Anniversario Togliatti. E “quale 90 di fondazione PCI?

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di Angelo Ruggeri

In occasione dell’anniversario della morte di Togliatti.

Anche a proposito di  alcuni dubbi sollevati a noi, sul modi di celebrare il “90 della fondazione del Partito Comunista” nel n. speciale de l’Ernesto.

(a cui inviamo un articolo collettaneo a proposito di Togliatti che crediamo e ci auguriamo possa essere ripreso dalla rivista diretta da Catone)

Nel mondo capitalistico si creano infatti condizioni tali che tendono a distruggere la libertà della vita intellettuale.Dobbiamo diventare noi i campioni della libertà della vita intellettuale, della libera creazione artistica e del progresso scientifico(Togliatti, Memoriale di Yalta)

Lotta per il socialismo significa lotta per una maggiore democrazia” (Togliatti)

Quale 90 della fondazione del PCI? Ci è parso un poco singolare che il numero speciale de l’Ernesto in occasione del 90° della fondazione del PCI, inizia con un articolo che fa riferimento esclusivamente ad Alfonso Leonetti, di cui abbiamo assoluto rispetto e ammirazione come personalità intellettuale e rivoluzionaria (non fosse altro perché plebeo e proletario proveniente da Andria e approdato nella Torino operaia e all’Ordine Nuovo), ma figura singolare non solo negli anni “bui” di quando divenne trotskista e pubblica NOI (Nuova Opposizione Italiana al PCI, dove Trotski è presente in ogni numero), espulso dal PCI per questo.

Celebrato anche come “marxista libertario” (ma il marxismo non è libertario), in opposizione allo stalinismo Leonetti accusa Longo e Togliatti di essere succubi e aderisice al trotskismo, ma Leonetti che non esiterà a considerare errati i giudizi contro Trotski di Gramsci e di Terracini, pur fregiandosi dell’aver saputo – successivamente – che anch’essi come Lui erano critici dello stalinismo. 

Poi però Leonetti entrerà in quel PCF che dalla Rivoluzione si è dedicato a costruire la “sinistra” placata e che stalinisticamentemal sopportavacoloro che erano come l’implacabile Aden Arabia, che incitava e chiamava all’odio, classe contro classe, contro la borghesia nemico paziente e mortale con cui non ci possono essere vie di mezzo. In quel PCF dove Aden troverà la ripulsa piu ostinata a comprenderlo e che stalinisticamente addirittura promuove “una congiura di ammorbati che ebbe la pretesa di far scomparire Aden Arabia, per fargli pagare la sua chiaroveggenza, decidendo il suo annientamento perchè non gli bastava che avesse cessato di vivere ma occorreva che non fosse esistito affatto”.

In quel PCF ligio a Stalin e a Mosca da sempre molto e ben più convinto – e non solo per tattica temporanea come il PCI – e che ha continuato ad essere “stalinista”, ancora quando Togliatti e Longo da ormai molto tempo, gia dalla Guerra di Spagna specie Togliatti, erano tornati a dire e ad impostare un progetto opposto a quello staliniano (a cui Togliatti ha continuato a pensare anche dal 28 al 36 e che poté esprimere dall’inizio della guerra civile in Spagna in poi). Insomma, niente di male ricordare Leonetti vivida e rivoluzionaria mente plebea e agitatore, ma è strano celebrare il 90 quasi esclusivamente con lui e altri. Espressivi di posizioni legittimamente contrarie alla linea del partito di tipo nuovo e partito nuovo di massa di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer (Natta).

Contro tale e vincente strategia gramsciana-togliattiana, Leonetti è stato anche strumentalizzato dalla “Sveva Editrice” di Andria, in occasione del doppia ricorrenza, centenario della nascita e decennale della morte di Leonetti, da partedi un editore, Nino Marmo, consigliere comunale del Msi An, che motivando la scelta con “il rispetto, anzi l’ adesione che si deve allo spirito libero, all’ intelligenza politica, alla schiena diritta di Leonettiha pubblicato “STORIA e POLITICA – A dieci anni dalla morte, un editore di destra pubblica gli scritti di uno dei padri fondatori del Pci – TITOLO: Alfonso Leonetti: per il Partito un compagno da dimenticare”.

Strumentalizzato, sia ben chiaro, ripetiamo, sempre in quellachiave politica strategica che anima da sempre gli avversari della unica strategia comunista che si è dimostrata vincente in Europa sia rispetto ai partito socialisti che rispetto alla borghesia italiana cheper la prima volta nella storia, tra il 45 e il 75, ha davvero subito e vacillato di fonte alla forza dell’unità teorica oltre politica e sociale e organizzativa delle forze operaie e del proletariato italiano per la prima volta unificati realmente dalla teoria della prassi comunista del PCI.

