Altro che “democrazia sospesa”

 

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di Angelo Ruggeri

SI FA LA DEMOCRAZIA O SI MUORE

Dopo la deriva maggioritaria del 1993 contro la “proporzionale pura” il popolo, pur abbandonato da “partiti, sommatoria di carriere individuali”, il popolo, col NO nel referendum istituzionale del giugno 2006, superando persino il quorum non richiesto del 50%, ha saputo respingere, in blocco, le smanie neo-autoritarie del centrodestra e del centrosinistra a favore del “premierato: istituto che nel 1925 era stato introdotto dall’arrembante fascismo mussoliniano. Ignorando, però, la volontà espressa con un tale NO popolaread ogni revisione autoritaria della Costituzione, tutta la pseudo sinistra, invece di puntare sul rilancio della Costituzione e quindi della democrazia, insiste nel partecipare al balletto del “cambiamento della Costituzione” (di tipo spagnolo, tedesco, francese, americano, inglese, israeliano, e chi più ne ha più ne metta) destinato a sconvolgerla dalle fondamenta, celando l’attacco dietro mistificanti e sibilline proposte di “ammodernamento” che sono invece di regressione alla fase precedente la società di massa, come la proposta di un ottocentesco bicameralismo perfetto con ottocentesca Camera dei notabili (come il senato non elettivo), il rafforzamento dell’esecutivo di governo, del premier e/o del capo dello Stato, nonché una riduzione del numero dei Parlamentari, mistificando così di ridurre i costi della politica, riducendo la democraziae la sua rappresentanza. (come se non avesse senso il fatto che i Costituenti abbiano fissato nell’attuale numero i Parlamentari e tutti eletti alla Camera e al Senato, per garantire alla sovranità popolare la maggiore rappresentanzione e diffusione possibile).


Pro memoria storica e politica

(pubblicato su La Prealpina, 20.7.06, dopo il No del popolo italiano alla revisione autoritaria della Costituzione)

Mentre è in atto l’estensione della guerra come forma “normale” della convivenza e di “polizia inter-nazione”, snaturando la Costituzione e dolosamente scindendo l’art.11, cioè la Prima Parte e il valore della pace – “potenza universale” per un solo giorno, quando fu mossa dalla Chiesa – dalla rivendicazione di giustizia sociale tra i popoli e rimozione delle sue cause economiche, con la Seconda Parte e l’internazionalismo che non c’è più, proprio in chi parla di “scomparsa dello “Stato Nazione”, si rafforza il “perché” non va più “toccata” la Costituzione. Questo proprio perché il referendum, che è improprio definire “democrazia diretta” – mentre il marxismo considera tale le forme del potere di massa volte ad incidere sui versanti sociale e politico del sistema di potere capitale/stato –, ha rilegittimato la Costituzione e dimostrato che è un “attentato” ogni ulteriore manovra di revisione dei suoi principi di democrazia sociale, attaccati dalla legislazione controriformatrice che, dall’introduzione della “finanziaria”, distrugge gli istituti di garanzia del lavoro e del salario sociale conquistati quando si perseguiva la sua attuazione.

Il NO vibrante, uniformemente distribuito in tutto il Paese, con la carica dell’imprevisto e la incisività del suo radicamento, esprime pari potenzialità unificante dei No alla “Costituzione europea” che, superando la frammentazione individualistica latente nell’istituto referendario e riponendo al centro della politica l’unità del cervello sociale del Paese, ha rovesciato l’indirizzo controriformatore “avviato dalla fine degli anni 70 e già allora populista”, come dicemmo in dialogo con Fiori (D’Albergo-Ruggeri, Prealpina 21/10/98) che, di recente, ha scritto che il diritto viene prima dello Stato. Da ciò, appunto, il valore della Costituzione del ’48 che ha positivizzato il giusnaturalismo e del voto popolare che col 54% di votanti ha imposto un “quorum” non previsto, dando, a dispetto del risicato 34% del 2001, ben più forza al NO del 2006 alla linea “federalista” avviata allora dall’Ulivo senza alcun presupposto socio-politico, stante la tradizione unitaria e autonomista fatta valere alla Costituente dai partiti di ispirazione “marxista”.

 Abbandonato da partiti “sommatoria di carriere individuali” (Fiori), snaturatisi in “lobbies” interessate solo alle passività del “consenso” delle c.d. “primarie” populiste e “codiste”, il popolo ha espresso la reiezione indeclinabile e perentoria di tutte le “manovre” insite nell’intreccio tra revisionismo storico e revisionismo giuridico dei due poli, volti ad imporre il “figurino liberale” dell’uno all’altro, il “premierato assoluto” contro il “premierato relativo” (!?). Rivelando, così, qualche autonomia del voto popolare dalle elaborazioni tecniciste propagandate sia dall’ Ulivo che dalla “triplice sindacale” , che col “formalismo giuridico” coprono il fine preciso e convergente: sostituire al primato del lavoro quello dell’impresa, operando tatticamente sul versante della cultura istituzionale dominante ideologicamente sull’inanità della politica e dei politici rispetto ai poteri economici.

Per cui gli “ex catto-comunisti” dicono “immodificabili” i valori della Costituzione, ma non fanno più alcun riferimento alle sue norme che condizionano la libertà di impresa e la proprietà privata alla “utilità sociale” e “funzione sociale”. Parlano di “stato sociale” (partito da Weimar e dal corporativismo fascista) come fosse quella di Bonn, per captare consenso e aderire alle imposizione dei mercati finanziari e, per essi, delle istituzioni monetarie che, da Banca Mondiale e FMI, tramite le “banche centrali” europee e Bankitalia, comandano la “cabina di regia” del governo, tanto più con l’asse Draghi-Montezemolo-governo Schioppa che alterna liberismo e corporativismo, che, a sua volta, costringe Parlamento e forze sociali e politiche a subire i “diktat” del complesso militare-industriale-finanziario internazionale. Con guerre personali con uso di strumenti linguistici per poi votare tutto, come sull’Afganistan, o espellere – lo fanno da anni, non bastandogli mettere in minoranza – perché si vuole che, respinto dal referendum, il “governo di legislatura” (di Prodi) sia “lo statuto di chi fa politica” in Parlamento, dice Bertinotti (Corsera 16/7/06) palesando un maggioritario “puro” e più rigido, con mandato opposto a quello della Comune.

Sì che il NO suona comediffida popolareagli occhiuti vertici di Stato, partiti e sindacati di Palazzo, che tramano per allineare l’Italia a Paesi già conformi al conclamato “deficit democratico” della “costruzione” europea, con revisioni bipartisan per cui Napolitano, come uno Chirac, l’indomani del NO ha convocato il governo e il suo capo (solo Cossiga ci aveva provato, senza riuscirci). Una diffida che sta ora alle forze popolari assumere come asse delle lotte contro le forme attuali del capitalismo, consapevoli che ogni strategia di rivoluzione democratica implica una strategia di rivoluzione politico-istituzionale: senza più né “delega”, né uso dei prodotti di culture giuridiche di origine “borghese”, con cui si da l’idea scorretta che il marxismo non abbia una sua teoria del diritto e dello Stato, che ogni idea di diritto e Stato non sia di matrice marxista ma borghese, e che quindi sia inevitabile la separatezza tra questione sociale e questione dello stato. Angelo Ruggeri

Altro che “democrazia sospesa”ultima modifica: 2012-01-26T09:00:00+01:00da iskra2010
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