose: sul “federalismo” (la più sofisticata forma di potere centralista e verticista del liberismo e del capitalismo); sul “bicameralismo” con cui si spezza l’unità della sovranità popolare in una “camera alta” e una “bassa” come quella che era detta del “popolino”; sul premierato e cancellierato due varianti tecniche del presidenzialismo; e sul maggioritario bipolare e gli sbarramenti percentuali al proporzionale,ecc. messi in campo dallo specialismo giuridico con lo stesso armamentario ideologicamente già collaudato in senso antipopolare dalla “legge truffa” degli anni 50 in poi, cogliendo invece la distinzione e l’antitesi storica tra liberalismo e democrazia e tra democrazia e diritto propri sia della costruzione europea che delle riforme istituzionali e costituzionali messe in campo e dal centrosinistra e dal centrodestra, sotto la cappella appunto dell’ideologica giuridica che omologa e egemonizza trasversalmente i due campi.

Consapevoli della crescente difficoltà che presentava in Europa – a differenza che negli Usa e in Gran Bretagna, sempre coerenti nel loro conservatorismo di fondo – la tenuta dell’ambigua ideologia dello “stato di diritto” sotto la pressione di una società di massa che rendeva ineludibile l’adozione da parte dello stesso stato capitalistico non solo di nuove misure di ordine pubblico poliziesco, ma anche di misure di “ordine pubblico economico”, i poteri economici capitalistici e i leaders dei governi anticomunisti di Francia, Germania e Italia si sono premurati dopo l’avvio del contrastato processo di democratizzazione seguito alla sconfitta del nazi-fascismo, di escogitare soluzioni politico-istituzionali sia c.d. “sopranazionali” (comunità europea) che nazionali (riforme istituzionali), per rendere operativa quella separazione tra “sociale”, “economico” e “politico” cui ha sempre mirato la borghesia e che al contrario la Costituzione italiana collega, anche nel rapporto tra Prima e Seconda Parte, sancendo uno Stato di democrazia politico-economico-sociale e non uno “stato liberale”.

Donde le obliate denunce della “Tricontinental” capitalista di Agnelli e Kissinger (Segretario di stato Usa imputato per i “golpe” di Cile e altri) fondata nel ’73 per “ridurre la complessità” “(Luhmann) riducendo la democrazia rivelatasi insopportabile nel tornante anni ‘70 della lotta di classe legittimata dalla teoria antifascista della “sovranità popolare” propria della nostra Costituzione. Donde le altrettanto obliate “riforme istituzionali” del Piano P2 nel ’75, perché disse Gelli, “i comunisti stanno vincendo con la democrazia, occorre impedirlo”. L’allarme rosso e la “Mission: Italy” (Mondadori) dell’ambasciatore Usa Gardner (presidenza Carter) vecchio amico del trilateral Brzezinski, per “arrestare la marcia di Berlinguer” nel ’77. Il logo “riforme istituzionali” di Spadolini nell’80. Il loro avvio con Craxi nell’83 e con l’attacco ai “valori” sociali di uguaglianza e giustizia col taglio della scala mobile nell’84. La cronologia non è mia ma della storia. E non c’è storia senza cronologia, per questo dalla scuola, è stata spazzata via (anzitutto da Luigi Berlinguer e T. De Mauro). “Il fatto alla sua data senz’altro sussidio che quello della obiettività, è sereno come la scienza e la verità”. (Roger Céré e Charles Rousseau, Chronologie du conflict mondiale, Parigi).

Una strategia che viene dunque da lontano e con cui oggi – pur non potendo attaccare frontalmente la Prima parte della Costituzione – sia il centro/sinistra che il centro/destra sono conviventi, al di la delle formulazioni specifiche con cui mirano a demolire quella Seconda Parte della Costituzione, che nella versione ancora vigente consente di attuare coerentemente l’articolo 41 sul controllo sociale dell’impresa. E l’art.49 sui partiti di massa e di identità sociale, i soli capaci tramite il proporzionale di permettere ai cittadini-lavoratori che vivono nel “territorio” (cioè nel sociale) di “concorrere a determinare la politica nazionale”(art.49): quindi anche quella “economica” – che il federalismo separa e affida esclusivamente al centro nazionale – e non solo la politica residuale e subordinata della regione-stato come avviene col federalismo. Questo fino a quando con l’endiadi “federalismo/presidenzialismo” (compreso quindi premierato e cancellierato sostenuti dal centrosinistra) respinti alla Costituente come massimo “autoritarismo”, non si sarà del tutto stravolta la democrazia parlamentare.