Contro il quale da subito dopo la Liberazione e per tutto il cinquantennio, hanno agito e complottato forze sovversive degli opposti estremismi e opposti terrorismoreazionari e di destra e c.d di “sinistra” antiparlamentare e anticomunista, didestre e sinistre ed anche interne al movimento operaio e allo stesso PCI, servizi segreti e forze palesi ed occulte del capitalismo nazionale e internazionale (inseriti anche nei partitini dei post-PCI massonici) e dei paesi dell’Est e dell’Ovest atlantico, ecc. A tutti costoro non gli basta che il PCI abbia cessato di vivere, gli occorre e vogliono che non sia mai esistito: proprio come il PCF cercò di fare con Aden Arabia.

Legittimo ed anche giusto ricordare e parlare anche di Leonetti, un fondatore del PCI assieme a Terracini, Tasca, Gramsci e Togliattiil quale però, quest’ultimo, viene praticamente ignorato in tutto il fascicolo che pur dedica richiami ai bordighiani, a Bordiga, a Secchia ampiamente citato e riportato: facendo sorgere il dubbio di unilateralismo, di una pregiudiziale linea celebrativa opposta a quella di gramsciana-togliattiana. Opposto cioè alla strategia politica vincente e fondatrice della democrazia-sociale della Repubblica italiana e della Costituzione più avanzata del mondo che contraddice e destituisce di ogni fondamento l’accusa di allineamento di Togliatti a Stalin con un progetto di strategia e di democrazia progressiva e di democrazia sia formale che sostanziale costituzionalizzata (e del PCI) tesa alla trasformazione dei rapporti socialie di produzione e ad una transizione e trasformazione socialista con una “via italiana”.

Di cui non basta certo e non riesce a dare idea il solo articolo di Bucci posto in ultimo e dedicato piu che altro all’ultima fase del PCI, dove con pur giusti richiami a “riprendere la tradizione del partito nato nel 21”, può sembrare posto a copertura al “secchismo” (per dire) di quanto scritto in tutto il resto del numero. O forse anche a quel “trotskismo” (sempre per così dire) dominate sulle pagine di Liberazione che proprio nel periodo sul quale scrive Tiziano Trussi che apre il numero commemorativo col suo articolo su Leonetti, appunto, é dominata dall’anticomunismo dei gruppuscoli contrari alla democrazia sociale dei partiti di massa proletari e popolari, dall’antimarxismo ambientalista e femminista e dei telletual-in borghesi demoproletari e “trotsckisti”, che non solo assimilano ma ripetutamente, nella doppia pagina centrale interna di Liberazione, assimilano Togliatti a Stalin ed anzi testualmente lo dicono “un criminale peggiore di Stalin”.

E’ su Liberazione di questi anni, su cui scrive Trussi che ben rispettiamo,egemonizzata dall’anticomunismo e antimarxismo dei gruppi anti-PCI, che siamo dovuti intervenire con l’articolo collettaneo seguente…

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Polemica a proposito dell’articolo di “Liberazione” su Togliatti – “Lotta per il socialismo significa lotta per una maggiore democrazia”(Togliatti)

Indipendentemente dalle accuse, per altro non nuove, mosse a Togliatti in un articolo di Liberazione, riteniamo necessario puntualizzare i caratteri di fondo della visione  strategica del Partito Comunista Italiano elaborata da Togliatti e della sua personalità politica.

Infatti il tipo di critica mossa a Togliatti prescinde dalla considerazione storiografica della figura di Togliatti. Il cui “allineamento” a Stalin è stato contraddetto positivamente dalla concezione e dalla strategia della democrazia progressiva, notoriamente tesa alla trasformazione dei rapporti sociali. Ovvero a sviluppare la democrazia “formale” in democrazia “sostanziale” con le lotte sociali e politiche nel Paese e nelle istituzioni. Su ciò si è basata la Costituzione del ‘48 nell’Italia che la democrazia doveva non “ricostruire” ma “fondare”. Una democrazia sociale, di massa e di base, che costituisce al tempo stesso la via e la sostanza del socialismo.

Del resto, non è la prima volta che al dirigente comunista vengono attribuiti fatti e responsabilità poi rivelatisi falsi (per esempio, la firma per la condanna dei comunisti polacchi, smentita dal fatto che in quel momento Togliatti non era a Mosca ma in Spagna, come sostiene anche Canfora in Togliatti e i dilemmi della politica, Laterza, 1989) o che sono ancora da accertare.

Quand’anche, comunque c’è da chiedersi se la vicenda umana e personale, il periodo sovietico di Togliatti vissuto nel contesto staliniano, siano elementi sufficienti per mettere in discussione il significato storico-politico e il valore di un’opera e di una linea politica e strategica di fondo. Una linea che non è l’effetto di una conversione o di un mutamento repentino, che ha radici lontane, fin nell’idea ordinovista dei consigli operai e del partito come parte della classe e non corpo a se stante.

Per esempio Ernst Fischer in Ricordi e riflessioni (Editori Riuniti, 1969) cita un rapporto del sovietico Nsdap (Commissariato del popolo affari interni) il quale giunge alla conclusione che lui medesimo, Fischer, era l’intellettuale straniero più pericoloso che si trovasse in Unione Sovietica accanto a Palmiro Togliatti.

Dalla testimonianza diretta e certo non sospetta, neanche minimamente, di Fischer esce un’immagine di Palmiro Togliatti negli anni dal ‘35 al ‘43, la «impenetrabile pensierosità» con cui Togliatti viene ritratto nel corso di difficili e complesse riunioni degli organismi del Comintern, ben diversa, opposta, a quel che si è cercato di costruire da parti diverse e avverse.

Il pensiero di Togliatti – come qualcuno ha ricordato – «dite che è così, ma io continuo a pensarla diversamente»  (tanto che la storia dimostra che appena la congiuntura muterà, con la guerra di Spagna, egli tornerà non solo a ribadire la diversità ma ad elaborare e ad anticipare una linea del pluralismo e della democrazia opposta a quella dell’Urss e che riverserà nella teoria e nella prassi del processo costituente, della Costituzione, e del Pci), la cauta astuzia nel rimuovere gli ostacoli frapposti dai funzionari troppo zelanti o troppo fanatici, le stesse «accortezza e decisione», corrispondono a tante altre testimonianze date da testimoni diretti: un dirigente esperto e distaccato (esteriormente), mai invischiato in lotte di frazione, anzi spesso sollecito ad intervenire a favore di quanti, nel passato oppostisi a lui, di ciò subivano le dure conseguenze. «Togliatti era un uomo a cui non faceva velo alcuna illusione… colpiscono la sobrietà e la crudezza delle analisi.

Il suo è un realismo attivo: fare i conti con la realtà per lui vuol dire raccogliere le forze reali, per quanto ridotte, disperse, divise, iniziare con esse un lavoro di lunga durata per un obbiettivo lontano, cui si giunge attraverso vie diverse e molteplici; nella vittoria sfruttare il successo, nella ritirata combattere battaglie di retroguardia, nella sconfitta ricominciare con l’organizzazione della lotta dopo aver salvato tutti i quadri salvabili».

Quello che Fischer fissa come ritratto di Togliatti è l’elemento di consapevolezza protesa verso il futuro che ce lo fa vedere attivo e operante in quegli anni in cui, riferisce sempre Fischer, Togliatti disse che occorreva salvaguardarsi «dall’errore di considerare l’orrenda caricatura davanti alla quale ci trovavamo, come l’essenza del comunismo ». «Tutto ciò – gli disse Togliatti – è diventato un intrico così impenetrabile che nessuno era più in grado di racapezzarcisi… non si poteva spiegare tutto con i nemici… c’erano di mezzo anche altre cose, vecchie rivalità, ambizioni senza principi, manie di persecuzione… e tutto ciò era diventato una sorta di meccanismo sfrenato che schiacciava gli uomini».

«Un tragico periodo di transizione condizionato dal concorso di circostanze molteplici, un temporaneo oscuramento di ciò a cui anelavamo». E Togliatti aggiunse che non si doveva «trarne false conclusioni, ma apprendere una cosa per il futuro: «Se noi un giorno torneremo nei nostri Paesi, bisognerà fin dall’inizio avere la consapevolezza di una cosa: lotta per il socialismo significa lotta per una maggiore democrazia. Se noi comunisti non saremo i democratici più conseguenti, saremo superati dalla storia».

Ciò che Fischer riporta di Togliatti è presente in tutta la sua elaborazione che dalla guerra di Spagna in poi lo pone in contrasto strategico con il Comintern. Comintern che non a caso egli rifiuterà di tornare a dirigere (nonostante nel Pci la destra amendoliana, innanzitutto, lo volesse spingere nelle braccia di Stalin). La descrizione di Aldo Natoli (la Repubblica del 14 marzo 1979, ripresa nel libro di Canfora sopra citato) corrisponde anch’essa a quella di tanti: «il piu grande tattico del movimento comunista internazionale» – secondo la nota definizione di Lukasc – per essere tale non poteva che essere anche un grande stratega, che guarda e vede lontano, e si muove di conseguenza.

La questione, quindi, non è soltanto di quello che Togliatti poteva fare o non fare a favore di uno o di un altro, la questione va vista e posta nel ”fuoco” del dilemma reale che gli si pose, ovvero del fatto che sottraendosi e aprendo il conflitto con Stalin egli non soltanto avrebbe perso la vita ma non avrebbe potuto costruire quel partito comunista della guerra e del dopoguerra, originale, forte, grande, sul quale poi hanno campato di rendita per decenni (fino ad oggi) tutte le forze politiche e sindacali.