Se oggi, come dice il nostro amico cattolico,i i partiti sono addirittura “scomparsi” e si critica il “populismo”, occorre riconoscere che “questo” altro non è che la “forma della politica” della “forma di governo” del sistema “maggioritario/bipolare” che 10 anni fa si era mistificato come rimedio. Superando le logomachie di chi a della “sinistra” che contrappone “contenitori” a “contenuti”, ma anche quelle di chi crede che basti privilegiare i “programmi” quando, se anche prendessero corpo, sarebbero solo delle sintesi “difensivistiche”, pertanto perdenti dei “diritti”, solo proclamati, perché vengono abbandonati alla mercé di “rapporti” di “potere” politicamente e socialmente del tutto incontrollati. In quanto perché col maggioritario-uninominale è cancellata: 1) ogni “esperienza democratica di base”; con “partiti-macchina sganciati dalla base e gestiti dall’alto”(Fiori); 2) la rappresentanza politica del pluralismo sociale è data solo dalla proporzionale. Senza la quale i diritti sono elenchi di parole lasciate a se stesse e lavoratori e disoccupati restano privi di ogni puntello rivendicativo reale e fatti agitare a vuoto con inutili “petizioni” cartacee, utili solo ai capi schieramento per far credere alla gente di avere “fatto” (un tubo, in realtà). In quanto “destra” o “sinistra” che sia, nel “bipolarismo maggioritario” il “sociale” è assunto come dipendente rispetto al politico-istituzionale inteso come luogo di simbiosi tra vertici, quelli di governi e quelli dei “capi” esponenti degli interessi economici e d’impresa “privati”, che stanno già condizionando lo stesso uso delle risorse pubbliche con la politica monetarista e privatistica che gli “europeisti di sinistra” per conto loro hanno legittimato e confermato, credendo poi di poter coprire tale misfatto con l’esaltazione delle “carte dei diritti”. Carte stracce, in realtà, che coprono l’abbandono della lotta per le libertà economiche e sociali con una enfasi a basso costo sulle libertà individuali e civili, tornando agli albori della c.d. “civiltà giuridica” proprie del liberismo coltivato dal radicalismo pannelliano.

Vertici simbiotici politici ed economici che infatti, come si vede, d’intesa tra loro, stanno già condizionando lo stesso uso delle risorse pubbliche con la politica monetarista e privatistica che di finanziaria in finanziaria si abbatte su enti locali, pubbliche funzioni, servizi sociali ed economici, prezzi, tariffe, stipendi, lavoratori, assistenzialismo economico di stato ad aziende come la Fiat ed altre che poi o schiavizzano o licenziano, ecc.. Politiche che gli “europeisti ‘di sinistra’” hanno legittimato e confermato per conto loro, credendo poi di poter coprire il misfatto enfatizzando delle semplici “carte”, dei “diritti”. O sbraitando fintamente contro il governo con cui s’accomodano in una “unità nazionale” di tipo nazional-socialista anni 1920/30 (da Fini a Bertinotti), anche votando assieme sulla “devolution” decine di emendamenti. Politiche che sono anzitutto volte a “soddisfare la UE e i mercati” come ha detto Siniscalco (quasi fossero entità impersonali e meteorologiche) e comunque imposte dall’Euro (che non è solo una moneta ma una politica) e dal patto di stabilità monetarista di Maastricht non solo applauditi ma ancor oggi strenuamente difesi soprattutto dal centrosinistra.

Per i San Tommaso basti ricordare i profitti alle stelle e i salari alle stalle; il crollo dei diritti in tutti questi anni, i lavoratori schiavizzati; prezzi e tariffe salati e lavoratori scarsamente salariati; uso speculativo del capitale industriale e capitali bancari per fini finanziari dell’impresa privata, all’insaputa dei risparmiatori; investimenti per il supersfruttamento “selvaggio” (con creazione di 1 milioni di posti di lavoro solo in Romania) tramite  legislazione statale di sostegno alle imprese (liberismo di stato) e di precarizzazione e distruzione del lavoro in Italia. Destra o sinistra, il tutto è stato attivizzato con l’intervento o i laissez-faire di stati e governi, a liberalizzarle, supportare e foraggiarle senza controllo sociale dell’economia privata e delle imprese come prescrive il 41 della Costituzione.

3. 

(3) Riformare i partiti, non la Costituzione, democratizzandoli e ridando sostanza sociale alla politica e ruolo politico al sociale.

3.  In realtà erano già sbagliate le analisi di chi a sinistra, a partire dagli anni ‘70, ha passivamente accolto la suggestione, già allora “populista”, di rafforzare il governo e le istituzioni di vertice dello stato. Contro un “prevaricare” dei partiti che è stato attribuito ad essi in quanto tali e non inteso come “prevaricazione” delle segreterie di partito anche sulla propria base territoriale/sociale, contro l’art.49 della C.. Così che 10 anni fa, tutti i vertici di partito, in commistione tra loro, hanno potuto passare per innovatori e far passare per “innovazione” quello che era un loro proprio interesse a perfezionare e potenziare – legalizzandola con legge – l’anticostituzionale prevaricazione delle segreterie di partito sulla società e sui propri militanti e base. Così le segreterie che fuori da ogni controllo democratico candidavano i corrotti, sulla falsariga della destra montanelliana accusarono gli elettori di essere colpevoli di votarli, e con l’uninominale diedero se stesse il potere esclusivo non più solo di candidarli ma anche di farli sicuramente eleggere, avendo tolto agli elettori le preferenze con un referendum a cui avevano aderito tutte ma proprio tutte le segreterie di partito, compreso rifondazione del vanaglorioso Bertinotti. E quello antidemocratico sulle “preferenze” fu il “referendum civetta” che produsse la svolta e rilanciò tutti gli altri referendum antiproporzionali, fino a quel momento in difficoltà per una precedente loro cassazione da parte della Corte.

Il tutto avvenne omettendo, e si continua tutt’oggi ad omettere, che la degenerazione dei partiti consisteva nell’abbandono delle motivazioni ideali e programmatiche che sono state all’origine sia della storia dei partiti – prima socialista e cattolico, poi comunista – conseguentemente divenuta anche corruzione gestionale penalmente perseguita; sia dello svolgersi della loro dialettica e del “pluralismo sociale” e non solo di quello “politico”, a cui gli “ambiti” per “esprimersi” – giustamente invocati da Fiori – anche in Parlamento e nelle sedi istituzionali li garantisce solo la “proporzionale“.

In conclusione e in concreto occorre riprendere il discorso e percorso interrotto alla fine degli anni 70. Finalmente riconoscendo che è dall’abbandono della strategia per attuare, coi partiti e i movimenti, la democrazia sociale prefigurata dalla Costituzione italiana nella convergenza politico culturale di Dossetti e Togliatti per il controllo sociale dell’economia (e non già per lo “stato sociale”), che deriva la degenerazione delle politica e quella corruzione dei compiti dei partiti, divenuta conseguentemente anche corruzione penalmente perseguibile. Abbandono che taluni hanno giustificato contraddittoriamente con l’idea che, per respingere l’atomismo dei singoli, il corporativismo sociale e il plebiscitarismo politico, si dovesse affidare a partiti snaturati dalla loro originaria identità sociale e di rappresentanza dialettica degli interessi di classe, il compito “di indirizzo politico, di responsabilizzazione e di integrazione” (Fiori, 20/9/98).

Con ciò prescindendo dai rapporti sociali e agendo in senso opposto a quanto per nella “crisi della civiltà” e “della modernità” fanno le religioni, divenute oggi rivelatrici degli aspetti dell’organizzazione sociale da valutare contestualmente nel quadro complessivo dei valori che, in quanto tali, proprio come nella nostra Costituzione, non sono estrapolabili dalla visione di sintesi dei rapporti sociali e dalle loro dinamiche sia nazionali che transnazionali.