Non avremmo avuto quella democrazia avanzata, democrazia sociale e antifascista, che ha fatto dell’Italia un “unicum” nel panorama internazionale, una versione istituzionale della strategia sociale dell’antifascismo anticapitalistico, fuori dagli schemi della liberal-democrazia che regge il sistema del capitalismo occidentale anglosassone.

La democrazia in Italia definita dalla Costituente del 1948, che è il prodotto – caso unico nel panorama mondiale di qualsivoglia lavoro costituente – del contributo non di giuristi ma innanzitutto del contributo teorico e politico di Togliatti, appunto, di Dossetti, (nonché di Basso), del confronto dialettico fra le loro e quelle di altri culture e teorie politiche, politiche e non giuridiche.

L’allineamento di Togliatti a Stalin è stato pertanto contraddetto positivamente dall’introduzione della Costituzione del ’48, dall’elaborazione togliattiana della strategia della democrazia progressiva, tesa a sviluppare la democrazia formale in democrazia sostanziale con la lotta nel Paese e nelle istituzioni e, come negli anni ‘60-‘70, a trasformare i rapporti sociali, assumendo la democrazia di massa e di base (dal basso e consigliare) come via e al tempo stesso come sostanza del socialismo.

La crisi attuale della sinistra – contrariamente a quanto sostenuto dagli antitogliattiani secondo i quali la crisi discenderebbe dalle responsabilità di Togliatti – è tutta riconducibile all’abbandono del marxismo e al tatticismo esasperato dei Ds, del Pdci e di Rifondazione Comunista. Tutte conseguenze dell’abbandono dell’impostazioneTogliatti- Gramsci, culminata nella fase successiva alla morte di Berlinguer con l’abbandono di una concezione “classista” dei rapporti tra società civile e società politica, da cui la vera origine dello snaturamento e della crisi della democrazia italiana. Un abbandono, un arretramento storico e un rovesciamento culturale totale, resi evidenti dalla scelta di entrare a far parte del sistema di potere capitalistico compiuta dai vertici del Pci-Pds-Ds e della Cgil, che hanno occultato tale decisione, di non essere più forze incompatibili col sistema, dietro la crisi del “soviettismo”. Mentre in realtà quella scelta fu fatta quando, insediata la segreteria di Occhetto e criticando Berlinguer, si aderì alla linea craxiana della “modernizzazione” e delle “riforme istituzionali” auspicate dalla P2 di Gelli per controriformare la Costituzione. 

Costituzione che deve essere rilanciata e non già “toccata”, come si vuol fare anche da sinistra. Così favorendo il revanscismo teorico che unisce una destra variegata, tesa a riproporre i valori gerarchici del privato e dell’economia, per coniugare “autoritarismo sociale” dell’impresa e “autoritarismo politico” delle istituzioni.

Un “revisionismo costituzionale” e teorico insito nel “revisionismo storiografico”, volto, criminalizzando Togliatti, a delegittimare e a criminalizzare l’idea stessa di rivoluzione, socialista, ma non solo, perfino democratica e antifascista.Per cancellare ogni ideale comunista e giustificare l’abbandono sia della Carta del ‘48 sia del gramscismo e di una strategia comunista come quella togliattiana che si è dimostrata la più feconda di risultati e di conquiste sul piano sociale e della democrazia.

Gli iscritti all’ex Pci:Giovanni Caggiati (Parma),Giovanni Chiellini (Firenze),Domenico Chirico (Napoli), Angelo Ciampi (Locarno), LetiziaDe Franco (Bologna), Salvatore D’Albergo (Roma), Cini Gabriele Gilardi (Milano), Vittorio Gioiello (Milano), Luigi Grimaldi (Udine), Fabio Lupi (Pisa), Andrea Montella (Pisa), Walter Montella (Milano), Franco Narrifatti (Bologna), Gerardo Padulo (Salerno), Angelo Ruggeri (Varese), Dante Travaglini (Bologna), Aldo Visco Gilardi (Roma), Laura Zucchini (Bologna) Michele Baroni (Pdci, Pisa), Paola Baiocchi (ex Ds, Pisa), Alessandro Gagliardo (Catania), Giancarlo Martinelli (ex Ds, Milano), Elena Montella (Pisa), Arianna Petra Roggeri, Raul Mordenti (RifondazioneComunista, Roma), William Pedrini (ex Dp Bologna), Raffaele Simonetti (ex Ds, Milano),

 

Anniversario Togliatti. E “quale 90 di fondazione PCI?ultima modifica: 2011-09-02T00:05:00+02:00da iskra2010
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