Donde che, forse, é da questa mancata considerazione del ruolo politico del sociale e della sostanza sociale della politica, che può spiegare come si arrivi alla accettazione passiva e grave della delegittimazione e demolizione della nostra Costituzione per il tramite di “forma di governo” ” e “forma di stato” delle endiadi “presidenzialismo-maggioritarismo” e “federalismo/presidenzialismo” e per il tramite del falso mito dell’Europa che non esiste se non come unità geografica.

Un mito che proprio il risultato “proporzionalistico” delle recenti votazioni “nazionali” a dislocazione istituzionale “europea”, ha disvelato come un “logo”: sotto cui si concreta l’arretramento dalla “civiltà giuridica” tanto enfatizzata dal costituzionalismo liberale, che si configura come “blocco” della democrazia e nuova “apatheid” dei popoli dalle istituzioni della ambigua cittadinanza europea (Balibar, Noi cittadini d’Europa?). Un “logo” che serve e ha per scopo di spostare la decisione politica verso tutti i poteri autocratici, tecnocratici e monocratici sia nazionali che sovranazionali, rendendo – com’era negli stati dell’Est Europa con la “dottrina Breznev”, a “sovranità limitata” non gli stati quanto i Parlamenti e le istituzioni democratiche sorte dalla “sovranità popolare” antifascista delle Costituzione più avanzate: tanto che in Italia si rende intoccabile persino il potere a vita del governatore di Bankitalia e che “chi tocca Fazio muore” (come dimostra la vicenda di Tremonti).

L’Europa plebiscitata dai mercati e dal capitale è stata controplebiscitata dai popoli, col voto e il non voto. Un plebiscito contro i governi di destra e sinistra, euroscettici o euroentusiasti dell’Europa “più” o “meno” “federalista” dei “liberisti” e dei “riformisti”.

Di più. Con le “europee”, le uniche elezioni “nazionali” non fondative di un governo, l’uso elettorale della proporzionale ha “scatenato” il pluralismo nelle coalizioni politiche, così intervenendo a concorrere alla legittimazione del pluralismo sociale nel momento in cui importanti spezzoni del movimento operaio organizzato – non “moltitudini” alla Toni Negri o movimenti generici tipo “girotondi” o del pacifismo meramente passivo – rivelano il fondamento reale e teorico della conflittualità di classe. Ultimamente giungendo anche a ricongiungere – finalmente – dal basso nelle vie di Milano, la lotta dei lavoratori dell’Alfa e dell’ATM sin qui come altri lasciati soli ed isolati, da quando col concorso delle posizioni capitolarde Cgil e Ds si è ricorso alla “concertazione” strumento di controllo dell’autonomia di massa, che non a caso la Confindustria del marranello Montezemolo e dell’Uomo delle tariffe Telecom Tronchetti Provera, invita a rilanciare proponendo da Capri un nuovo “compromesso di classe”, un “patto sociale” tipo quello che dall’abolizione della scala mobile alle c.d. “nuove politiche del lavoro” hanno permesso di schiavizzare i lavoratori non solo a Melfi e di cancellare i diritti del lavoro e sociali, acquisiti quando negli anni 60-70 ci si batteva appunto per l’attuazione della Costituzione e non per le “riforme istituzionali”.

Un’occasione da cogliere per mettere al bando le esasperazioni tatticistiche della sinistra anche “radicale e sia sindacale che politica e ripartire da una sorta di azzeramento in cui si trovano ridotte le compagini egemoni del “centro-destra” e del “centro-sinistra”; e per un rilancio strategico di lotte sociali che ridando identità alla politica non si limitino all’obbiettivo della conquista del governo, del potere “burocratico” delle istituzioni, da gestire per conto degli interessi del grande capitale privato.

* (Comitato scientifico della Rivista Fenomenologia e Società)

 

La radice della cultura reazionaria giuridica e politicaultima modifica: 2011-07-29T00:34:00+02:00da iskra2010
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